Era un gioco pericoloso.
E non durava poco.
Tanto non conti.
Mi rassicurava ogni perdita.
Un filo di erba, sul dito.
Un nodo che inevitabilmente si spezzava.
E sogni sulle labbra.
Parole non pronunciate e risucchiate.
Slinguate come succo di mirtillo.
E io mi ostinavo.
Impiccavo numeri, uno dietro l'altro.
Sequenze immacolate.
Macchiate dal perdono e dalla ingordigia.
E dalla marmellata.
Sono golosa e a volte anche un pò oscena.
Ma voi non ditelo a nessuno.
Era un gioco ostinato.
Anzi ostinata ero solo io.
Ma poi rimase poco.
Di me.
Nulla di tragico.
Ero altrove.
Il gioco continuava ignaro.
I numeri inseguivano altri numeri.
Spettatori incauti della vita, ci lasciamo sporcare.
E quella vita è solo nostra.
Ho smesso di chiamarmi Sara da tanto tempo.
Sono carne a servizio di questa mente che mi abita.
Più o meno comodamente.
E a volte mi piace.
Mi piace parlare con il pensiero.
Come se io fossi un oggetto pensante.
Ma non sempre mi riesce.
Nella causalità si impigliano le più grandi verità, come nella rete di un pescatore.
bellissima. le tue cose con gli 'a capo' sono belle come quelle in prosa, forse pure di più.
RispondiEliminaAnchio a volte parlo con il pensiero!! buona serata
RispondiEliminaChe "ti chiami" Sara o in un altro modo per me tu sei sempre "tu". :)
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