A volte mi ritrovo in un puntononpuntopuntononpunto, in una dimensione astratta, quella in cui la leggerezza è così semplice, come quando chiudi gli occhi ed il mondo diventa a pois. Piccoli aghi di assenza. Giochi con la luce, quella della mente, ed è il margine migliore che riannodarti a te stessa, sangue su sangue, mentre il mondo diventa teneramente indefinito. Il manto di stelle morde i sogni, lentamente. Li sbocconcella con dovizia e cura. E annusi l’aria macchiata dal volo di uccelli. La vita scorre oltre quel margine e ti riguarda sempre e comunque, anche se non lo sai. Una fila di formiche, come parole oltre le parole, e poi ancora. Verso la meta. Eppure in un punto esatto, preciso, dove la ferita è più morbida, ci sei solo tu, davvero tu. E nessun altro. La verità quella vilipesa e derisa era l’unica sagoma plausibile della realtà. Ora lo sai. Ma non hai voglia davvero di condividere tutto questo. Non succederà più. Lo devi a te stessa. In una brusca inversione di rotta, come un moto di orgoglio, forse un muro di vuoto.
Ma perché dai sempre la sensazione agli altri di poterti morderti sul collo, come una gatta in calore?
Dopo, inizia il conto alla rovescia, come se la tua pelle reclamasse ancora quella intimità violata.
Ogni donna è un poco stella.
La sua luce è segreta, preziosa, e brilla solo in un angolo, speciale e vero.
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