Impalo domande. Scricchiolano. E
taccio. Per sentirne l'urlo. Lasciargli riempire il cielo con il suo suono. E
la sua scia. Macchia il ritorno. E non è una risposta. Solo un incauto
grondare. E consentire. Quando se ne ha voglia. O meglio, solo quando se
ne ha voglia. Poi voltarsi. E tapparsi le orecchie. Spingere forte. Annegare
in un canto. Assenza. Come una sinfonia furiosa. Il mondo è bello perchè è
distante. Perchè questa è l'ode alla distanza. Ai suoi strati. Quella che ti
permette di non gioire. Di non godere. Di preservarti. Di non soffrire. Di
molto amabilmente astenersi. Ed afferrare foglie. Senza staccarle. Solo
per percepirne la superficie. Senza toccarla. Lasciarsi baciare le mani
dalla energia buona. Ode alla mancanza di contatto e di tatto. Prima di
diventare assenza.
Potrei farti scivolare la mia
voce sul collo.
Farti credere che sia rugiada.
Mentre è solo dolcissimo veleno.
Ogni sogno abortito è una stella
impiccata. Colata a picco nel mio ventre. E i suoi schizzi bruciano. Come
neve. Ha urtato contro questa testa la mia voglia di essere compresa. Come se
provenisse da Marte. O da una galassia sconosciuta. E di essere ascoltata.
Raccolta. Strappata. Scaraventata oltre la siepe. Bagnata dal graffio di rovi
e pentimento. E frantumata. Non per non esistere. Ma esistere
infinitesimamente. Senza che nessuno potesse giudicare la impudica voglia di
dolcezza che gocciolava dalla mia bocca. Come quella di una amante che
ha appena baciato il suo uomo. E conserva l'ombra di quel bacio sulle
labbra. Come un calco. Perchè ha paura di lasciarlo arrivare al cuore.
E tenta di separare sangue e pensiero. Brividi e pudore. Indecenza e santità.
Una divina puttana. Una battona di anima. Senza avere il coraggio di
parlare. E di sussurri ho ricamato questa bocca, ancora arida e
consumata dal peccato. Adesso taccio. Non sorridete del mio errore. E non
mordetemi la nuca come gatti in calore. Nella alienazione della donna che mi
abita è compreso anche questo. Il non esistere è il mio orrore e la mia meraviglia.
Non sono un punto. Sono una retta, senza infinito. Perchè il mio infinito si
è ripiegato in parole. Come un ventaglio. O solo un sipario.
Calato, come un tramonto sul mare.
Prima che venga la sera.
Ho fiabe popolare da alberi e lame.
E radici affamate.
Nessun cavallo bianco.
Resta l'istinto a fremere sotto la
pelle.
E non mente mai.
E se anche mentisse,
non vorrei spezzare quella retta.
Interrompere la nenia.
Fragile.
Come se fosse una freccia pentita.
E la mia mente l'arco.
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venerdì 3 agosto 2012
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......
RispondiEliminacerto che starti dietro non dev'esser così facile ;] (ill.)
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