Nel gioco delle sovrapposizioni, io
non sono qui. Destinazione inferno, con un solo tasto. Ed il mio dito affonda
nella decisione, che forse è una idea. O solo un sogno. Nel gioco delle
dimensioni, la mia è quella più semplice. Io amo la semplicità. Per quello
non smetto di credere nel mondo. Deve essere tutto più semplice di quanto
crediamo. Avverto il bagliore acido di una pelle al contrario. Su cui la luna
ha lasciato la sua polvere. Qualcuno mi ha raccontato delle favole ed
innavvertitamente ha lasciato la porte della mia mente spalancata. Così di
notte vago tra castelli e monti, a caccia della scarpetta, o solo di una
capra. O dei frammenti. Della sequenza di una storia che non coincide. Come
quando le due metà della mela non si ritrovano. Il verme ha divorato un lato,
lo ha levigato, e adesso è una metà che deve fare della sua forma bislcca
un'unità. Ho camminato a caccia della bellezza, muta e silente, ne assaporavo
il richiamo. A me succede così, di gioire immensamente e poi di immensamente
soffrire, colpa della mia pelle inversa. Della voglia di fiducia, di
distendermi sotto le stelle e lasciami chiamare dal vento. Non chiamatela
sensibilità. Non ha nessun nome, forse quello di errore. Ma è brutto da
pronunciare, gratta il palato. E sento nelle lettere il disappunto che la
vita mi ha insegnato ad annusare, per scansarlo, per evitarlo, per
modellarlo. Perchè, ad un certo punto della storia, non saprei dire quale,
vivere è diventata una gara contro lo specchio. E quel bisogno, come un alito
sul collo che mi diceva di guardarmi e non sbagliare. E forse allora scelsi
di essere migliore e tra vivere ed amare scelsi l'amore. Un amore da leccare,
ovunque fosse capitato. Per sentirne il brivido del distacco e chiudere gli
occhi.
E' bellissimo saperli tenere chiusi, anche quando
sai che non dovresti.
Fino ad urtare con la luce.
E dentro quello specchio, io non mento, non posso.
Non so farlo.
Dovrei spiegare ma gli altri sanno guardare solo con
i loro occhi.
Ma non sanno prestarli.
Per quello si limitano a giudicare.
Ed io annaspo nella mia egocentrica astensione.
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Le vite degli altri sono fatte di
cose, di una molteplicità di oggetti. Di una proteiforme moltitudine che gli
giace dentro. Come se fossero sacchetti. Spesso sigillati a mano. Anche il
corpo è una cosa. La cosa tra le cose, fatta di una devastante e maestosa
fisicità in cui qualcuno, forse il dio albero, o il fumine primogenio, ha
annegato, o solo tentato, quella voce che ci ostiniamo a chiamare
l'anima e che non smette di parlarci, con i suoi fremiti, i suoi slanci, il
suo distendersi e la sua voglia di invadere, coprire, cambiare. Povera
colomba immemore, invisibile vessillo, nella palude del corpo al contrario,
nei suoi meandri, dentro, chissà dove, come dentro una prigione di carne, o
su un altare. Come se il mezzo fosse il suo assordante limite. E lo strumento
si facesse intralcio, slancio o ponte. Il corpo è la voce della mente. Il suo
disegno di sangue e aria.
Vorrei spiegarvi.
Spiegarvi lentamente.
Con la stessa lentezza che sa dosare
la forza.
Questa volta senza perdere neanche un
frammento.
Senza schegge e senza croci.
Senza saltare neanche un passaggio.
Senza perdermi nei preamboli.
Senza tutti questi senza.
La misura della mancanza di libertà.
Con il pensiero più liscio di un
nastro.
Ma mi sembra di non esserne più
capace.
Mi sono persa al confine tra dolore ed
egoismo.
L'estate è fuori da questa finestra
e ha strascichi e segni anche sulla
mia pelle.
La mia caviglia e le sue storte.
Ma io non riesco a fermarla.
Troppi eventi.
E troppo poco me, dentro di essi.
Non ho infilzato neanche un istante.
Spettatrice di tanta vita, rifuggo le
sue spire assordanti
e mi accantuccio.
Perchè voglio bere silenzio.
Perchè passerà.
Perchè è così che deve essere.
Lo so.
E cerco di non dimenticare nulla.
Prima di chiudere la porta.
Neanche tre chicchi di tormento.
Da sciogliere sotto la lingua.
Ed il mio nome stretto intorno al
polso.
Come un palloncino.
A voi lo hanno mai stretto forte
forte?
Avete mai sognato di volare con lui?
E che una volta l'ordine delle cose si
capovolgesse?
C'è un limite a tutto e, quando lo si
raggiunge,
si diventa nuovi.
E' un modo per andare via senza essere
mai tornati.
Mi piace pensarlo.
E un pò anche dirvelo.
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venerdì 3 agosto 2012
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