venerdì 3 agosto 2012


Quanta estate c'è fuori da questa finestra. La sua eco mi punge il collo, come un'ape dispettosa. Ho il suo segno e brucia. Era estate e io strisciavo altre terre. Con quella voglia di conoscere che ti rende nuova e ti disseta, prima di frantumarsi in infiniti imprintig. Quei piccoli e costanti tuffi che ti fanno battere il cuore. E ti inducono, come per incanto, nella morbida e sincera magia dell'esistenza che a volte riesci a stanare, ad affondi sempre più rapidi e forti nel tuo respiro. Apnee che si fanno catene e collane. E la vita sembra rorida come non mai. Capita così. Un riflesso di un sole, nuovo o vecchio che sia, improvviso che catapulta sulle onde. O una cupola che fa capolino, tra un dedalo di strade. Il rintocco di una campana che alita sull'odore del prato caldo e sincero. E inaspettato rinfranca e ammalia. Senza soluzione di continuità. Il balzo di un pesce, per scostare il tramonto. Come se fosse la tenda di una notte che stenta ebbra e scostante ad arrivare. Provo difficoltà nell'ascoltarmi mentre mi vomito addosso parole. E lo stordimento di non ritrovarmi poi in molte altre. E quella eco mi circumnaviga il collo, come una sciarpa lenta e soporifera. Ho quasi paura a toglierla, e non so se resisterò a tanta nudità. Non è freddo ma è paura. Purissima paura. Ho paura che qualcuno possa farmi sentire così tremendamente sbagliata. 
Ma prossima volta che guarderò il cielo sarà ancora estate?
Ho occhi graffiati che mi impediscono di individuare la linea dell'orizzonte.
Quella che lascia presagire che domani ci sarà ancora un nuovo sole.
O sempre lo stesso.
E nelle mancanze io sento quello che vorrei.
Come se il desiderio fosse l'unica linfa che sa tenerci in vita.
Quell'ardore che sboccia e si colloca in un posto più o meno generico.
Rido tra le lacrime e piango tra i sorrisi.
Perchè sono l'unico confine che mi separa da me stessa.
Prima di inghiottire il mio zahir.
Solo per spingerlo nelle mie viscere.
Mi piace trovare la direzione nel vento.
E sentire nella mia solitudine il rigore sincero con cui 
un tempo modellava l'anima.
Fino a sentire dolore.
Ma solo poco.
O forse è piacere?
 

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