Nel buio ho imparato a riguardare i colori. Poco per
volta. E' stato come ritrovarli nel posto in cui li avevo lasciati cadere.
Goccia per goccia. Chissà perchè tutto ciò che è drammatico ha una intensità
liquida. Lacrime, sangue, umori, saliva. L'umanità è quasi costretta ad essere
più intensa, quando è bagnata. C'è nel colore una sincerità incontrollabile,
quasi spaventosa nella sua ingombrante ingenuità. Non ha regole. E si dona. Un
tempo, non so più quante vite fa, ero avvezza a rotolarmi nel colore, e non mi
risparmiavo. Affondavo gli occhi nel mare, come in una tela, e ne bevevo tutto
le sfumature, ogni tono. A volte lo comunicavo, altre lo tenevo per me. E mi
piaceva. Perchè ne percepivo le variazioni. Quasi con la presunzione, a mia
volta, di essere fatta di mare. E succedeva anche per i prati, per il cielo,
per i fiori. Per caso, poi, rinvenni, delle riviste d'arte, nella libreria di
mio padre. E iniziai il mio viaggio alla ricerca di quella bellezza, nuova e
portentosa. Era la possibilità di duplicare il mondo, e poi ancora, e renderlo
infinito. Ecco, era esattamente il dono dei propri occhi agli altri. E io forse
ancora non me ne rendevo conto. E mi perdevo tra quelle figure, ne percepivo la
magnificenza, lo splendore del saper riprodurre la vita. Ero una bambina, con
il suo mondo segreto, e all'improvviso diventava di polvere e silenzio e di
libri. L'estate era questo, era la tensione della conoscenza, e i suoi brividi
portentosi, mentre ti sentivi protesa in quell'universo dilatato in cui ti
sentivi meravigliosamente incompiuta.
E mi sembrava di poterlo esplorare tutto il mondo.
E che non mi sarei mai e poi mai stancata.
Non lo dicevo, ma lo speravo, dentro.
La vita poi ti distrae.
Ha questa orribile pretesa.
Ma poi ricapita e ti risenti così.
Proprio così.
Come se fosse estate, anche se nevica.
Con l'odore di quei pomeriggi rassicuranti e pieni di
sogni, sotto le vene.
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