mercoledì 21 marzo 2012

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Il mio bisogno sordido di devastare dei, di farli a pezzi, come simulacri di una onnipotenza menzognera. Dove è la forza? Cosa la distingue dal sogno? E' come una goccia sulla roccia ricade la voglia di impiccare santi. Sono innocente ma pagana e selvaggia. Di una innocenza sporca, bisognosa e poi arcaica. Ho pregato con la carne, fino al ridicolo e adesso gioco con la cenere. Su una spiaggia muta e sazia. E stringo al petto le parole, come se fossero solo mie. Perchè le ho detto e ripetute ma nessuno le ha raccolte. Parole e foglie di un autunno senza regole. Forse ho perso l'ombrello e non so più aspettare la pioggia. Dove sei sorella acqua? Dove sorgi e dove ti perdi? E io che credevo di saper resistere, di essere forte, di saper essere forte. Quasi mi ricordo quando ho fatto di tutto per provarlo. Il morso sulla nuca in cui io scorsi l'eterno e quasi il mistico. Ma erano solo denti ed unghie. E io terra ridicola. E mi credevo terra feconda, prima di riscoprirmi deserto. Ho chiesto per errore e ho perseverato per orrore e diabolico bisogno. Mi separo dal dolore, sempre per poco tempo, troppo poco, perchè poi quella pellicola, come se fosse la mia seconda pelle, torna. Aderisce e graffia. Chi c'è c'è. E spesso è nenia. Altre incomprensione. Assorbe come un panno tutto il non detto, mischiato al troppo e troppo detto. E io non ho il coraggio di strizzarla tutta quella solitudine.
Le cose diventano diverse se le guardi da diverse angolazioni.
E' così che il mondo si trasforma,
senza mutare mai.
Il dolore è una esigenza folle ed immobile.
La verità stessa cessa di essere mutabile, non appena viene detta.
Ha bocca, mani ed occhi suoi.
Ho un suo spazio che niente e nessuno può modificare.

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