mercoledì 27 aprile 2016



Ho cercato nei tuoi occhi il Dio che è in te.
Tremava.
Imperfetto e fragile.
Con i contorni leggeri.
Con un mantello di aghi di pino.
E lacrime croccanti come il pane.
Ho vagato nei tuoi occhi.
Devota come una ancella.
Vedevo senza guardare.
E mi lasciavo scivolare dentro i tuoi battiti.
Perchè dentro di te io cercavo me.
Adesso mi lascio accarezzare dalla gioia. Quasi mi fa paura. Goccia dopo goccia. Amare richiede impegno. Non è abitudine. Bisogna rieducarsi alla gioia. Piccoli sorsi. Poco per volta. Tenerla addosso anche quando graffia come una gatta cieca. E respirarla come in un barattolo. Senza una forma.
E mentre ti parlavo mi sembrava di sfilarti la maglietta.
E che tu sfilassi la mia.
E che sopra di noi di fosse solo il cielo.
Nudi di fronte al cielo.
Ad annusare nuvole.
Con una fame immensa dentro.
Dentro di te non ho trovato me.
Io sono qua.
E sono mia.
Non ho più buoni sentimenti. Non li trovo. E non riesco a scuoterli alla finestra. Insieme al nuovo giorno. Come cuscini indolenti e bugiardi. Gonfi di abitudini. E lenzuola consumate dalla notte. Non ho più neve da accarezzare. Dove nascondere le ciglia. E guardare il cuore dal di dentro. Senza sentire dolore. Non ho seta sui gomiti. Per stringere intorno a me un pò di pudore.
E non ho più voglia.
Goccia.
E la voglia di avere voglia è piena di crepe.
E quello che cola è veleno per topi.
Non ho voce per sputare parole.
E sigilli per fermare il sangue.
Goccia.
Un'altra.
La bimba sta raccontando una storia alla femmina. Le fa le carezze e le ricopre il viso di baci. E' sempre lei. La madre di sua madre. E le struscia addosso sorrisi di velluto. La piccola è piena di forza. Come quella di uno stelo nella tempesta. E la femmina si assolge di quelle minuscole carezze di pesca. E ricuce le sue ferite. Vorrebbe donare al sonno la sua coscienza.
Non so quello che non ho.
Ma neppure quello che ho.
Oggi è davvero un giorno fragile.


C'è una strana luce. Un tramonto che urta dolcemente contro la notte. Le divarica le mani fino a dargli la forma di un abbraccio. Morbido. Spontaneo. E lo riempie di luce. Così immensa da far scomparire ogni limite. E il confine diventa dentro e poi oltre. E ripenso a tutte le volte che ho camminato per il mondo ignorando l'aria. E scansando la luce. E non ho guardato gli occhi di mio nonno. La carezza più dolce del mondo. Fatta di velluto scuro e pane profumato. Plasmata. Scorre come ricordo. E ogni volta diventa purissima nostaglia. E voglia di riavvolgere il tempo. Scorre. E si sedimenta. Nel cassetto del cuore. Dove ripongo le perle e i battiti che ho vissuto. Con la mente e con il cuore. E i pezzi di pelle che ho saputo conservare. Perchè conservare fa diventare per sempre. Non lo sapevi? La mia testa mi ha suggerito questo gioco. Superato l'istante del distacco. I margini della ferita come bordi di un lago che fagocita il tempo. Ho negato sorrisi. E non ho afferrato quelli che il mondo mi sbatteva addosso. Come se la gioia non fosse un diritto. Ho sempre scelto l'amore e sbattuto l'orgoglio al muro. E lui mi ha impresso l'ombra contro. E un pezzo in meno. Ogni volta. L'amore leviga ogni errore. Ne sono convinta e dilata il tempo. Basta che soffi.
Adesso è buio.
L'abbraccio si è dileguato nella notte.
Ma arriverà ancora la luce.
Se potessi strapperei la distanza tra il tempo e quel tempo.
Ma ho imparato che la superficie di un nuovo giorno
è un pianeta nuovo da scoprire.



C'è un cielo avaro di stelle. Come se le avessero raschiate da là. E lasciate cadere alla rinfusa. Fino a capitombolare nella terra.
E ci illuminiamo di riflessi rubati.
E li intrecciamo alle immagini. Come più ci aggrada. E alla pallida parvenza dei sogni. Quasi si abbracciano. E si spingono le unghie nella carne. E riluciamo del fiato nascosto. Trattenuto e sputato. Evirato di rabbia e di orgoglio. E legato in vita. Come il cilicio di mille colpe da scontare. Da farti sollevare le spalle. E fregartene alla grande. E' tutto così irrilevante. La misura del mondo ha mani immense. E ali che devastano. Ansima a volte l'ansia nel mio petto. E mi riempie di crepe. Sembra non contenermi. E filtro e mi filtra. E quello che sono e non sono si mescolano. Fino a lasciarmi esangue. Mi illumino e mi spengo in un pensiero. Fatto di respiro e di muro. E di ellissi e di lana.E fili incastrati nel caos. Di un tutto che è morbido e dolce. Immensamente dolce. Dormo con le mani sotto il cuscino. Perchè nessuno deve toccarle. E' là che si annida il segreto. Il segreto di giorni appena fioriti come ciclamini. Il gelo sta arrivando. Mi immergo nella voglia di cancellare. Di voltare pagina. O forse solo di arrivare in fondo. Alla fine della storia. E cancellare le parole. E impedirgli di dare e trovare un senso. Le dita come avidi falchi hanno raccolto e devasto raccolto e percorso. E mi ritrovo sola. A tremare in questa pelle. E a farmi lisciare brividi dal caso. Il gelo è sempre più vicino. Ti lascio una rosa. O solo un petalo. O solo una spina. Quella che nessuno ha voluto. E un senso lo aveva. E' sul vetro che ho scritto il segreto. Quello con l'odore dell'ardore. E del peccato. Annusato migliaia di volte prima di essere fatto scorrere. E poi l'ho nascosto con il mio fiato. Quello rubato alle stelle. Ma il gelo ha incastrato anche quello in un quadro.
L'incoerenza è una dote che curo con devoto affetto.
In attesa che dia frutti.


Ripulisco i bordi. Le sbavature degli sforzi. Guizzi di muscoli che si credono gesta. E al loro interno i lacci della identità. La mente che si contorce nel cuore. Come onde invisibili. Il cuore che pizzica la carne. La carne che si sporge nella mente. E la fa sussultare con i suoi tuffi. Tutto che si proclama tutto. E reclama la sua razione. Non riavvolgo. Ed isolo. Insofferenza cruda. Dopo strati e strati di sensibilità accumulata e stropicciata. Aghi su un prato senza semi. Su cui hanno ballato formiche solerti e silenziose. Ho steso il velo della insofferenza. Una indifferenza rossa e densa. Porta ad accovacciarsi a caccia di calore vero. Dall'odore buono. E a farsi ventre di una madre bimba. Nella chiocciola di una lumaca. Spogliarsi della insana bontà. E dello scarso coraggio. Amarsi è scegliere di non amare. E separera il frutto dalla buccia. Sigillare le vene. Cucirsi le parole al petto. Come ciondoli. Le cose possono dirsi in tanti modi. Uno solo è quello giusto. Quello che centra le parole come al tirassegno. E monetina dopo monetina ti ritrovi più povero ma più forte. Quelle parole che quasi mai gli altri riescono a mirare. E senti di non averne avute mai o mai abbastanza. Osservi le cose e ti stupisci perchè non ti toccano. Non arrivano alla tua carne.
Annusi l'aria.
E sai che sta per piovere.
Ma continui a camminare.
Perchè ne hai voglia.
La pioggia non può che farti bene.
In fondo piove da millenni.
E ha già bagnato vite e vite prima.
Crediamo di provare i sentimenti più puri ed intensi del mondo.
Solo perchè il nostro mondo siamo noi.
Se solo riuscissimo a prestarci i mondi.
O forse solo gli occhi.


Destrutturata.
La testa fra le mani.
Una luna sporca.
Le tappo la bocca e poi la guardo.
Ha chiuso gli occhi.
E rotolano come due perle.
Destrutturata.
I pezzi alla rinfusa.
E i piedi nell'erba.
Gelida.
E gelidi affondano passi.
Taglia.
Che giorno è?
Avvolgo pensieri su pensieri.
Scalzi ma veloci.
La scia è di ghiaccio.
E di ghiaccio le ali di farfalle stanche.
E strati di coscienza indifferente.
Da nuotarci dentro.
Fino ad annegarci.
Ad un tratto il mare si era spento.
Non lo sapevo.
Cercavo le sue onde.
Per infilarci conchiglie pregne.
Le ha calpestate.
Non pulsa l'ira.
E io nemmeno.
Ho compreso.
Compreso fino a non capirci più nulla.
Ho solo voglia di dare calci al vento.
Dopo avergli raccontato.
Cristalli frantumati stanno tentando di luccicare.
E io racconto.
Ma gli hanno rubato la luce.
E lo imploro di ascoltarmi.
Ma lui è muto.
E ascoltare è inutile.
Se non fosse notte li scambierei per occhi.
Ma notte non è
e mi faccio cieca.
Basta una benda.
E qualche goccia di coraggio.





C'è una solitudine quasi fluida. In cui la luce gioca con i colori. Fino a sfaldarli in ombre e scaglie di idee. E a ricamarle tra le pagine di libri mai scritti. Avidi di inchiostro. E di sudore.
E ci scriviamo la vita addosso.
E il tempo ci ricama sopra le sue pretese.
La mia è incisa qua.
Sulle mie tempie.
E gioca con il mio battito.
Siamo oggetti di carne. In cui è rimasta incastrata una anima. Il contenitore del tempo che ci è dato. E a volte tenta di sfondarlo. Non è desiderio. E' possibilità.
L'odore della pioggia si insinua nei pensieri e scivola guardingo tra le ciglia.
Ogni volta che chiudi gli occhi.
E ti tuffi indietro.
Quello che voglio è un istante immobile.
In cui lasciarsi infilarzare dalla luce.
E sentire tutto.
E sentire niente.
E poi è lo stesso involucro.
E dentro ci siamo noi.
Sto rimbombando dentro la mia testa.
E la mia testa rimbomba dentro questa stanza.
E sarà il tempo a rendere immobile questo momento.
Vibriamo sospesi nelle risatine e nelle lacrime.
Io ci vivo bene dentro la mia astrazione.
Imperfetta ed inconcludente.
Scorre intorno.
Veloce come una matita intorno alle labbra.
Dilata e colora avidamente.
Ma a volte mi assale una voglia acre ed aspra di realtà.
Scindo l'indifferenza per le cose in una miriade di utilità represse.
Le trovo quasi interessanti.
Talvolta importanti.
E così immedesimandomi negli oggetti mi ritrovo come cosa vivente.
Come cosa piena di sangue.
Dicono che si ami con il cuore.
Ma non è vero.
Si ama con tutto.
Con ogni parte.
E' per quello che il mio cuore precipita a picco nel mio ventre.
E la solitudine diventa solida.
Quasi una lama.
E lentamente fende.
La chiamano attesa.


E il diavolo che è in me ha una bocca immensa. Sorride alle mie viscere. E le annusa. E si diverte a leccarmi il cuore. Fino a farmi tremare l'anima. Non è un serpente. Nessuna forca. Ma ha la corolla di fiore. E gioca a rigirarmela nella testa. Come una sciarpa. Fino a farmi chiudere gli occhi. Per raccontarmi i colori. L'universo che un tempo persi. Un universo di colori dissolto. Per un errore. E' un diavolo buono. Spesso si pente del mal fatto. Raramente restituisce ciò che ha tolto. La chiama fame. Io la chiamerei malattia. Ha una paura fottuta del buio e si nasconde in un cantuccio ogni notte. Lo sento piangere e promettere che cambierà.Quanto vorrei credergli. Ma poi che diavolo sarebbe? Un buon diavolo. Spera di non farsi vedere. E alcune notti diventa davvero trasparente. Lo scambieresti per un angelo. Da lasciarsi le penne. E forse lo è. Ma non oso dirglielo. Credo di essere fumo. Ma abbracciarcialo è fumare nebbia.
L'angelo che è in me è sempre trafelato. Arriva sempre al momento sbagliato. E si crede cattivissimo. Ma ha solo confuso le mani con i piedi. E a volte passeggia sulle sue mani. Quasi ci balla. Basta guardargli gli occhi per capire che non sa mentire. Si rotola in menzogne a fin di bene. Perchè preservare gli altri dal dolore è il suo vestito migliore. E' permaloso. Un pessimo angelo. Ma si nasconde gli errori. Ma poi si pente e li ricerca. Anche se ha smarrito la mappa. Ha solo un vizio. Ulula alla luna. E la accarezza con le sue ali silenziose.
E io non ci sono.
Non più.
Mi sono rintanata in un angolo della mente.
Nel cantuccio che mi lasciano.
Quando ne hanno voglia.
Quando non stanno scommettendo il loro turno.
Mi limito ad osservare.
E mi basta poco per capire.
Non ho più nulla da dire.
E francamente fa un pò male.
Ma solo poco poco.
E' solo colpa delle mie mani ebbre.
Accecate dagli sputi di un arcobaleno.
Immensamente bello.


Non ho più buoni sentimenti. Non li trovo. E non riesco a scuoterli alla finestra. Insieme al nuovo giorno. Come cuscini indolenti e bugiardi. Gonfi di abitudini. E lenzuola consumate dalla notte. Non ho più neve da accarezzare. Dove nascondere le ciglia. E guardare il cuore dal di dentro. Senza sentire dolore. Non ho seta sui gomiti. Per stringere intorno a me un pò di pudore.
E non ho più voglia.
Goccia.
E la voglia di avere voglia è piena di crepe.
E quello che cola è veleno per topi.
Non ho voce per sputare parole.
E sigilli per fermare il sangue.
Goccia.
Un'altra.
La bimba sta raccontando una storia alla femmina. Le fa le carezze e le ricopre il viso di baci. E' sempre lei. La madre di sua madre. E le struscia addosso sorrisi di velluto. La piccola è piena di forza. Come quella di uno stelo nella tempesta. E la femmina si assolge di quelle minuscole carezze di pesca. E ricuce le sue ferite. Vorrebbe donare al sonno la sua coscienza.
Non so quello che non ho.
Ma neppure quello che ho.
Oggi è davvero un giorno fragile.


C'è una strana luce. Un tramonto che urta dolcemente contro la notte. Le divarica le mani fino a dargli la forma di un abbraccio. Morbido. Spontaneo. E lo riempie di luce. Così immensa da far scomparire ogni limite. E il confine diventa dentro e poi oltre. E ripenso a tutte le volte che ho camminato per il mondo ignorando l'aria. E scansando la luce. E non ho guardato gli occhi di mio nonno. La carezza più dolce del mondo. Fatta di velluto scuro e pane profumato. Plasmata. Scorre come ricordo. E ogni volta diventa purissima nostaglia. E voglia di riavvolgere il tempo. Scorre. E si sedimenta. Nel cassetto del cuore. Dove ripongo le perle e i battiti che ho vissuto. Con la mente e con il cuore. E i pezzi di pelle che ho saputo conservare. Perchè conservare fa diventare per sempre. Non lo sapevi? La mia testa mi ha suggerito questo gioco. Superato l'istante del distacco. I margini della ferita come bordi di un lago che fagocita il tempo. Ho negato sorrisi. E non ho afferrato quelli che il mondo mi sbatteva addosso. Come se la gioia non fosse un diritto. Ho sempre scelto l'amore e sbattuto l'orgoglio al muro. E lui mi ha impresso l'ombra contro. E un pezzo in meno. Ogni volta. L'amore leviga ogni errore. Ne sono convinta e dilata il tempo. Basta che soffi.
Adesso è buio.
L'abbraccio si è dileguato nella notte.
Ma arriverà ancora la luce.
Se potessi strapperei la distanza tra il tempo e quel tempo.
Ma ho imparato che la superficie di un nuovo giorno
è un pianeta nuovo da scoprire.



C'è un cielo avaro di stelle. Come se le avessero raschiate da là. E lasciate cadere alla rinfusa. Fino a capitombolare nella terra.
E ci illuminiamo di riflessi rubati.
E li intrecciamo alle immagini. Come più ci aggrada. E alla pallida parvenza dei sogni. Quasi si abbracciano. E si spingono le unghie nella carne. E riluciamo del fiato nascosto. Trattenuto e sputato. Evirato di rabbia e di orgoglio. E legato in vita. Come il cilicio di mille colpe da scontare. Da farti sollevare le spalle. E fregartene alla grande. E' tutto così irrilevante. La misura del mondo ha mani immense. E ali che devastano. Ansima a volte l'ansia nel mio petto. E mi riempie di crepe. Sembra non contenermi. E filtro e mi filtra. E quello che sono e non sono si mescolano. Fino a lasciarmi esangue. Mi illumino e mi spengo in un pensiero. Fatto di respiro e di muro. E di ellissi e di lana.E fili incastrati nel caos. Di un tutto che è morbido e dolce. Immensamente dolce. Dormo con le mani sotto il cuscino. Perchè nessuno deve toccarle. E' là che si annida il segreto. Il segreto di giorni appena fioriti come ciclamini. Il gelo sta arrivando. Mi immergo nella voglia di cancellare. Di voltare pagina. O forse solo di arrivare in fondo. Alla fine della storia. E cancellare le parole. E impedirgli di dare e trovare un senso. Le dita come avidi falchi hanno raccolto e devasto raccolto e percorso. E mi ritrovo sola. A tremare in questa pelle. E a farmi lisciare brividi dal caso. Il gelo è sempre più vicino. Ti lascio una rosa. O solo un petalo. O solo una spina. Quella che nessuno ha voluto. E un senso lo aveva. E' sul vetro che ho scritto il segreto. Quello con l'odore dell'ardore. E del peccato. Annusato migliaia di volte prima di essere fatto scorrere. E poi l'ho nascosto con il mio fiato. Quello rubato alle stelle. Ma il gelo ha incastrato anche quello in un quadro.
L'incoerenza è una dote che curo con devoto affetto.
In attesa che dia frutti.


Ripulisco i bordi. Le sbavature degli sforzi. Guizzi di muscoli che si credono gesta. E al loro interno i lacci della identità. La mente che si contorce nel cuore. Come onde invisibili. Il cuore che pizzica la carne. La carne che si sporge nella mente. E la fa sussultare con i suoi tuffi. Tutto che si proclama tutto. E reclama la sua razione. Non riavvolgo. Ed isolo. Insofferenza cruda. Dopo strati e strati di sensibilità accumulata e stropicciata. Aghi su un prato senza semi. Su cui hanno ballato formiche solerti e silenziose. Ho steso il velo della insofferenza. Una indifferenza rossa e densa. Porta ad accovacciarsi a caccia di calore vero. Dall'odore buono. E a farsi ventre di una madre bimba. Nella chiocciola di una lumaca. Spogliarsi della insana bontà. E dello scarso coraggio. Amarsi è scegliere di non amare. E separera il frutto dalla buccia. Sigillare le vene. Cucirsi le parole al petto. Come ciondoli. Le cose possono dirsi in tanti modi. Uno solo è quello giusto. Quello che centra le parole come al tirassegno. E monetina dopo monetina ti ritrovi più povero ma più forte. Quelle parole che quasi mai gli altri riescono a mirare. E senti di non averne avute mai o mai abbastanza. Osservi le cose e ti stupisci perchè non ti toccano. Non arrivano alla tua carne.
Annusi l'aria.
E sai che sta per piovere.
Ma continui a camminare.
Perchè ne hai voglia.
La pioggia non può che farti bene.
In fondo piove da millenni.
E ha già bagnato vite e vite prima.
Crediamo di provare i sentimenti più puri ed intensi del mondo.
Solo perchè il nostro mondo siamo noi.
Se solo riuscissimo a prestarci i mondi.
O forse solo gli occhi.


Destrutturata.
La testa fra le mani.
Una luna sporca.
Le tappo la bocca e poi la guardo.
Ha chiuso gli occhi.
E rotolano come due perle.
Destrutturata.
I pezzi alla rinfusa.
E i piedi nell'erba.
Gelida.
E gelidi affondano passi.
Taglia.
Che giorno è?
Avvolgo pensieri su pensieri.
Scalzi ma veloci.
La scia è di ghiaccio.
E di ghiaccio le ali di farfalle stanche.
E strati di coscienza indifferente.
Da nuotarci dentro.
Fino ad annegarci.
Ad un tratto il mare si era spento.
Non lo sapevo.
Cercavo le sue onde.
Per infilarci conchiglie pregne.
Le ha calpestate.
Non pulsa l'ira.
E io nemmeno.
Ho compreso.
Compreso fino a non capirci più nulla.
Ho solo voglia di dare calci al vento.
Dopo avergli raccontato.
Cristalli frantumati stanno tentando di luccicare.
E io racconto.
Ma gli hanno rubato la luce.
E lo imploro di ascoltarmi.
Ma lui è muto.
E ascoltare è inutile.
Se non fosse notte li scambierei per occhi.
Ma notte non è
e mi faccio cieca.
Basta una benda.
E qualche goccia di coraggio.





C'è una solitudine quasi fluida. In cui la luce gioca con i colori. Fino a sfaldarli in ombre e scaglie di idee. E a ricamarle tra le pagine di libri mai scritti. Avidi di inchiostro. E di sudore.
E ci scriviamo la vita addosso.
E il tempo ci ricama sopra le sue pretese.
La mia è incisa qua.
Sulle mie tempie.
E gioca con il mio battito.
Siamo oggetti di carne. In cui è rimasta incastrata una anima. Il contenitore del tempo che ci è dato. E a volte tenta di sfondarlo. Non è desiderio. E' possibilità.
L'odore della pioggia si insinua nei pensieri e scivola guardingo tra le ciglia.
Ogni volta che chiudi gli occhi.
E ti tuffi indietro.
Quello che voglio è un istante immobile.
In cui lasciarsi infilarzare dalla luce.
E sentire tutto.
E sentire niente.
E poi è lo stesso involucro.
E dentro ci siamo noi.
Sto rimbombando dentro la mia testa.
E la mia testa rimbomba dentro questa stanza.
E sarà il tempo a rendere immobile questo momento.
Vibriamo sospesi nelle risatine e nelle lacrime.
Io ci vivo bene dentro la mia astrazione.
Imperfetta ed inconcludente.
Scorre intorno.
Veloce come una matita intorno alle labbra.
Dilata e colora avidamente.
Ma a volte mi assale una voglia acre ed aspra di realtà.
Scindo l'indifferenza per le cose in una miriade di utilità represse.
Le trovo quasi interessanti.
Talvolta importanti.
E così immedesimandomi negli oggetti mi ritrovo come cosa vivente.
Come cosa piena di sangue.
Dicono che si ami con il cuore.
Ma non è vero.
Si ama con tutto.
Con ogni parte.
E' per quello che il mio cuore precipita a picco nel mio ventre.
E la solitudine diventa solida.
Quasi una lama.
E lentamente fende.
La chiamano attesa.


Post n°4 pubblicato il 05 Novembre 2009 da daunfiore
Ho cercato nei tuoi occhi il Dio che è in te.
Tremava.
Imperfetto e fragile.
Con i contorni leggeri.
Con un mantello di aghi di pino.
E lacrime croccanti come il pane.
Ho vagato nei tuoi occhi.
Devota come una ancella.
Vedevo senza guardare.
E mi lasciavo scivolare dentro i tuoi battiti.
Perchè dentro di te io cercavo me.
Adesso mi lascio accarezzare dalla gioia. Quasi mi fa paura. Goccia dopo goccia. Amare richiede impegno. Non è abitudine. Bisogna rieducarsi alla gioia. Piccoli sorsi. Poco per volta. Tenerla addosso anche quando graffia come una gatta cieca. E respirarla come in un barattolo. Senza una forma.
E mentre ti parlavo mi sembrava di sfilarti la maglietta.
E che tu sfilassi la mia.
E che sopra di noi di fosse solo il cielo.
Nudi di fronte al cielo.
Ad annusare nuvole.
Con una fame immensa dentro.
Dentro di te non ho trovato me.
Io sono qua.
E sono mia.
Non ho più buoni sentimenti. Non li trovo. E non riesco a scuoterli alla finestra. Insieme al nuovo giorno. Come cuscini indolenti e bugiardi. Gonfi di abitudini. E lenzuola consumate dalla notte. Non ho più neve da accarezzare. Dove nascondere le ciglia. E guardare il cuore dal di dentro. Senza sentire dolore. Non ho seta sui gomiti. Per stringere intorno a me un pò di pudore.
E non ho più voglia.
Goccia.
E la voglia di avere voglia è piena di crepe.
E quello che cola è veleno per topi.
Non ho voce per sputare parole.
E sigilli per fermare il sangue.
Goccia.
Un'altra.
La bimba sta raccontando una storia alla femmina. Le fa le carezze e le ricopre il viso di baci. E' sempre lei. La madre di sua madre. E le struscia addosso sorrisi di velluto. La piccola è piena di forza. Come quella di uno stelo nella tempesta. E la femmina si assolge di quelle minuscole carezze di pesca. E ricuce le sue ferite. Vorrebbe donare al sonno la sua coscienza.
Non so quello che non ho.
Ma neppure quello che ho.
Oggi è davvero un giorno fragile.


C'è una strana luce. Un tramonto che urta dolcemente contro la notte. Le divarica le mani fino a dargli la forma di un abbraccio. Morbido. Spontaneo. E lo riempie di luce. Così immensa da far scomparire ogni limite. E il confine diventa dentro e poi oltre. E ripenso a tutte le volte che ho camminato per il mondo ignorando l'aria. E scansando la luce. E non ho guardato gli occhi di mio nonno. La carezza più dolce del mondo. Fatta di velluto scuro e pane profumato. Plasmata. Scorre come ricordo. E ogni volta diventa purissima nostaglia. E voglia di riavvolgere il tempo. Scorre. E si sedimenta. Nel cassetto del cuore. Dove ripongo le perle e i battiti che ho vissuto. Con la mente e con il cuore. E i pezzi di pelle che ho saputo conservare. Perchè conservare fa diventare per sempre. Non lo sapevi? La mia testa mi ha suggerito questo gioco. Superato l'istante del distacco. I margini della ferita come bordi di un lago che fagocita il tempo. Ho negato sorrisi. E non ho afferrato quelli che il mondo mi sbatteva addosso. Come se la gioia non fosse un diritto. Ho sempre scelto l'amore e sbattuto l'orgoglio al muro. E lui mi ha impresso l'ombra contro. E un pezzo in meno. Ogni volta. L'amore leviga ogni errore. Ne sono convinta e dilata il tempo. Basta che soffi.
Adesso è buio.
L'abbraccio si è dileguato nella notte.
Ma arriverà ancora la luce.
Se potessi strapperei la distanza tra il tempo e quel tempo.
Ma ho imparato che la superficie di un nuovo giorno
è un pianeta nuovo da scoprire.



C'è un cielo avaro di stelle. Come se le avessero raschiate da là. E lasciate cadere alla rinfusa. Fino a capitombolare nella terra.
E ci illuminiamo di riflessi rubati.
E li intrecciamo alle immagini. Come più ci aggrada. E alla pallida parvenza dei sogni. Quasi si abbracciano. E si spingono le unghie nella carne. E riluciamo del fiato nascosto. Trattenuto e sputato. Evirato di rabbia e di orgoglio. E legato in vita. Come il cilicio di mille colpe da scontare. Da farti sollevare le spalle. E fregartene alla grande. E' tutto così irrilevante. La misura del mondo ha mani immense. E ali che devastano. Ansima a volte l'ansia nel mio petto. E mi riempie di crepe. Sembra non contenermi. E filtro e mi filtra. E quello che sono e non sono si mescolano. Fino a lasciarmi esangue. Mi illumino e mi spengo in un pensiero. Fatto di respiro e di muro. E di ellissi e di lana.E fili incastrati nel caos. Di un tutto che è morbido e dolce. Immensamente dolce. Dormo con le mani sotto il cuscino. Perchè nessuno deve toccarle. E' là che si annida il segreto. Il segreto di giorni appena fioriti come ciclamini. Il gelo sta arrivando. Mi immergo nella voglia di cancellare. Di voltare pagina. O forse solo di arrivare in fondo. Alla fine della storia. E cancellare le parole. E impedirgli di dare e trovare un senso. Le dita come avidi falchi hanno raccolto e devasto raccolto e percorso. E mi ritrovo sola. A tremare in questa pelle. E a farmi lisciare brividi dal caso. Il gelo è sempre più vicino. Ti lascio una rosa. O solo un petalo. O solo una spina. Quella che nessuno ha voluto. E un senso lo aveva. E' sul vetro che ho scritto il segreto. Quello con l'odore dell'ardore. E del peccato. Annusato migliaia di volte prima di essere fatto scorrere. E poi l'ho nascosto con il mio fiato. Quello rubato alle stelle. Ma il gelo ha incastrato anche quello in un quadro.
L'incoerenza è una dote che curo con devoto affetto.
In attesa che dia frutti.


Ripulisco i bordi. Le sbavature degli sforzi. Guizzi di muscoli che si credono gesta. E al loro interno i lacci della identità. La mente che si contorce nel cuore. Come onde invisibili. Il cuore che pizzica la carne. La carne che si sporge nella mente. E la fa sussultare con i suoi tuffi. Tutto che si proclama tutto. E reclama la sua razione. Non riavvolgo. Ed isolo. Insofferenza cruda. Dopo strati e strati di sensibilità accumulata e stropicciata. Aghi su un prato senza semi. Su cui hanno ballato formiche solerti e silenziose. Ho steso il velo della insofferenza. Una indifferenza rossa e densa. Porta ad accovacciarsi a caccia di calore vero. Dall'odore buono. E a farsi ventre di una madre bimba. Nella chiocciola di una lumaca. Spogliarsi della insana bontà. E dello scarso coraggio. Amarsi è scegliere di non amare. E separera il frutto dalla buccia. Sigillare le vene. Cucirsi le parole al petto. Come ciondoli. Le cose possono dirsi in tanti modi. Uno solo è quello giusto. Quello che centra le parole come al tirassegno. E monetina dopo monetina ti ritrovi più povero ma più forte. Quelle parole che quasi mai gli altri riescono a mirare. E senti di non averne avute mai o mai abbastanza. Osservi le cose e ti stupisci perchè non ti toccano. Non arrivano alla tua carne.
Annusi l'aria.
E sai che sta per piovere.
Ma continui a camminare.
Perchè ne hai voglia.
La pioggia non può che farti bene.
In fondo piove da millenni.
E ha già bagnato vite e vite prima.
Crediamo di provare i sentimenti più puri ed intensi del mondo.
Solo perchè il nostro mondo siamo noi.
Se solo riuscissimo a prestarci i mondi.
O forse solo gli occhi.


Destrutturata.
La testa fra le mani.
Una luna sporca.
Le tappo la bocca e poi la guardo.
Ha chiuso gli occhi.
E rotolano come due perle.
Destrutturata.
I pezzi alla rinfusa.
E i piedi nell'erba.
Gelida.
E gelidi affondano passi.
Taglia.
Che giorno è?
Avvolgo pensieri su pensieri.
Scalzi ma veloci.
La scia è di ghiaccio.
E di ghiaccio le ali di farfalle stanche.
E strati di coscienza indifferente.
Da nuotarci dentro.
Fino ad annegarci.
Ad un tratto il mare si era spento.
Non lo sapevo.
Cercavo le sue onde.
Per infilarci conchiglie pregne.
Le ha calpestate.
Non pulsa l'ira.
E io nemmeno.
Ho compreso.
Compreso fino a non capirci più nulla.
Ho solo voglia di dare calci al vento.
Dopo avergli raccontato.
Cristalli frantumati stanno tentando di luccicare.
E io racconto.
Ma gli hanno rubato la luce.
E lo imploro di ascoltarmi.
Ma lui è muto.
E ascoltare è inutile.
Se non fosse notte li scambierei per occhi.
Ma notte non è
e mi faccio cieca.
Basta una benda.
E qualche goccia di coraggio.





C'è una solitudine quasi fluida. In cui la luce gioca con i colori. Fino a sfaldarli in ombre e scaglie di idee. E a ricamarle tra le pagine di libri mai scritti. Avidi di inchiostro. E di sudore.
E ci scriviamo la vita addosso.
E il tempo ci ricama sopra le sue pretese.
La mia è incisa qua.
Sulle mie tempie.
E gioca con il mio battito.
Siamo oggetti di carne. In cui è rimasta incastrata una anima. Il contenitore del tempo che ci è dato. E a volte tenta di sfondarlo. Non è desiderio. E' possibilità.
L'odore della pioggia si insinua nei pensieri e scivola guardingo tra le ciglia.
Ogni volta che chiudi gli occhi.
E ti tuffi indietro.
Quello che voglio è un istante immobile.
In cui lasciarsi infilarzare dalla luce.
E sentire tutto.
E sentire niente.
E poi è lo stesso involucro.
E dentro ci siamo noi.
Sto rimbombando dentro la mia testa.
E la mia testa rimbomba dentro questa stanza.
E sarà il tempo a rendere immobile questo momento.
Vibriamo sospesi nelle risatine e nelle lacrime.
Io ci vivo bene dentro la mia astrazione.
Imperfetta ed inconcludente.
Scorre intorno.
Veloce come una matita intorno alle labbra.
Dilata e colora avidamente.
Ma a volte mi assale una voglia acre ed aspra di realtà.
Scindo l'indifferenza per le cose in una miriade di utilità represse.
Le trovo quasi interessanti.
Talvolta importanti.
E così immedesimandomi negli oggetti mi ritrovo come cosa vivente.
Come cosa piena di sangue.
Dicono che si ami con il cuore.
Ma non è vero.
Si ama con tutto.
Con ogni parte.
E' per quello che il mio cuore precipita a picco nel mio ventre.
E la solitudine diventa solida.
Quasi una lama.
E lentamente fende.
La chiamano attesa.


Post n°4 pubblicato il 05 Novembre 2009 da daunfiore
Ho cercato nei tuoi occhi il Dio che è in te.
Tremava.
Imperfetto e fragile.
Con i contorni leggeri.
Con un mantello di aghi di pino.
E lacrime croccanti come il pane.
Ho vagato nei tuoi occhi.
Devota come una ancella.
Vedevo senza guardare.
E mi lasciavo scivolare dentro i tuoi battiti.
Perchè dentro di te io cercavo me.
Adesso mi lascio accarezzare dalla gioia. Quasi mi fa paura. Goccia dopo goccia. Amare richiede impegno. Non è abitudine. Bisogna rieducarsi alla gioia. Piccoli sorsi. Poco per volta. Tenerla addosso anche quando graffia come una gatta cieca. E respirarla come in un barattolo. Senza una forma.
E mentre ti parlavo mi sembrava di sfilarti la maglietta.
E che tu sfilassi la mia.
E che sopra di noi di fosse solo il cielo.
Nudi di fronte al cielo.
Ad annusare nuvole.
Con una fame immensa dentro.
Dentro di te non ho trovato me.
Io sono qua.
E sono mia.