lunedì 30 marzo 2009

Cerco di sentire il solco del mio calore.
Come se fosse una scia.
E in esso affondo.
Ci nuoto.
Dentro.
Sfiorando il fondo.
Ogni volta.
E mi avvolgo.
Lurida incoscienza.
Leggera e trasparente.
Brilla come una stella pazza.
Bellissima ma disperata.
Fili di calore strusciati contro la mia schiena.
Fino all'oblio.
Per dimenticarmi.
E dimenticare di essermi dimenticata.
Al margine di ogni possibilità.
Come se fosse un precipizio.
E strofino le mie ossa contro la luna.
Prima del salto.
Fino a confonderla con la pelle.
Perdendo pezzi.
Di me.
Ad occhi chiusi osservo.
Le mie paure farsi bosco.
La luna si stiracchia e si insinua.
E filtra il buio.
Fatto di velo.
Candido come una nuvola.
E zucchero a velo.
Da soffiarci sopra.
Vestita solo di luna e di buio.
Pizzico le pieghe del tempo.
Come un'arpa.
E lo dilato.
Fino a farlo vibrare.
Così mi sembra.
E ricerco brandelli di verità.
Riconosco la menzogna ormai.
Ma non la comprendo.
Quello che resta è il vero.

Eppure vorrei capire.
Labile è il confine tra una verità ed il suo contrario.
Basta uno specchio.
E nel riflesso la verità si spegne.
E resto senza immagine.
Fuori da me.
La coerenza è la capacità di accettare ogni nostro cambiamento.
Senza percepirci nella trasformazione.
Ma solo prendendone atto.
Una specie di atto di fede.
Supplici e blasfemi davanti al Dio del tempo.
Perchè la vita è una preghiera.
Fatta di respiro.
Basta solo lasciarsi scivolare.
Nella volontà.
Come se fosse la corrente di un fiume.
Potente è la voglia di lasciarsi andare.
Apnea.
Pieno di acqua. O vuoto d'aria
FINE
Post n°27 pubblicato il 28 Marzo 2009 da daunfiore
Perchè di fine e di inizio noi viviamo. Sono urti e carezze. Morsi e baci. Sono onde. Del medesimo mare. E così snodiamo il corso dei pensieri. E degli eventi. Ci muoviamo nel vento. Perchè di vento siamo fatti. Per sopportarlo. E resistergli. E assecondarlo. In fondo, il vento è il modo in cui il mondo può dispensarci carezze. Io ho paura di tutto ciò che conosco. Più che di quello che non conosco. Ed in fondo siamo condannati a non conoscere e a non conoscerci per sempre. Vorrei un posto dove riuscire a scrivere dal di dentro. Dove arrivare a fondo. Sotto una corteccia. E incidermi senza il timore di un eccesso. Io invece esagero. Un posto dove manifestare non sia debolezza. E nessun possa rigare e scheggiare la fragilità. Essere sensibili è una condanna. Riguarda la pelle non l'anima. E' là che la vita lascia le cicatrici. Ma io credo che ammettere la fragilità sia un pò forza. Anche se non seduce. Mi spoglio e mi rivesto. E resto uguale. E' come se la goccia continuasse a urtare la stessa superfice e non so coglierne le variazioni. Solo perchè sono mie. E' come se la gente si vergognasse del bene fatto. E preferisse ostentare il male. Osservo sempre il male. Senza riserve. E difese. E' così che posso studiarlo. Capirlo. Sentirlo. Fino in fondo. Fino ai miei confini. Per poi allontanarmi. Fine perchè è un inizio. E sono stufa delle cose nette. Fine perchè è più facile da immaginare. Se dicessi inizio avrei paura. E allora dico ancora fine. E sciolgo in un sorriso ogni parola. Non c'è nulla di più bello. O forse sì. Autenticità. Ma è così difficile. E se ne ho spersa un pò chiedo scusa. Mi perdo nelle parole. Sempre troppe. E sbagliate. Ne bastava una. Fine.

venerdì 27 marzo 2009

Striscio pensieri sulla carta. Perchè così è più facile dimenticarli. Ed assentarmi dalla mia mente. La scatola del tormento. Non ci sono.
Non sono dentro me.
Sono su quel foglio di carta.
Sono solo un disegno
di sangue e unghie.
Fodero la mia assenza di corolle di rose. Odorose e stanche. E mi confondo tra il pudore e la vergogna. Li scambio. Fino a infrangere ogni paravento. Veline mi frustano il viso. E smangiano il mio mascara. Urtano contro le mie ciglia. E le disperdono nel vento.
Sono una ciglia che si è smarrita.
Senza padrone.
E di delirio poi mi tuffo tra petali aridi. Non sono attenta ai dettagli. Muovo le mani nella sagoma. Per riempirla di brividi. Ma non riesco a scorgere i particolare. Non più. E mordo ogni striscia di comprensione. Come se fosse un nastro. Ed è per quello che mi ferisco le labbra.

Il pudore e la vergogna sono solo riflessi.
Dell'anima.
Delle sue ombre e della sua luce.
Ognuno sceglie in che ordine.
In attesa che la ferita si rimargini, mi perdo nel vermiglio del mio sangue.
Separo le cause dagli effetti. E mi muovo in un mondo senze conseguenze. Le sbatto lontano. Come se fossero schizzi. E mi sposto in uno spazio senza reazioni. Spostando cause. COme massi. Un universo effimero. Fatto di istinto. Puro. Ma denso. Come se sperimentassi. E io fossi il tentativo di me stessa. Il peggiore possibile. Ma la reazione è lontana da me. Non posso neanche scorgerla. Mi sforzo di immaginarla. Mi viene in mente solo una freccia.
Un punto deve esserci. Un fiore. Una stella. Un piccolo sole. Da inchiodare. Infilzare. Impedendogli di perdere sangue. E lasciare immobile. Come luce. Senza calore. Capace di donare il senso della direzione.
Con l'odore del vento.
Da afferrare.
O da spezzare.
Per sempre.
Sono una torcia che langue. Il tempo ha risucchiato la mia fiamma. Ma sento. L'aria consumata intorno a me. E sento che gli eventi si ripeteranno. Si incastreranno nello stesso identico modo. E che succederà ancora. E come allora posso solo raccogliere. Cenere. E chiudere gli occhi. E lasciarli andare a picco. Dentro.
Mi sono cosparsa la fronte di aurora.
E non vedrei che quella.
Se solo aprissi gli occhi.
"Dimmi la prima parola oscena che ti viene in mente. La più oscena. Il più possibile."
Amore.

giovedì 26 marzo 2009

Cancello le impronte. E i miei confini. Per confondermi. E perdermi nel buio. Qualcosa resta sempre. Tra le mie vertebre. Testimoni. A volte urlano. Altre si ritraggono. Lasciandomi in tutta la solitudine di cui sono degna. Come un materasso in piena notte. E il corpo che si struscia contro. A caccia di calore. O solo di compagnia. Parole incastrate sulla mia schiena.
E il mio nome urlato sulla mia pelle.
Non lo conosco più.
Io non esisto.
Cerco le stelle. Per spegnerle. E vendicarmi. Di una bellezza che non mi appartiene. Ma l'unica bellezza sarebbe accettare. E amarsi. Se solo avessi un nome. Potrei rubarne uno.
Foglia in una notte piena di vento e stelle.
Tremo.
E non è freddo. E' abitudine. Ad una nudità. Ostinata. Morsi di asfalto. A caccia di linfa. Perchè non so attendere. E forse neanche rispettare. E' il tempo che fa paura. Diluisce la memoria. La sbiadisce e me con lei. E solo così si ha un senso. Nel ricordo degli altri. L'oblio è una terribile sconfitta. Smangia pezzi di noi. Della nostra in_esistenza.
Il tuo odore. Sui miei polsi. Mescolato alle mie lacrime. Fino in fondo. Aghi negli occhi. E non vedi che quelli. E dentro ci galleggia tutto. Senti solo quelli. Due occhi come oceani. Veleno e rugiada. Hanno segnato il campo. Ed è strano. Tutto confluisce nello stesso solco. La gioia ed il dolore. Di seguito. Senza poterli neanche distinguere.
E il tuo odore. Sulle mie ciglie. E nel mio gomito. E anche il solco. Del mio lasciarti andare. Che poi era trattenerti. E nel mio gomito tornavi. A riempirlo di baci. Come se le mie braccia fossero l'unica corda che volevi stringere. Capace di legare l'impossibile. Un sentiero da cancellare. Ed il tuo sigillo l'unico modo. Prima di chiudere gli occhi. Ostinata. E affondare nella assenza.
E ancora il tuo odore. Tra labbra e mento. Sparso e contaminato dal bisogno. Fino al precipizio. In cui mi tuffavo. Senza lasciare traccia. Recuperando ogni segno. Riavvolgendolo.


Fino a non poterne più.
E sentire il tempo e l'oblio.
Tra le ossa.
Sotto la pelle.
Fino in fondo.
Fino alla fine di me.

mercoledì 25 marzo 2009

La sensibilità è il tocco di una pelle al contrario. Senti dal di dentro. Il mondo ti pulsa nella pancia. Tulipani e artigli. Tutto dentro. Senza fessure. Come se fossi una serra. E una tana. E non vuoi lasciare vedere tutto questo. Il senso della non comprensione ti imbratta il ventre fecondo. E percepisci il caldo ed il freddo. Dell'anima. Fino ad esplanderlo nei sensi. Come un groviglio. Una matassa. Dalle vene all'anima. Dall'anima alla carne. Dove finisce tutto. E' un pozzo. Coltivi lo stupore. Come un vaso sul davanzale. Schiavo della luna. Sempre la stessa. Dolcissima e stronza. E lo innaffi di te. E di tutto l'amore di cui sei capace. E a volte è davvero poco. Poco stille. Come se non avessi altro sangue. Altre ti stupisce. Esplode come una pioggia d'estate. Tu non vorresti altro che poterla raccogliere e conservare. Per farne ghirlande. Gravide di pioggia e di amore. E adornarti. E Donare. Per cancellare. Come se ogni bacio fosse un bacio del cielo alla terra. Quasi un morso di cielo.

Le mie dita sono radici avide di cielo.
E ricercano la storia su pezzi di vetro.
E' così che la pelle si riempie di ferite.
Nel tentativo di rimarginarle.
E' che la pioggia ha lasciato i suoi segni.
Ed i più dolorosi non si vedono.
Se si ama si ama tutto.
Fino alle imperfezioni.
E se adesso raccontassi una storia
sarebbe fatta di silenzio.
Purissimo silenzio.

domenica 22 marzo 2009

Il vento affetta l'orizzonte. In strisce di futuro. E ogni tramonto sugge spazio al cielo. E si espande. Esplode. Come un amplesso d'amore. La parte più bella è il dopo. Quando si è senza anima. Svuotati. Si è donato al mondo quello che si può. Una specie di proprio personale senso dell'immenso. Ed il tramonto è sprofondato nella notte. E della luce c'è solo un ricordo. E la sua idea è una carezza. La più dolce del mondo. Sbavato è il limite tra la notte ed il giorno. E il margine è solo una idea da ricercare. Nella bufera confondiamo la pioggia con il mare. E scansiamo l'acqua senza saggiarla. Forse accoglierla è la cosa più semplice. E più giusta. Come tutte le cose semplici. E pure. Come se ogni solitudine fosse una zattera. Nello stesso oceano. L'unica preoccupazione è modellarci al movimento della tempesta. Per esserne parte. E resistere. Incuranti delle altre zattere. Allontanarsi dagli altri diventa l'unico modo. Per percepirsi. Forse basterebbe ribaltare la zattera.


Ho rubato una delle strisce di orizzonte secrete dal cielo.
E la tengo stretta.
Nonostante questa pioggia.

venerdì 20 marzo 2009

Se adesso scrivessi, sbaglierei le parole. Parole sbagliate. E forse è già successo. Non so spiegare. Ho un sasso mischiato al cuore. Urta. E scivola sempre più a fondo. E si incastra come una nave che va a picco. Mi rivolto il cuore. Ma non lo trovo. Lo sento. Senza riuscire a trovarlo. E io mare in tempesta. Tempesta in cui il cuore devasta il corpo. E il corpo distrugge l'anima. La nave si inabissa. Tra i pezzi del cuore. Del mio stomaco e delle mie dita deliranti. Tracciano profili. E tra parole. Come se fossero scialuppe. Nessuno capisce. E io non capisco nessuno. Non mi raggiungo. E gli altri riempiono solo l'assenza. Con i loro passi immemori. E mi immergono nella patina della distanza. Prostrata all'altare del mio ego. Cerco negli altri i miei segni. Scruto la mia pelle. Scandaglio la loro carne. Con occhi affamati. Di una fame e di una rabbia. Inspiegabili. Oltre ogni limite. E se non li trovo mi convinco di non essere mai esistita. Di essermi sognata. Di aver immaginato questa vita e le altre. Di essere una storia che mi sono raccontata e in cui ho sbagliato il finale. E tra le labbra livide scie di impotenza di un mare in tempesta. Prosciugato.
Risulto dispersa.
E forse è così.

giovedì 19 marzo 2009

Dentro una corolla. Sporca.

Ogni volta. Il giro non finisce. Come se la forza durasse meno di un giro. Sabbia e aria contro. E l'odore del mare. Voi lo sapete quanto è bello il mare in inverno? E occhi sulla mia schiena. Come aghi. E io intenta a girare. Non percepisco gli occhi che scrutano le mie imperfezioni. E le cuciono in un giudizio. E a metà giro. Precipito. Come se la forza fosse sempre poca. E mi sbatto nel dopo. Apnea di tempo. E il dolore si intreccia come vite al mio respiro. Estirpo piano il senso di incompiuto. E tra le dita restano brandelli di aria e sangue. E petali. Riprendere il giro? Tornare indietro? Chiudo gli occhi. Come un tuffo dentro. Capire è ripercorrere la mappa dei miei nei. E della mia imperfezioni. E implodere nelle mie pupille. Farle mare. E raccogliere le ciglia sparse nel vento. Contare e ricontare. Per tesserne uno scialle. Di errori e di incomprensioni. Figlie di parole mozzicate. Rubate. Ho paura del silenzio. Lo puoi riempire di tutte le parole. Anche quelle sbagliate. E poi le parole non bastano mai. Non colmano vuoti. Solo il silenzio può. Colmare le distanze.
Volevo solo il tuo cuore muto contro la mia schiena.
Non avrebbe cancellato.
Ma solo accarezzato i miei errori.
Gli errori sono semi di una pianta.
Si chiama vita.
O solo possibilità.
Forse lo sbaglio è nel separare la ragione dalla follia.
E' quello che ci impedisce di ritrovarci tutti.
E ci amiamo a strati.

martedì 17 marzo 2009

Fodero di lucida solitudine gli spigoli della mia scatola. Oscillo sul limite. Ai confini di me. La percezione dell'indefinito mi riempie di brividi e lividi. E il dolore sporca i margini di ogni emozione. Come se fosse la emozione delle emozioni. E mi accarezzo il capo. Lo strofino. Come un gatto con la pancia nel sole. Non vorrebbe che essere là. In quel posto preciso. Senza contaminazioni. Vento e sole mi accarezzano la mente. Nascondono le ombre. E il mio neo ha smesso di piangere. "Riempilo di baci". Di baci casti. Come l'amore sognato. La mia pelle ha fame di luce. Ma devo. Devo proprio. Coprirla di buio.
"Sei allegra oggi?"
"Non so. E che ho solo voglia di non essere più triste".
Tutto cambia.
E tra le mie ciglia c'è già il domani.
E una goccia scivola e non sai se è sangue o rugiada.
Mi ritrovo ad imbrattare di sorrisi la primavera che mi sbatte contro.
E contro il viso.
E di luce io vago.
Per allontanarmene.
Come se la mia famiglia fosse l'aria.
Accarezzo la mia scia di conchiglie bianche.
Tutte diverse ma uguali.
E di ricordi mi perdo.
Non oso guardare dietro.
Strappo i ricordi e li lancio lontano.
Perchè mi precedano.
Avanti e lontano.
Perchè sigillo il futuro.
Oggi non ho voglia di regole.
E di dare alle cose il loro nome.
Senza cose e senza nome.
Oggi sono nessuno.
Solo la padrona del mio neo.
Finalmente felice.
Del mio poco.
Anzichè niente.

Forse piangere è più facile che ridere.

domenica 15 marzo 2009

Baciami luna

E mi assento. L'aria avvolge. Striscio aliti. E occhi. Nascondo l'iride. Mi perdo in una solitudine. Morbida come un maglione. Conforta e riscalda. E di oblio dipinge la mia mente. Ed i miei fianchi. Spingo aria. Per allontanarla. O forse solo per trattenerla. Oltre c'è una ragionevola consistenza. E ora non voglio. Mi dipingo ali di assenzio. Liscio come un nastro. E una carezza. E il buio è solo una coperta. Nella quale annegare. E di inconsapevole leggerezza fluttare. L'aria a volte graffia. Incide battiti. La musica ora è un guanto. E ci ondeggio dentro. Voglio solo non esserci. Amami luna. E portami lontano. In uno o più anelli di fumo. E nella scia di una stupida sigaretta. E nei raggi di una bicicletta. Veloce nella notte. Sminuzza aria. E la schizza lontano. Masticata dal signore della assenza. E dai suoi risucchi. E la musica ora scivola. Come un rhum troppo annacquato. E i suoi rivoli agli angoli di una bocca assetata. E sul mio collo. Abbracciami, luna bastarda. E soffocami. Adesso è solo un istante. Ed è già passato. La musica è lontana. E le mie dita raschiano strati di aria. E di lucida assenza. E questa coltre spessa che si chiama ritorno. La salsedine assedia la mia mente. E secerne il mio guscio di sale. Polsi sotto l'acqua gelata. Ma non cancella tutto. E mi rannicchio. Mi accuccio. E dimentico ancora. E dimentico di dimenticare. E il sole è tornato. Al suo posto. Come era più che prevedibile. Ma ti penso luna.
A volte.

giovedì 12 marzo 2009

Raccolgo stelle. Le strappo dal cielo. E le nascondo. Sotto la pelle. Distruggendone la forma. Ho le dita che sanguinano. E cancello ogni traccia. Ripulisco la loro bava. Ed il mio sangue. Faccio il percorso a ritroso. Di stelle affamate. E ne spengo l'ira. Lentamente. Soffiandoci sopra. Di umiliazione si può morire. Stelle furenti. Pulsano e tremano. Impedendomi di urlare. Urlerei rosso ora. Griderei il loro di dolore. E non è il mio. Il mio lo ha ingoiato la luna. E lo srotola. Fili di luna. E una mappa muta. Tra le mie vene. Le trattengo strette strette le stelle. Insieme a quello che provo. Che mi sta battendo in petto. E a errori gocciolanti di cruda autenticità. Non posso esimermi. Comprimono le stelle e le incastrano alla mia nuca. E guardare il cielo non ha mai fatto tanto male.
Sento il tuo respiro sfiorarmi il collo.
E non so se mi bacerai.
O mi morderai.
Attendo.
Ci sono morsi che sono più dolci di qualunque bacio.
Sigillano l'appartenersi.
Un penetrarsi senza fine.
Un perfetto incompiuto.
E baci più crudeli di un morso.
Strappano pezzi di noi.
Rubandoci uno strato.
Il tuo respiro è fatto di mille respiri.
E di occhi che scrutano.
E scavano.
Non troverai più stelle dentro di me.
Le ho spinte in fondo.
Dove nessuno può scorgerle.
Nessun segreto nel mio scrigno.
Le mie dita si sono arrese.
Hanno confessato tutto.
Anche il loro peccato.
Scavandolo nella terra.
Deponendovi una perla preziosa.
La verità.
Anche quella che non conosco.
E che mi nascondo.
Altro di me non resterà.

martedì 10 marzo 2009

Temo la convessità. E apro le braccia solo per accarezzare il mondo. In genere con le parole. Striscio la vita di parole. Ci cospargo gli altri. E a volte con il silenzio. In quei momenti a parlare è il mio cuore. O meglio la sua ombra. Ho un cuore logorroico. E mi invade di parole. E poi non sa tradurle. E trattiene. E urta. E sputa via. Pensieri che non saranno mai veri pensieri compiuti. Nè parole. Mai le parole giuste. Il giusto è il compromesso tra noi e la vita. Sigillo ipotesi. Non voglio che si contaminino di certezza. E di perfezione. Sarebbe come ritrovarsi inaspettatamente a vivere di lucidità. E io vivo di sensi. E di spontanea inconsistenza. Di fiumi che diventano rapide e si ritrovano pozze. E pozze che si gonfiano di diluvi e si rituffano in mari.
E' il confine che temo. E voglio inzupparmi di tenera incoscienza mentre lo varco.
Pago sempre i miei debiti.
E il prezzo è in foglie.
E in respiri.
Tra spalle e collo si è insinuato
stanotte un delizioso tepore.
E mi ha cullata.
L'ho trattenuto finchè la lucidità è svanita.
Restituendomi al mio sonno.
E ho smesso di contare le foglie raccolte.
Bottino di vita.
Nascosto sotto il cuscino.
E' che sto cercando di imparare a fare a meno degli altri.
E di tentativi, vivo.
E mi confondo tra mani e radici.
E sbaglio sempre la direzione.
Verso il cielo.
Come se fosse un immenso campo.
Dove saziare la mia fame di terra.
E del suo odore.
E le caviglie fossero rami.
E i miei capelli erba di un campo.
Dove intrecciare fiori.
O solo pensarli.
Sognarli.
E di immaginazione vestirli e denudarli.
Siamo clessidre.
Fatte di carne e cuore.
Incerto è il tempo in cui saremo ribaltati.
E le stelle diventeranno fiori.
Ed un disco mutante staccherà i suoi raggi.
Facendosi luna.
Ci è concesso di rubare granellini alla nostra clessidra.
E lanciarli lontano.
Dove è difficile vedere.
Si può solo immaginare.
Lontano è la misura della possibilità.
E della difficoltà.
Non ho smesso di sognare.
Ma di cercare di comprendere i miei sogni.
Di dargli una forma.
Io sogno sfuso ed astratto.
E' come sognare bolle.
E ricoprirle di terra.
Come se fossero semi.
E annegare il buio nella luce.

domenica 8 marzo 2009

Non ho voglia di parole.
Ma di afferrare la luce di un cristallo.
E conservarla.
Per un istante.
Macchio i miei pensieri di sensibilità.
Sale su labbra ferite.
Saliva e tempo placano il dolore.
E il sole inaspettatamente riempie gli occhi.
E si stiracchia nell'aria ancora perplessa.
Quante notti a farmi gocciolare sulla fronte
desideri e paure.
E ad attendere quelle gocce.
Protesa in spasmi di tempo nell'attesa.
Nervi e vene.
Intrecciate al cuore.
Come se fosse l'ultima acqua stillata
dal mondo.
E poi dover morire di sete.
Confessioni tiepide e promesse sgozzate come agnelli.
E io a ripulire il sangue e le tracce.
E l'innocenza.
Inutile e blasfema.
Basta un sorriso del sole.
E dilatarlo tra le mani.
E questo si chiama ieri.
Forse solo per poco.
E oggi ha il suono di un cristallo timido.
Pregno di riflessi e di meraviglia.
Lo sento.
E quella sensibilità che vibrava tra anima e carne
fino a riempirle di crepe
è solo un segno in più.
Qui.
Ancora sulla mia pelle.
E' la pelle che raccoglie tutto.
Nulla va perso.
Nulla è sciupato.
Anche il dolore.
L'importante è che la delusione non diventi veleno.
E ci sporchi di disincanto.
Quel riflesso ancora brilla.
E lo trattengo.
E mi piace.

sabato 7 marzo 2009

Ritaglio uno spazio bianco. Per inciderci il silenzio. Liscio i suoni con le dita. Allontanando ogni respiro spurio. Apnea. Candida apnea. Non è attesa. Ma certezza. Il segreto è nella misura. Nell'equilibrio mentre si affonda. E si lacerano strati. Di una placenta mai secreta. Si chiama intimità. E a volte fragilità. Non me ne vergogno. Forse dovrei.
Nel bianco siamo tutti dotati di una forza che è istinto.
Pura come il vento.
Soffio di infinito.
Senza pretese.
Nè aspirazioni.
Ritaglio un altro angolo. Ne ripulisco il candore. Smusso delicatamente i contorni. Ferendomi nel pensiero che cerca di sradicarlo. Dalla casa dei colori. Gli argini sembrano incontenibili. E il rischio è di sporcarsi. Che non è rischio.
Ma è vita.
Lo sto osservando.
Non è dolore.
Solo pudore che sanguina.
Gocce di pudore.
Un tempo fu bianco.
Non c'è magia spontanea in una bolla di sapone.
L'incanto si scinde nella materia.
E nelle sue regole.
Oltre c'è solo pura emozione.
Incontenibile.
E a volte accade.
Le ombre si sfiorano.
E si fanno chiamare anima.

venerdì 6 marzo 2009

Pallida è la luna.
E le sue vene pulsano.
Pezzi di luna sparsi nel cielo.
Come piccoli specchi.
Dita candide.
Mescolate come fili d'erba.
Come la coppa di un segreto.
Vorresti solo che qualcuno lo strappasse.
Via dalla bocca.
E' fredda la notte.
Ma luminosa.
Annodo parole a sassi.
E li lancio lontano.
Il più possibile.
Li seguo con gli occhi.
E la mente.
Parlo con i passi.
Con la lontananza.
Sull'asfalto la storia.
Impolverata.
Strisciata.
Calpestata.
Dimenticata.
Un abbraccio di luna.
Sulle spalle.
Una carezza.
E poi ancora.
Non basta mai.
Avidità di dolcezza.
Avvolge come un cielo luminoso.
Quasi caldo.
I suoi fili di luna a baciarmi la schiena.
Ad intrecciarci brividi.
Come un passato difficile da dimenticare.
E una frustata.
Sulle ferite nude.
Stelle immerse nel sangue.
Fili di luna incastrate sulle mie vertebre.
Rimbalzano.
Una per una.
E fanno rumore.
I segni non si cancellano.
Segnano il percorso.
Quello da evitare.
I segni hanno una voce.
Quasi raccontano.
Come se fosse amore...

giovedì 5 marzo 2009

Astratta.
Come una nuvola.
Cosparsa di cielo.
Mi arrampico nell'etere.
O sto solo scivolando.
Dal lato opposto.
Dentro un imbuto.
Cacciatrice di forme.
Così mi ritrovo.
Mi perdo.
E mi raccolgo.
Mi manipolo.
Come creta vivente.
Di giorni a venire.
Ed una trama senza storia.
Solo un finale.
Uguale.
Non c'è una forma giusta.
Il tempo è la forma del mondo.
La sua camicia di forza.
Informe è l'anima.
E non c'è fame che riesca
a rendermi concreta.
Perchè di fame si tratta.
Astratta nel senso di una fame immonda.
Senza regole.
Mi cingo di ombre di mughetti.
E mi perdo nel loro odore.
Come se fosse musica.
Invece è solo battito.
Nella danza con il nulla.
Danza la mente.
E il cuore.
E le mie ciglia.
Interrotte.
Mi dono.
E mi nego.
E mi cancello.
Separo me
da ogni mio accessorio.
Perchè astratto è l'essenziale.
Nella sua morbida mutevolezza.
Perchè la verità è nel vento.
E spesso non è essenziale.
Non trattengo dettagli.
Riesco solo ad intuirli.
E spesso confondo.
Astratta come una nuvola.
O come la pozzanghera che la raccoglie.

martedì 3 marzo 2009

Sensuale e incontenibile è un'alba in pieno inverno. Filtra la notte. La buca. Quasi la squarcia. In un giorno nuovo. E lo spalanca. Come un balcone nel vento. Carezza e schiaffo. Di palpebre e luce. E le ombre si rincorrono. Si strofinano. E lasciano un segno. Invisibile. Come occhi crudeli. Su lenzuola e sogni. Sgualciti. Percepisci. E subisci. Irresistibile. Una collana di rugiada e foglie schiuse. L'odore del giorno sa di luce incerta. A ricamare ombre con i suoi fianchi pieni. Ed è mattino. Il sapore della luce e del freddo brilla ed incanta. Sì. E' un giorno nuovo. Quasi pulito. E sa di giornali. Con i fogli lisci ed intonsi. Di polvere e di strada. E di me stessa. Di false promesse. Ingoio sogni come se fossero pillole. E sembrano dolci.
Il mondo si ribalta. E non cambia molto. Ma non abbiamo il coraggio di ammetterlo.
Uccidiamo giorni.
Con una sola voglia.
Vivere.
Ancora.
E oltre.

Sotto la mia pelle. Lo sento percorrermi. Un ragno rosso. Non riesco a fermarlo. Fende la nebbia. Come sotto un cielo grigio. Il sole comunque c'è. Ma lui mi graffia il cuore.
Se gli raccontassi una storia forse lo convincerei. Ad addormentarsi. E io con lui.
E ad uscire da dentro di me.
La racconto a me la storia.
E' sempre la stessa.
E lui è ancora nel mio corpo.
Ma non fa male.
E' più facile abituarsi al dolore che alla gioia.
La gioia è un intervallo che fa paura.
Tra respiri spuri e spersi.
E fitti.
E io respiro tutta la vita che posso.
Come mai prima.

lunedì 2 marzo 2009

Strappo i dettagli.
Come petali intorno alla corolla.
E poi li inverto.
Il dolore è crudo.
Accende i sensi.
Ed il delirio si ritrae.
Sembra di velina.
Colorata.
E stinta.
Da una convinzione stanca.
O forse solo negata.
Un fiume senza acqua.
Sul suo fondo ci sono risposte mischiate.
E limo.
Ormai.
Essere senza petali è essere senza dettagli.
Pregna di anonimato.
Strappo. Per sperdere. Senza cancellare. Come se si potesse rinascere lontano.
Altrove è il nome del futuro.
Il primo che mi viene in mente.
E lo sussurro.
Con tutte la dedizione di cui sono capace. Strappo. Inginocchiata, come una attesa. Ai piedi del mio Signore. Il tempo. E la chioma infelice sul suo grembo. In attesa delle sue mani. A ricamarci un pò di gioia. Ad intrecciarla ai miei capelli. Con le sue dita. Fatte di carezze. Ritaglio. Fiori. Tenerezza. E parole. Li osservo. E li ricucio. E gioco. Al gioco delle differenze. Ancora. Mentre perdono sangue. E le trattengo tra le mani. Per non lasciare nessun indizio. Non è passione. Ma lucida ossessione. Quasi scientifica. Se non fosse per le sbavature dell'anima.
L'anima.
Un biglietto bianco.
Senza destinazione.
Con un destinatario.
Uno solo.
E le dita sporche a segnare l'abbandono.
Ora le mie mani sono pulite. Ho imparato a non lasciare tracce. Lascio appunti sul cuore. Li spillo. E ingoio il dolore. Pur di non dimenticare. Silenziosi. Appunti di una storia mai scritta. Come silenzioso lui solo sa essere. Il cuore. Con la sua voce. Di luce. E luna. Muta. Mi urla nel petto. E io la cullo. E mi addormento avvolta alla mia voglia di dolcezza. Una coperta calda. Come un cielo zeppo di stelle. Schizzato sul mio soffito. La chiamiamo solitudine. Ma è solo il bagliore di quel biglietto bianco. E dei suoi spazi.
E si veste di buio.
Bianco.