mercoledì 22 febbraio 2012

Stanotte milioni di asterischi hanno trafitto la notte. La hanno bucata come aghi di pino, pungenti ed odorosi. Pregni di lontananza. Che giorno è? Si sperdono solitari e senza direzione. Solo per lasciare la scia del loro odore misterioso e silenzioso. E poi il silenzio è la forma di seduzione più sottile e pericolosa, perchè spalanca la soglia sottile della curiosità, pregna di promesse inespresse. Ciò che è svelato non seduce più, al massimo rassicura, anche se non sazia. Come un tozzo di fame che riempie un buco, senza ricoprirlo mai. Praticamente non basta. E nel non bastarsi c'è tutta la miseria di una fine sussurrata, strisciata e che come un verme lecca la terra. E io, sotto quella pioggia di frammenti, assistevo inerte al frantumarsi del cielo. C'era la luna e l'ho stretta nel pugno. Fino a sentirla palpitare. Con il suo cuore di luna bastarda, pulsante e disperata, sui polsi. Gocce di sangue a macchiare la mia solitudine. Campo fecondo di impura tentazione. Sterile come un deserto, dove i miraggi evaporano insieme al buio. E resta solo freddo.
Quanto dolore può starci nel cassetto del cuore?
Ma che giorno è?
A volte le lacrime possono sembrare ali liquide ed evanescenti.
Perchè erano ali le mie ciglia sul tuo cuore, mentre tentavano di sfiorarlo,
e lo accarezzavano, senza fermarsi,
ed io non sapevo smettere di guardarti.
Piccoli voli provvisori e precari.
Solo il sole può asciugarli.
Voli interrotti.
E mentre cadevo,
mentre ero persa nella mia caduta libera,
ho sognato che qualcuno sapesse abbracciarmi,
forse per cadere insieme a me.

martedì 21 febbraio 2012

Una smagliatura vorace, rapida ed incontrollata come una serpentina, smangia la mia calza e apre uno spiraglio sulla mia carne. La fragilità si espande. Diventi ciò che unisce tagli e incauti segni. Il tappeto feroce della mia innocenza petulante e perduta urla perchè è la pelle della mia mente. La sensibilità è il velo che ci avvolge, e graffia ad ogni contatto, e strappa i petali di quel fiore destinato a sognare di sbocciare per tutta la vita. E' troppo sottile il confine tra l'impossibilità e l'indifferenza. E si nasconde nel silenzio. In noi c'è amore, nasciamo da amore, fosse anche solo quello del ventre che ci ha custoditi, fino all'orlo della vita, per aiutarci a scontrarci con l'urto dell'inizio. Non c'è saggezza nel dosarlo, solo limite, di non sapere straripare e donarsi come l'acqua alla terra. Nessuna verità, nessun colore, senza sfumature. Siamo i mediatori tra la realtà e l'infinito. Destinati a restare possibilità in divenire.
Petali nudi di una rosa segreta, condannata a non guarire mai.
Il segreto non è nella cura, ma nella malattia.
L'errore resta incastrato tra chi si mostra e l'occhio di chi lo cerca.
E a me beffarda e sorniona non resta che sussurrare che sono sbagliata.
Come neve al sole.

domenica 12 febbraio 2012

Tengo tra le mani una, due, tre parole. Forse quattro. E a volte cinque. Con cautela. Poche ma assolutamente vere. Perchè non tutte le parole sono uguali. E non dipende da come le riempiamo noi, ma dalla loro naturale forma, dal loro peso, da quello che significano, senza sembrare. Come zattere per non affondare. Quasi ninfee su uno stagno immobile ed immemore. Non soffiare, non voglio il vento. Voglio che tutto resti così. Senza direzione, senza bisogno e senza spiegazioni. Mi è capitato di essere giudicata e non mi è piaciuto. Sarebbe troppo facile, estrarmi da tutto questo fango. Perchè io sono fango e non mi nego. Ma solo se ne ho voglia. Perchè io sono questa volontà che si dilata e si distende e schizza e prende forma. Perchè senza quel vento il fango resta fango e non diviene sangue. E non si scorre e non cambia. La vita è dove non sappiamo aspettarcelo, perchè non nasce e finisce dentro noi. Siamo un pochetto di un tutto immenso.
Per quello mi muovo lentamente.
Mi piace pensare che mi guardi.
Ti parlo con le dita.
Io ho aperto la tenda per questo.
E a volte gioco con l'aria e con la luce solo per spiegare.
Vorrei baci all'arancia.
In fondo questa carne è solo la casa dei miei sensi e dei miei pensieri.
E quando mi volto è solo perchè sento i tuoi occhi
e aspetto che tu smetta di sussurarmi sulla nuca.
Di mordermi aria addosso.
Come se io fosse un graffio da riempire.
A me bastano le mie piccole barche fatte di parole.
Non chiedo altro.
Solo di essere raggiunta.
Nei pressi del tetto del mondo.
Per quello non smetto di fuggire.
E consapevole delle mie contraddizioni sorrido,
prima che altri tentino di amputarle.
E se fossero ali?
Mi piacerebbe tanto e per davvero. Riuscire finalmente a raccontare. E non lo faccio perchè il riverbero della notte riduce tutto in pieghe e in rivoli, tutto quello che resta. Senza misura perchè più che immondo è smodato il desiderio. Affatto facile da afferrare. E infilare nelle parole. Il nastro mi taglia le dita, quel tanto da darmi dolore. Equamente diviso. Tra pelle ed anima. E io mi assento, chiedo permesso e mi dissolvo. La luce nei miei occhi non è lacrima ma forza. Forse un rimesso d'ombra. Guardami se puoi. E a fondo. E disegnaci dentro una barca. Prima che si ripieghi nella carne e nella terra. Ho tre semini da piantare. Non sono sogni ma solo desideri. Il volo della volontà. Il suo urlo nel vento. Prende la carne in prestito, come se fosse un esempio. O solo un promemoria. E io per caso, mentre sfioravo il cielo ho strappato la voce alla luna. E l'ho rinchiusa dentro le mie tasche. Ogni volta non è mai la stessa.
Perchè ogni volta è diversa.
Io lo sono.
Mi volto e poi mi rivolto.
Come se il buio fosse un altro posto.
La luna è più muta del tormento.
Ma tu non ci sei.
Se non mi chiedi io non posso rispondere.
Io sono in quella risposta data ma mai chiesta.
E il rivolo di sangue ancora scorre.
Potrò disegnare labbra vermiglie alla mia bambola.
E lei potrà baciare aria.
Forse spicchi di luna.
Ed avvinghiarsi al cielo.
Solo per provare la inclemente gioia di oscillare e graffiare il tempo.
La parte di noi che non muore è quella che abbiamo donato.
E mi ritrovo con i miei impulsi e fremiti e la mia voglia di silenzio, frammista ad una esigenza di chiarezza. Intermittente come una fitta nel fianco. Come il battito nei polsi. O forse una stella. E poi mescolata a foglie di te verde. Non manca la guerra delle fragole. Come l'odore dell'estate tra le dita. Quanta dolcezza ha il senso del perdono. Del non spiegato, ripiegato nelle pieghe della voglia di essenziale. L'odore più sottile di una pagina che taglia l'aria e si adagia sull'altra, e le lettere che lentamente coprono altre lettere. E si addossano. Senza cancellare. Resta un rapidissimo fruscio. E cose non dette. Nessuno sa che dirsi mai. Io quasi colo. E non rispondo. A volte chiedo ma senza furia. L'acqua ha coperto e si è mischiata. Galleggia indefinito il mio pianto. Quasi a non volersi confondere con il mare. E a non affondarvi dentro e contro. Non mi pongo più l'arcano quesito di cosa abbia trasformato cosa, di cosa abbia smesso di essere e si sia lasciato andare ed inevitabilmente mutare. Il dolore è così tanto disordinato. Prendo tutto con riscoperta e forse innata indifferenza. In genere mi emoziono di fronte a ciò che è indefinito. E se penso all'infinito, all'immenso, ne gioisco e mi perdo in tutto quello che non riuscirò a fare e che mi spinge. Ai libri a cui non arriverò. E a tutte le opere d'arte che non vedrò. Ai luoghi inesplorati. A storie sconosciute e lontane. Mi accade che grandi spazi e luci sfavillanti mi stupiscano; ma parlo di quello stupore che è meraviglia improvvisa, che pulsa, che ti fa battere davvero il cuore, e ti annega in quella bellezza che non riesci a raggiungere ma che non smetti mai di inseguire.
Quella bellezza pura ed irresistibile.
Anche se in genere ciò che mi incuriosisce e mi ammalia, come la luna nel pozzo, davvero sono le cose minuscole, quasi invisibili ed intuibili. Mi piace spaziare nell'informe perchè mi sembra di diventare parte di un'acqua pulita e sconfinata.
Come una fogliolina che si sfalda nel calore o come l'acqua che l'accoglie.

Mi piace pensare che la bellezza sia di tutti e che ci appartenga senza distinzioni.
Inaspettata e sconosciuta ci sorprende sempre.
Nonostante tutto.
E io so che nel nascondersi c'era solo il rischio di perdersi.

La sua amica, la sua amica speciale, le aveva appena sbattuto in faccia la sua verità. Il volto verso la scrivania, adesso, e e gli occhi altrove. Gli stessi occhi che prima la avevano infilzata e sbattuta al muro. Quegli occhi le erano esplosi nella pancia, dove ogni dolore trovava il suo luogo ed il suo modo per dilatarsi. E quella volta la verità la sentì solo come un'eco del suo dolore, di quel dolore che tanto tempo prima aveva sentito, e provato e levigato, fatto di delusione e di aspettative infrante, taglienti come frammenti aguzzi di vetro. E tutti i propositi erano usciti dalla finestra e precipitati nel vuoto, senza preoccuparsi di aprire la porta e scendere per le scale e dall'ingresso principale. Adesso tutto le arrivava come una guerra di piume, senza toccarla mai fino in fondo. Come se tra sè ed il resto ci fosse un velo. "Tu sei intransigente e la gente ha quasi paura di te, della contorsione dei tuoi pensieri, della tua diffidenza. Ha paura delle tue paure, perchè se le sente catapultare addosso. Tu togli il respiro. Tu chiedi e osservi quello che gli altri ti danno, ma solo di sfuggita, intenta a chiedere già altro". Come al solito in lei la rabbia era evaporata in pochi attimi e si sentiva immemore, impalata, sospesa. Inchiodata davanti ad un conflitto che non la toccava quasi più. Lei era salva e sola. E non aveva perso neanche una lacrima. Non piangeva mai per le cose importanti. E capiva che di lì a pochi istanti il dolore sarebbe tornato a forma di serpente e di rimorso. E quando se ne avvedeva si arginava e si puniva prima, come se in quel caso prevenire fosse lenire, ridurre, sminuzzare, contenere. Era un varsi varco ed argine. Avrebbe solo voluto abbracciarla e farle capire che non era così. Abbracciarla e dirle che le voleva bene. E spiegarle che lei era diversa e che era ancora quella di un tempo. Ma non lo fece.
C'è una strana forma di pudore con la quale ricopriamo tutte le cose importanti.
E resta la convinzione, radicata come una quercia, che chi conta ci resta dentro comunque.
Perchè è oltre le parole.

Le strade di campagna sono bordi irregolari
a pensieri verdi che scorrono sull'asfalto.
La campagna mangia il posto che un tempo le fu tolto.
Se lo riprende e lo macchia di papaveri distratti.
Una lotta contro l'asfalto e contro le ruote che, insensibili,
non smettono di correre.
Segni e destinazioni sconosciute si accavallano.
Una macchina mi taglia la strada ed il fiato.
Ma era un incrocio, e non ammette distrazione.
Nessun pensiero verde a farmi da capanna.
Perchè ogni incrocio potrebbe essere una deviazione.
Un modo per cambiare strada e poi ancora.
Canne ed ulivi e la loro voce muta che si mescola.
Possente l'una e flebile l'altra.
Se solo tutto fosse distinto sarebbe meglio.
Invece quel coro muto quasi ti fascia e ti isola.
Come se la vita fosse un corridoio irregolare.
E dalle mille forme.
Ed il silenzio è la più imbarazzante tra tutte.
E se gli dessimo la forma del sogno,
là a piedi nudi tra l'erba,
con il cielo sulla testa?
Sarebbe così bello che non ci sarebbe neanche il tempo di dirlo.
Ma poi io mi volto e mi accorgo che il tuo amore
sta mordendo scogli lontani
dove non c'è alcuna mia impronta.
E sento tutta la violenza lurida con cui ho tentanto
di dare la forma ai miei sogni e a quelli degli altri.
Anche al tuo.
Senza averlo mai conosciuto.
C'è troppa triste solitudine nel sentirsi soli sotto la stesso cielo.
...
Mi piaceva credere che le cose fosse giusto vederle da dentro. Come se tutto avesse un cuore. Non parlo di sentimento. Perchè può capitare che il cuore ed il sentimento vivano su piano distinti. Come rette destinate a non incontrarsi mai. Una alfa privativa ha condannato l'amore a toglierci sempre qualcosa. Poi ho capito che le cose sono, nonostante noi. E l'apparenza spesso è piena zuppa e zeppa di verità. Basterebbe guardare per davvero, per vedere, oltre ogni nostra più plasubile volontà.
Capace di deformare.
Se chiudi gli occhi, là, a confine con le palpebre,
ci sono colori, forme, luci e suoni, nuovi.
Non è una gara con la vita.
E quando li riapri, se non sai raccontare quello che hai visto,
e lo sai solo tu,
significa che era tutto autentico.
Non avevi trovato solo parole.
Ma la verità più vicina alla tua intimità.
Si è schiusa in un silenzio in cui galleggiavi.
Come una ninfea su uno stagno.
Io non ci riesco più.
Ho un buco che mi strappa dal di dentro.
Come una foglia che affonda ed urta e lotta contro l'acqua.
E resta poco.
Solo che quello che resta, un punto accartocciato,
disperatamente sente.
E vorrei solo che il tempo mi levigasse di dosso tutta questa rabbia.
In fondo viviamo solo per somma e differenza.
E' così che gli altri ci delinano.
E quello stagno è l'illusione sordida che gli altri possano fagocitarci
interi.
Sarebbe bellissimo.
Come nella pancia della balena.
E poi, con tanta paziena, toglierci gli errori, dopo averli capiti.
Come se non fossimo oltre tutto quello.
Mentre alla fine resta solo quello ciò che sbagliato.
E si dimentica il resto.
Come se ci colorassimo di oblio.

E tutta quella marmellata non le bastava mai, perchè non le bastava mai la dolcezza. Era come se qualcuno a sua insaputa suggesse la sacca della tenerezza, come una enorme mammella, o come una bocca implosa. E lei si risentiva risucchiata e vuota. Di uno strano vuoto che la riempiva fino a sentire che stava per esplodere. E la mancanza le passeggiava sulla pancia e a volte si tuffava a precipizio dentro il suo ombelico. Ombrelli a forma di fiore la assediavano, come funghi protettivi ed asfittici. Mentre lei avrebbe voluto solo e solo e sempre pioggia. Cospargersi di pioggia ed attendere di tornare asciutta. Perchè in un mondo bagnato, nulla deve avere la forma esatta. Tutto può essere prepotentemente sfuocato ed vago. Anche quando pensava al posto dell'amore lo vedeva di tanti colori diversi. E screziato di parole soffuse e di molliche tra le lunzuola. Era un posto vuoto, dove il candore si macchiava di attesa e di meraviglia. Quella fatta di percezioni silenziose. Perchè lei, come tutti, era fatta anche di questo, di quel goccia d'acqua che ti punge le labbra, proprio mentre pensi che hai una immensa voglia di bere. Tornare nel punto esatto dove tutto era cominciato e le parole avevano cominciato a sbriciolarsi. Era quel luogo. Parole dolci, quasi più della marmellata, con quel bisogno di un amore simmetrico. Per il timore di sentirsi scoperta. Perchè lei aveva solo paura di provare ancora quel freddo. Anche se sapeva che sarebbe arrivato e si rifugiava in ogni angolo come se fosse l'unico posto possibile.
Mentre l'unico posto possibile è solo domani.
Potrei dire tante cose, ma come al solito sarebbero troppe.
E' che a volte sono felice ed ho paura a dirlo.
Anche adesso mentre lo scrivo mi arrotolo in strane ombre e non so più cosa sento.

Non ho nulla e dunque nulla da mutare. Nè giustappunto da mutuare. Il cuore pavido ed impossidente si fa eco delle vene. Liquido e deluso, si specchia dentro un fiume. Non ha lune da azzannare. Vuole solo accarezzarsi il riflesso. Eroe dall'apparire evanescente. Io non esisto. Lo sto urlando, solo per avere una conferma inversa. E non mi ascolto. Perchè le urla si fanno graffi e morsi. Solo perchè hanno un bisogno animale di fare male e di lasciare un segno. Non sono quel riflesso improvvido ed irrazionale. Io sono il punto in cui il sangue si ribella e si fa grumo e pugno. Darei un calcio a tutte le stelle adesso. Per non inciamparci. Solo per rivedere un azzurro puro e sgombro. Sfacciato come l'ultimo strato della notte. Prima che si sdrai del tutto nel giorno a venire. E quella luce è solo scia e sputo. Qualcuno la ha rubata e me ne allieto. Prima di ricontarmi i petali, per dargli nomi nuovi. O forse sempre gli stessi. Ed io avevo dimenticato. Ho barattato memorie con radici e foglie. Ho smesso di essere astratta e mangio pane e terra. Avidamente. Non vi è nulla di più schietto e leale del pane. In fondo è solo la carne della terra o meglio la terra che si fa carne.
La bellezza si annida nella più pura semplicità.
Nessuna contorsione.
E' questo il mio segreto ed il mio orrore.

Troppi avverbi nella asfittica adesione al mio bisogno di esternare. Il bordo tra mente e lingua si fa sottile e quasi si sfalda. La luna geme. Fino a bagnare le cosce della notte. Un filo di tormento prima di sporcare con il suo piacere ogni proposito del venerdì. Una preghiera ed un risucchio. E gemo anche io, supplice. Oltre la decenza. Oltre l'artificio di ogni velo. Il sangue è solo un tramite. Ed il più semplice.
Su questo altare non ci sono celebra il peccato ma il blasfemo urlo di una normalità che si
redime dalla carne e si dipana in rivoli di vento.
E dopo resta il silenzio.
Il mio cuore che batte e non si spegne.
Anche quando mi sembra di non farcela.
E lui non ubbidisce e insegue un battito dietro l'altro.
Come farfalle con il retino.
Senza catturarle.
Si diverte solo a frustare l'aria.
Una orrida collezione di graffi.

*

A volte mi prende una strana ritrosia.
E mi nascondo, come un gatto dietro ad un filo di erba.
E sono le parole che mi aiutano a prendere spazio tra me e le cose.
Dilatano il divenire.
Come un ventre pregno.
Alcune cose devono accadere.
E ci si attacca ai loro bordi esterni.
Per non arrivarci.
Come in un treno in corsa.
Non mi piace guardare le cose oblique.
Anche se dovrei.
Sarebbe un modo per vederle per come sono.
E non per come io vorrei che fossero.
Siamo gli interpreti di tutto il mondo che ci capita.
Lo ingoiamo e poi lo scomponiamo.
E non è facile girare con il mondo nella pancia.
Ed è così semplice sentire l'elegia solo nello spasmo.
Diversamente sensinsibile è chi sa accarezzarlo nella gioia.
La leggerezza è la gioia delle nuvole.
Anche se alla fine sono destinate a pioversi.
Qualcuno deve aver detto che cambiando l'ordine degli addendi
il risultato non cambia.

E se la prendono tutti con la luna.
Lei mica li conosce tutti i colori.
A volte può solo spiarli.
Li vede a pezzetti.
Stemperati dal divenire.
Prima che la notte sopraggiunga con la sua coperta.
Nera e pesante.
Quando puoi solo spingerti contro i sogni.
Fino a sentirne tutta la ruvida inconsistenza.
Nessuno è solo come la luna.
Quanta luna inespressa e segreta
ci palpita nel petto?

E se per caso ne sputi un pezzetto ognuno
ti guarda la bocca sporca
e ignora la luna
riversa al suolo.
Io ho imparato che il dolore degli altri è anche un pò nostro.
E se mi ci imbatto lo sento anche un pò mio.
Non c'è nessuna ruota che gira capace di portarci via
il non espresso.
Quello resta nostro per sempre.
Nel mio equilibrio liquido io fluttuo.
Forse accadde.
Come un'onda sdegnosa che non sa più lasciarsi cullare.
Non esiste più nulla.
Distruggere non è mai stato più semplice.
E sento il bisogno sfrenato di frustare il mare. Di morderlo. Illusa che un morso d'onda sia difficile da dimenticare.
Precario sollazzo per ingannare i sensi, lo usa la mente e per perdersi e ritrovarsi a nuova riva e rinascere come risacca.
Baciare lievemente le conchiglie, in fondo lo facciamo ad ogni mattina, e poi sfiorarne la liscia indifferenza e ribaltarsi incaute nel nuovo viaggio.
E poi mi perdo. E mi ritrovo.
Forse pietra attonita sul fondo del mare.
La poesia ci fascia l'anima ed asciuga le ferite.
Per poter guardare la luce rifrangersi attraverso l'acqua.
Come quando ti tuffi e senti l'acqua strisciarti sulla schiena e scendi ancora solo per voltarti un solo istante. Un pò come guardarsi da dentro. Prima di arrivare alla superficie.
Dove siamo costretti a tornare.
Come in una pausa che spesso dura una vita.
Un pò perchè a volte mi piace dimenticare di avere questa mente.
E questi pensieri.
Quasi come ossa.
E mi faccio cosa.
Oggetto immemore.
Ai confini con la voglia di ricordare.
E quella preme.
Perchè è così che poi davvero posso sentire. Subito dopo, una specie di sapere senza sapere cosa. Quando la pelle ritorna ad essere mente da accarezzare e onda in movimento. E non semplice tasca e involucro di malinconica voglia di non lasciare andare. Senza avere il coraggio di voler trattenere. Il letto di un fiume che inevitabilmente tenta di arrestarsi e che vorrebbe smettere di bagnare, ma non ci riesce. E solca disperato il suo letto. A fondo. Fino a farne una tana. E nascondersi là.
L'acqua nel cuore.
Sono una donna con una falla.
In quale vita è accaduto.
In fondo abbiamo il mare dentro.
E' che a volte non riusciamo a sentire la sua voce.
E' così facile nasconderla.
Ma poi all'improvviso arriva e spazza via il resto.
E io resto onda senza mare.
Un pò come delinarci con le mancanze.
Sarebbe semplice iniziare da ciò che abbiamo.
Quasi come afferrare un sorriso e lasciarsi trascinare dalla sua coda indomita.
Come se gli angoli della bocca fossero ali verso l'alto.
Perchè la vita, finchè siamo vivi, vince su tutto, persino sulla morte.