lunedì 26 settembre 2016

Bolle di sapone screziate all'aroma tramonto

Ed è così difficile essere quella me che non ha paura. Chi merita per davvero la nostra verità? E poi cosa è vero? Non è forse la verità l'artificio che ci rende più vicini alla sagoma dei nostri desideri?Nulla è più vero di un desiderio. Il resto è bisogno. Sporco e madido di vita. La bestia che ci divora e deforma tutto. E non è forse la verità altro se non la identità che si spalma come l'onda sulla riva e la segna,  la slabbra, la contamina  per frammenti di tempo? Una ladra di conchiglie e di granellini. Ero io quella bambina che aveva le labbra piene di sogni. E li strisciava nell'aria. Ed era bellissimo varcare la soglia del mondo ad occhi chiusi. Sentire era vivere, senza remore, con la benda del desiderio sulle palpebre. Bastava poco per stringerle il respiro, in un approssimarsi al cuore, alle sue vene roride e presuntuose, al suo contrarsi, come uno spasmo di anima. Ero davvero io? Forse ho masticato i sogni di altri? Quelli della mia ombra, vicina di cammino, forse. Non so dove alberghi il mio ego, in momenti come questi. Sento solo un dolore, vago e lontano. Come una scia? Hai mai visto i fenicotteri che si levano in volo? Uno e più e ti manca il respiro mentre macchiano il cielo di rosso, impudico, come la mia mente, se la lascio andare, morbida come un nastro nel vento. Florida, come i miei fianchi che ancheggiano nella vita; quella che mi è capitata. Anche io ho una ombra rossa, quasi un ventaglio e non copre, ma mostra la nudità vera di una donna che ha il cuore intrecciato al ventre. Come radici di un albero dimenticato. Forse arso dal tempo che fu. Da un rogo feroce. Dimenticare è un poco morire, ma forse è infinitamente rinascere. E ora solo so, so che solo la verità rende davvero liberi, forse più tristi, più pregni di malinconia. Ma così vicini al sangue, da sentirsi fiumi.
E le mie labbra  sono pallide di sogni, livide di aloni.
Nessuno spazio.
Nessun dono.
Solo verità.

Bolle di sapone screziate all'aroma tramonto

Ed è così difficile essere quella me che non ha paura. Chi merita per davvero la nostra verità? E poi cosa è vero? Non è forse la verità l'artificio che ci rende più vicini alla sagoma dei nostri desideri?Nulla è più vero di un desiderio. Il resto è bisogno. Sporco e madido di vita. La bestia che ci divora e deforma tutto. E non è forse la verità altro se non la identità che si spalma come l'onda sulla riva e la segna,  la slabbra, la contamina  per frammenti di tempo? Una ladra di conchiglie e di granellini. Ero io quella bambina che aveva le labbra piene di sogni. E li strisciava nell'aria. Ed era bellissimo varcare la soglia del mondo ad occhi chiusi. Sentire era vivere, senza remore, con la benda del desiderio sulle palpebre. Bastava poco per stringerle il respiro, in un approssimarsi al cuore, alle sue vene roride e presuntuose, al suo contrarsi, come uno spasmo di anima. Ero davvero io? Forse ho masticato i sogni di altri? Quelli della mia ombra, vicina di cammino, forse. Non so dove alberghi il mio ego, in momenti come questi. Sento solo un dolore, vago e lontano. Come una scia? Hai mai visto i fenicotteri che si levano in volo? Uno e più e ti manca il respiro mentre macchiano il cielo di rosso, impudico, come la mia mente, se la lascio andare, morbida come un nastro nel vento. Florida, come i miei fianchi che ancheggiano nella vita; quella che mi è capitata. Anche io ho una ombra rossa, quasi un ventaglio e non copre, ma mostra la nudità vera di una donna che ha il cuore intrecciato al ventre. Come radici di un albero dimenticato. Forse arso dal tempo che fu. Da un rogo feroce. Dimenticare è un poco morire, ma forse è infinitamente rinascere. E ora solo so, so che solo la verità rende davvero liberi, forse più tristi, più pregni di malinconia. Ma così vicini al sangue, da sentirsi fiumi.
E le mie labbra  sono pallide di sogni, livide di aloni.
Nessuno spazio.
Nessun dono.
Solo verità.

martedì 20 settembre 2016

segnali di fumo

Ancore alle viscere, come scialuppe di tormento. Quasi ghirigori lenti lentissimi, inclementi, sulle vene, ancora screziate di lividi ruvidi ma verdi, come prati luminosi, desiderosi di aria, nuova e sincera, pregna ma silenziosa. Spirali dei sogni, urlati a squarciagola, oltre ogni pudore. Il pudore di una donna è il suo alone misterioso, oltre resta solo una sagoma. E la donna si diluisce mentre si spoglia. Parole nuove. Parole diverse. Parole, sempre le stesse. Mie. Per me. Gli altri come ombre. Esisto nella misura in cui per istanti torno nella mia vita, centellinando sospiri sereni ed una stella da guardare. A respirare anima.  Sarà mai possibile? Tu, come un chiodo inflitto alla mia carne. Ed i miei sogni di tormento, il mio veleno, il succo impuro della mia mente. La ricerca precisa del mio dolore. Lo sento pulsare, come un rifiuto. Per un attimo ero là. Poi sono precipitata in fondo alla mia pelle, inesatta ed infelice. Tenera inesistenza di una lumaca che spreca la sua scia di bava, come una coperta dove affondare. E mordere la vita, come un sorriso pieno. Forse un sorso, prima di spalancare gli occhi. Ancora.  Non so guardare. E accorgermi che fa ancora dannatamente male. E non passa. Vorrei ululare alla luna. Quanta infelicità in un solo polso? Troppa. Mordo nuvole rosso sangue. Nella prossima vita voglio essere un pesce. Ma anche i pesci hanno il sangue. L'ho scoperto per caso. Ero una bimba e tutto quell'orrore era troppo. E proveniva dalle mani di un uomo. Uno qualunque. Uno qualsiasi. Chi c'è, c'è, nella elegia della inquietudine. La mia parte più segreta fa orrore anche a me. Come il sangue di quel pesce. Come le mani di quell'uomo.
Ciclamini ed il mio piacere.
Il loro profumo e la mia disfatta.
Tra lacrime e memoria.
Tutto troppo liquido.
Non esisto.
Questo è il mio segreto.
Per quello a volte scrivo con il ventre.
Mi sembra di coprire la mia intimità.
Non tutto è nel corpo.
E' solo una mappa.