venerdì 30 giugno 2017

Donami un frammento di sole, come se fosse una parola, o una carezza, di quelle più dolci, fatte di dita di aria. E di sospiri segreti. Io penso che la poesia sia l’urlo più spietato delle anime dannate, di chi affonda il fiato nella vita, e la respira più che può. Il tempo riuscirà a farci capire la verità di alcune parole spezzate, che è più profonda di quello che appare. Sai non esiste nulla più triste di una verità che non si conosce per davvero. Ma in quella intuizione più recondita e remota c’è il senso del divenire di giorni lontani, come polvere sospinta dalla paura.
Donami il palpito dell’ultima luna e io lo farò colare a fondo. E mi taglierò come una mela, nel buio di una notte ignota. Poi rinascerò ancora da quel piccolo seme di bene, fosse pure un ricordo perso tra le lenzuola distanti, umide di sogni e desideri, senza nome e senza direzioni, ma che lasciano un graffio sul cuore. Una lettera incisa netta, che si sfuma ad ogni nuovo contatto senza smangiarsi mai. Sono un incidente di percorso, nella mia vita. Ed in quelle degli altri. Ci metto tanto tempo a distaccarmi dal ramo, ma poi non torno più. Mai più indietro. Non è una regola, ma solo il corso del fiume. E mi racconto addosso la gioia ed il tormento, e poi mi stupisco di notte e  mi squarcio in rettangoli e poi mi lascio colare addosso nuove albe, perchè la solitudine non mi fa paura. Mi fa paura solo descriverla, perchè gli altri non vorrebbero capirla. Anche quando tutto sembra senza dignità, ma ne ha una sua, oltre i luoghi comuni e le convenzioni, perchè il cuore è l’unico luogo in cui tutto ha un suo senso, e la forma giusta. Se solo mi avessi dato la mano e mi avessi seguito per un attimo, ora lo sapresti bene.
Donami il sussurro lontano del vento.  Senti sto tremando, e non smetto. Lo respirerò negli angoli più segreti, nei frammenti di cuore in cui inciamperò e lo liscerò come se fosse la scia delle ali di un angelo. La misura del bene è solo il bene, niente altro. Nulla che non sia bellezza purissima.
E poi dammi mille onde; sono i baci del mare, il suo respiro, i suoi morsi lenti e dolci. Contale con me e poi perdine il conto. Tutti i baci saranno la eco del primo. Della voce della incoscienza, dell’ignoto, del fremito e del desiderio. Solchi su solchi. Passi su passi.  Ecco adesso, vado. Perchè adesso ho capito, ho capito anche se è tutto dannatamente confuso. Ma ora so che non sarò mai più bella come nell’attimo in cui sono stata miracolosamente vera.
Più del mare, del vento, del cielo e del sole.
Tutto troppo diverso ma tutto troppo uguale. E mi appartengo. Come le dita a questa mano. E le mie vene, come una rete. E poi gli sguardi ai miei occhi. Ed i passi alle mie direzioni. Mi appartengo. Fino ad esplodere nell’unità. Sotto una coltre gelida e questo cielo. Attendo la sorpresa che sappia illuminarmi. E farmi vibrare. E diluisco quella attesa nella vita, nel fiato, nel respiro. Nella dolcezza della bellezza. Fa dimenticare tutto. L’aria fredda profuma di pulito e di solitudine. Sarebbe un posto bellissimo per sentirsi felici.
Calano come aghi sui miei pensieri alcuni ricordi, memorie come piccoli strappi ed ami. Non lacerano, ma creano finestre come buchi neri tra il futuro ed il passato. Ed ogni volta conto. Ed il conto non finisce mai, come se ad ogni numero il mio desiderio mutasse. Sono sincera, non diminuisce, ma si trasforma, come se mi desse una nuova forma. E non mi sento peggiore o migliore, solo sospesa. In attesa di quella che non sarò mai, o mai più. O solo mai stata. Addio. Questo è il mio addio più incoerente e ridicolo, ma è così. The end? Sì, ma baciami prima, per l’ultima volta. Vorrei che ricordassi le mie labbra, davvero per quello che sono. Un aquilone verso i miei sogni.
Bambina, ti schiudi alla vita, come un piccolo bocciolo che gronda di speranza e di sogni. Ho baciato le tue lacrime, calde e sincere, impotente, perchè non sapevo spiegarti che la vita a volte è crudele e richiede tempo, perchè noi siamo fatti ed impastati di tempo. La nostra carne esige tempo e amore. E nell’attesa ci compiamo, destinati ad essere frammenti di qualcosa di più grande. Spigoli di anime. Adesso, ti ricongiungi a te stessa e ti leghi ad un filo, rosso di speranza e di desiderio. Stringilo, fanne vena fervida e feconda. E respira tutto il bello che l’amore ti sa dare. Ti sento mia, come il bacio che ti lasciavo sugli occhi, prima di dormire, più della mia mano che tante volte ha stretto la tua piccina, fino ad intracciarsi con te. Io  ti dono, oggi e sempre, il mio sorriso, per infilartici dentro, nei momenti in cui lo vorrai, anche solo per sentirti vicina vicina a me.
Oggi sono io…Nei miei occhi c’è la risposta a quella sete di futuro e di bellezza che non so se troverò mai, la bellezza delle cose vere e profonde e della forza reale. Tu guardami, perchè ci vuole coraggio a guardarsi per davvero, oltre il bisogno e la finzione e la lucida convinzione di quello che si è. Io amo sregolare i confini della mia identità e mi offro in pasto, come un tozzo di pane. Guardami, ti prego, fallo. Non ho bisogno di nuovi morsi ma di essere annusata lentamente, con calma e cura e di essere rassicurata, quando ho troppo freddo e le mie vene non sembrano altro che strade senza risposte. Ho passi incerti ma li affondo nella vita, sempre con sincerità, anche quando fa male, anche quando rialzarsi è più facile che restare a terra. Vicini al battito della vita, ad ascoltarne il divenire. Succede a volte, di fronte ad un dolore forte, sordo, insopportabile, mentre ti senti solo un granello di polvere, un verme al suolo. Allora ti accorgi che la terra batte. Tum, tum, tum….e batte nel soffio del vento e nel battito delle ali di una farfalla, nella linfa nelle foglie, nel tuo fiato, nelle tue ciglia, nel flusso dei pensieri, nel sangue nelle dita…
Adesso, guardami, voglio essere guardata, in tutta la nudità di cui sono capace, oltre la misura e nei meandri della mia anima.
Esiste una perversione sottile, come un filo d’erba, e che si piega, ondeggia, oscilla, sfiora l’aria, che gioca con la luce.
A volte pensi a quel filo anche nel cuore della notte, ne senti il richiamo nel buio, tra righe e ombre.
Lo ritrovi intrecciato alle tue dita e mentre ti bacia le labbra.
E adesso smetti di guardarmi.
Puoi  incominciare a pensarmi.
Come goccia di sangue di fragola riga e macchia questa solitudine. E nel solco della delusione tutto si inarca, si incava, scende, fino all’infero del mio tormento. Sono così incerti i miei passi oggi, e trema la mia anima, nel vento caldo che ora rassicura, ora graffia e poi cancella. Tutto quello che fa male ha una logica: il dolore ha la sua rassicurante precisione; solo la gioia devia ogni ostacolo ed esplode, e infrange ogni limite ed ogni barriera. Per quello è la incognita che rimescola la vita. Ho smesso di ascoltare il mondo e le sue parole, adesso ascolto solo i miei sensi. E la loro eco. Li sento espandersi e stordirmi. Fino ad infilzare la verità, quella che è mia e solo mia. Come quando scrivi con il fiato, la bocca curvata in un punto di domanda e la pelle che nasconde. Sai è la coperta di ogni segreto la pelle. A volte in alcuni punti il sangue sembra pulsare più forte, quasi per tradire quel silenzio fatto di carne e vene. Se appoggiassi le tue labbra sulle mie sentiresti ogni vibrazione della mia verità che poi è anche la mia menzogna.


Quello che capita, quello che c’è e poi non c’è. Ho abissi fragili dentro e silenzi che urtano come la mia coscienza fluida oggi. E il senso delle cose lo afferro e lo sento sui polsi, come una scia della voce delle nuvole. Io la conosco, sai? Ci parlavo da bimba e ne inseguivo le favole. Sai anche adesso ci urlo dentro tutto il tormento di cui sono capace, fino a lisciare il sangue, come se fosse un nastro. E mi capita di comprendere le cose e di non saper reagire, non sapere muovere le pupille a caccia di verità. Infilo questa inquietudine in una ombra genuflessa, e poi sento le vertebre contro il muro segnare tutta la perversione di cui sono capace. Ero innocente e sognavo il peccato e adesso sogno e risogno la verginità della innocenza perduta. La distanza è fatta di distanza e di indifferenza, e io ne conto le briciole, come una formichina affamata. Passi diversi, quelli che mi aspettano, forse aloni, sogni macchie di sogni, schizzi di desiderio. Le parole mi scivolano addosso come pioggia sporca, dopo che tu sei andato via. Ma non hai lasciato nessun vuoto, perchè non sei esistito altrimenti che nella mia anima, come il peggiore dei sogni. Non hai lasciato un vuoto, ma solo spazio…
Chi lo sa…
Quello che capitaPubblicato il"quello che…" Adesso e qui. Malinconia per quello che mai fu. O è stato? In una sua fulgida assenza? Sabbia nella tempesta. Graffia, sai? E la salsedine sulla pelle è un modo di esistere. Un modo diverso di scegliere di vivere. La senti ovunque, nelle notti sospese, quando ricordi di essere donna, e la notte ha un odore speciale. Il mare è donna, ne sono sicura, perchè accoglie, abbraccia, trattiene, si dona, sa essere tempesta, e spinge tutto dentro, a fondo. Nessuna tristezza, solo un silenzio immobile, non sa di attesa, ma lo è. Siamo fatti di attese, di istanti che si schiudano come corolle al divenire. E adesso respiro lentamente, perchè mi aiuta a ricordarmi di essere, me stessa. Più che posso. Anche quando sbaglio e vedo gli altri, come occasione di errore, con pochi margini di esattezza. E più lentamente possibile. Ed è così diversa la mia pelle ora. Sai la bellezza non è nei graffi, ma nella forza di lasciarli guardare ancora, prima che il loro solco si attenui. Là, proprio in quel punto, si adagia la vita. Le cose sono come noi le vediamo, e il cuore è una lente di ingrandimento bastarda. Vedi anche ad occhi chiusi. E adesso apri i tuoi occhi, anche se piove, il sole non ha smesso di splendere.

Non ci vuole coraggio nell’esternare, ma nel tacere, perchè quel silenzio tutto rigonfia e svuota e poi spinge verso percorsi immemori, come una foce. Qualcuno la chiama perversione, o decisione, o salto. Un salto ad occhi chiusi, per rivestirsi di brividi. Un poco come il buio. La culla vivida dei sensi, la loro fervida casa. Mi piacerebbe sentire le tue labbra sopra i miei polsi. Strisciarle oltre i confini. Non devi fermarti, non voglio. E il tuo fiato tra le ciglia. Ancora, devi continuare. Respirami ovunque. E abbracciarti, lo voglio, fino a superare la nostra pelle, la mia, la tua, lenzuola ignote, come vene di una terra straniera. Parole umide su parole umide, lente o precipitate, respirando l’assenza di ogni traccia di presente. Oggi, questa notte, mi sento donna, come una stella blasfema, indecente, distratta, quasi incerta. Una femmina nuova, rinata, da un cielo dimenticato, da un suo angolo, da un pugno di carta, da un grumo di vita, dove ha ritrovato un respiro, come se fosse una virgola, e si è spinta fino a sentire la sua carne memore, colma come un orlo, in placida e armonioso tormento, un urlo che ha squarciato ogni innocenza. Guardami ancora. Marchio il mondo con la misura e l’eccesso. Esisto, ora, oltre questa pelle, oltre i suoi segni, oltre il mio cuore. Bacia la mia bocca che sa baciare la tua. Oggi sono questi sensi che sfidano il futuro e respiro indecente voglia, tutta quella che una stella sa. E può. E desidera, desidera ancora. Fino alla fine, poi resta il buio. Non avere paura, non di me. Non di te. Neanche del buio. Io non ne ho.
Sotto un sasso, nascondo la misura estrema e segreta di me stessa.
Se dovessi parlare di me, forse non saprei da dove iniziare, perché condividere è un peso, una fatica, una responsabilità, un saltello, spesso nel vuoto, uno sfiorare di dita, il bacio dell’erba ricolma di rugiada. Ecco, già mi sono persa nelle mie fantasiose proiezioni di queste mani su questa tastiera. Descriversi fa davvero male, perché ci costringe a guardarci, ad osservarci. La nostra voce diventa altro da noi, senza abbandonarci, e ci proiettiamo in un corridoio buio, in cui non ci sono altro che le nostre emozioni più vere, quelle che restano ridotte al minimo, forse l’essenziale. Cosa poi donare agli altri che sia unico e davvero nostro? Ecco, l’attimo dopo, oltre il tunnel, tutto fa paura, come la solitudine, perché in quel passaggio, nella nostra scia, resta il nostro fiato, il nostro sangue, i nostri sogni, i nostri errori. E noi siamo un pochino più ricchi ma anche più nudi. Proprio come la luna stanotte. Quasi quasi le presto la mia coperta. Ed i miei occhi.
Ad ogni onda, un bacio. L’urto con la sabbia ed è un amplesso imperfetto. Di quelli che ti lasciano ancora i brividi addosso. Come se la pelle non fosse più la casa del piacere ma solo una terra sconosciuta. In silenzio, la voce del mare, nelle orecchie, nel respiro, nella mente. Devi farne incetta, perchè è questo la vera solitudine, quella del cuore, prima che della carne, un vuoto, non scritto. Ad ogni onda, un abbraccio. Senti scivolare dentro un senso di dolcezza, e la tua mente è la casa dei segreti. Gli altri dove sono? Forse li senti da lontano, perchè tu sei il tuo messaggio nella bottiglia che deve resistere alle tempeste, per toccare nuove terre, nuove sponde, spiagge diverse. Il sole asciuga le ciglia e riga la carne. Ma adesso è poi, sì, quell’attimo che avevi temuto e che è parte di te. E francamente non fa neanche tanta paura. Siamo vissuti in attesa di tanti “poi” da rinviare, “poi” che ci avrebbero devastati, e per alcuni è stato davvero così. Ma la vita stratifica le emozioni. E neanche le ricordi se non le cerchi, perchè l’importante è averle vissute. Sul male ci sarà altro e nuovo bene, ad ogni onda un sorriso, nuova forza e un respiro diverso.
Ad ogni onda un nuovo pensiero, la voglia di desiderare ancora, questa volta senza dimenticare.
Ho uno strano senso della verità, ed è quella che sento, nonostante le parole, e non mi sbaglio mai.
A volte mi ritrovo in un puntononpuntopuntononpunto, in una dimensione astratta, quella in cui la leggerezza è così semplice, come quando chiudi gli occhi ed il mondo diventa a pois. Piccoli aghi di assenza. Giochi con la luce, quella della mente, ed è il margine migliore che riannodarti a te stessa, sangue su sangue, mentre il mondo diventa teneramente indefinito. Il manto di stelle morde i sogni, lentamente. Li sbocconcella con dovizia e cura. E annusi l’aria macchiata dal volo di uccelli. La vita scorre oltre quel margine e ti riguarda sempre e comunque, anche se non lo sai. Una fila di formiche, come parole oltre le parole, e poi ancora. Verso la meta. Eppure in un punto esatto, preciso, dove la ferita è più morbida, ci sei solo tu, davvero tu. E nessun altro. La verità quella vilipesa e derisa era l’unica sagoma plausibile della realtà. Ora lo sai. Ma non hai voglia davvero di condividere tutto questo. Non succederà più. Lo devi a te stessa. In una brusca inversione di rotta, come un moto di orgoglio, forse un muro di vuoto.
Ma perché dai sempre la sensazione agli altri di poterti morderti sul collo, come una gatta in calore?
Dopo, inizia il conto alla rovescia, come se la tua pelle reclamasse ancora quella intimità violata.
Ogni donna è un poco stella.
La sua luce è segreta, preziosa, e brilla solo in un angolo, speciale e vero.
Aria sulla pelle ed il mondo intorno, non proprio addosso, ma nelle vicinanze, sì da poterne sentire la sua eco, qualche tentacolo a volte sfiorarti, e limitarti a cercare la bellezza, e la sua forza ed il suo respiro.
Eppure io arderei questa notte come un cerino, lasciandomi inondare gli occhi.
Piccola stella prestata dal cielo, a questo modesta dimensione, lascerei ardere la furia e lo stupore, intrecciandoli ai sensi. Una catena, un nodo, io non mi nascondo. A volte penso che si brucia per davvero un pezzo di noi, quando la passione annebbia, confonde, sparge il suo fuoco e dopo la sua cenere. Spogliarsi è quasi più facile che rivestirsi, dopo che si è sentita la luna addosso. Sì arderei questa notte, almeno come tre o quattro cerini, inseguendo fiato e umori e parole e baci proibiti, sino a sentirmi mancare un pezzo. Te lo dono signore del fuoco, per rinascere dopo.
Fiato di stella. Intreccio di anima. E poi.
Il cuore batte.
Non smette.
Le cose succedono e già non sono più. Come il battito di ali di una farfalla, io ho paura di ogni piccola variazione. Aggancio il fiato ad un tempo apparente, e conto, conto sempre, sembra quasi una preghiera a qualche strana divinità dei numeri, che si è incastrata in qualche paura e qualche tormento stinto nella mia memoria. Forse sui banchi della mia classe, quando non mi importava di scrivere dove capitava. Allora devo aver imparato che la forma svilisce sempre inderogabilmente la sostanza. Ci guardiamo, ci guardano, guardiamo, in questa vita fatta di sguardi nostri ed altrui, occhi presenti ed assenti, e segni sedimentati in fondo al cuore, più che graffi, carezze mancate. Oggi sono una cosa, la più indecente ed oscena che si possa pensare. Esiste un moralismo che permea la voglia di mostrarsi trasgressivi, da far tremare l’angolo della bocca. Per quello arcuo la bocca a forma di cuore. Io sono quel tormento rosso che si mescola alle vene, mie ed a quelle di passaggio, respirando in un amplesso rapito al corso degli eventi. Torbida, mi adagio e aspetto la riga del primo sole, perché mi sono sempre sentita a mio agio nell’ombra. Vestita solo della verità, quella che ti lasciavo scorrere tra i miei umori e le mie lacrime. Non la ricordi vero? E la saliva dei miei baci? A volte il mondo si ferma in quei momenti in cui ripenso alle tue mani sui miei polsi. Se ci pensi la vera indecenza è nel disordine tra mente, anima e corpo, davanti ad una finestra sconosciuta, quasi come questa. Ostento il timore delle cose che poi avvengono e non mi stupisco mentre lego le lacrime alle ciglia, perché le ho sentite, mordendo e baciando il vento. Ma era prima che succedessero, come una prefica in delirio. Così accadono le magie, e succedono le cose, a chi è, e sa essere, folle, appena appena, oltre la riga, capace di vagare senza paura. Come il rimmel che colava dai miei occhi insieme ai tuoi baci, alle mie ciglia sul tuo collo, al mio respiro sulla tua pelle. Là ho nascosto i miei segreti. Adesso, mi sono ricordata, come per incanto, del mio diritto di fregarmene, e di uscire dalle regole. E anche questo è un poco magico, forse un poco di più. Lo sai? Mi fa stare bene, poco poco.
Sai cosa vorrei adesso? uno stupore lieve ma tagliente, come una lama che squarcia le nuvole, e ti fa credere che un rettangolo di cielo sia solo e solo tuo. Ed è come per sempre.
Il resto è altrove, oggi prendo la vita come capita e ci inciampo con i miei tacchi incerti ma sfacciati, comunque e sempre.
Dimenticavo…ho cancellato tutti  miei nomi,
così potrai ricordarne di nuovi.
Mi piacerebbe restare così, senza nome.
Per Sara è diverso, solo chi mi ha conosciuto per davvero sa cosa sia per me, Sara.
Non smetterò mai ti baciarle i sogni smangiati dalla luna, e di curarle i graffi di un vecchio lupo.
Lei adora le mie storie e io le sue.
E resta tra le mie braccia, cuore a cuore, quando serve, e anche di più.
Perché di notte trema e la sua paura è anche la mia.
Ed anche i suoi sogni.
Mi rifugio nella mia pelle, e ne annuso l’odore. Sono davvero così familiare a me stessa? A volte mi succede di dimenticarmi all’angolo di qualche strada e poi di tornare a raccogliermi, pur sapendo che è troppo tardi. Coriandoli di donna. Respiro ed il fiato è memoria, una specie di fisarmonica del tempo.  Sul bordo mi sporgo, sapessi come è bello il delirio in alcuni istanti. Se te lo descrivessi le parole rovinerebbero quel pensiero segreto e repentino, liscio come seta e capace di tagliare. Ma io ho paura di tutto quello che è lieve e profondo nello stesso tempo, perchè lo trovo irresistibile; più del gelato alla nocciola da raccogliere a cucchiaiate dalla vaschetta in fondo al frigo. Lo facevamo nel cuore della notte io ed il mio papà, tra gerani e zanzare, sotto la luce delle stelle, nell’aria pregna dell’odore del grano. Sei nel cuore, dentro questa pelle, papà. E la mia pelle in cui mi rintano, a volte è matrigna e nemica e la sento ostile. Come se tutto fosse solo un fardello. E gli altri non esistessero per davvero. Dove sei? Il tuo caschetto biondo e le tue ginocchia sbucciate? E la mano di nonno? Mi avvolgeva come il mare, e arrivava al momento giusto, con il sorriso al profumo di borotalco. Quante vite fa? La torta e le candeline e sempre e comunque il mare. La mia infanzia è tappezzata dall’odore del mare, dalla sabbia ovunque, forse fino all’anima. Eppure è successo tutto su questa pelle che raccoglie questo cuore e non sa fargli da culla e lo spinge a fondo, più a fondo di un pozzo, in cui urlare. E non smettere. Urlo e non smetto. Lo faccio anche in silenzio. Lo sai che la musica è la casa del silenzio?
Alla fine nel tentativo di comprendere la verità mento sempre a me stessa. Ma è così difficile continuare a ricercarsi, mentre si vorrebbe solo dimenticare. Il senso e lo scopo. E forse è lo stesso. O nella stessa direzione, come frecce indegne si spingono, tra le vene, a caccia di futuro, o solo di un attimo sincero di gioia.
Tutto in frammento di pelle.
Forse era già all'improvviso. Come se ci fosse uno stupore nello stupore. Io così, in questi frammenti, resto immobile, e sento la corrente che risale e taglia. La mia pelle è fragile e i segni sono i ricami della mia anima. Se ancora ci metti le dita soprano, sulla ferita, sentiment che il sangue ci scorre vicino e ha la voce di una innocenza perduta. Hai mai sentito dentro un fiume nero? Si mescola al respiro e respiri inquietudine. Tutta quella di cui sei capace e che vorresti per un attimo soffiare lontano, come il vento fa con le nuvole, prima di rovistarci dentro i segreti più difficili da confessare. Le cose mi turbano e non le compressor,  ma più mi turbano e più mi affascinano, come se affacciarsi sul bordo del precipitous dia il senso alla serenità residua che riusciamo a racimolare, che grattiamo dal fondo del barile. Piccola ladra di emozioni e di fantasmi indaco, adesso apri gli occhi e immergili fermi nel buio. Succo di fragola che riga il mento, fino al petto. E segna il percorso verso l'inferno della mia anima. Oltre la comprensione c'è solo la trasgressione vera e pura ed innocente. Se adesso mi bendassi potrei raccontarti tutto l'orrore della mia indecenza e la mia favola di buio e di luce. Di passi incerti e della libertà, oltre il limite, al di là delle nubi, che forse sono le viscere di un cielo inverso.
Nella mia tasca un sasso e un pugno di respiri.
Ne vuoi uno?
Ed è così difficile, perché il mare smangia i passi sulla sabbia. Una volta in un posto, tante vite fa, ad ogni nuovo passo tutto si illuminava, mentre il mare rotolava le conchiglie sulla spiaggia, forse le riempiva di baci, forse le feriva, o forse è lo stesso. Alcune sensazioni riescono a farti sentire magici, piccoli maghi del quotidiano che barattano respiri con sensazioni. Forse, una parola, mille, mille aghi di pini che vanno incontro alla notte e riempiono l'aria del loro profumo caldo ma sincero. Da piccola disegnavo con il fiato sul vetro e ci scrivevo, dentro quegli aloni precari, prima che scomparissero. Le dita scivolavano sui sogni, come se fossero carezze, forse sospiri. Un morso sulla guancia dischiuse ogni remora all'essere donna e sbagliata, a dispetto delle lacrime calde e della sensazione dell'errore. Oggi una amica mi ha dichiarato che ha diritto di essere felice, e che pretende questo rettangolo di vita nel modo migliore possibile. E la guardavo, la rivedevo fanciulla piena di sogni, di amore traboccante,  e di emozione. Quanto rende ridicoli l'amore, così fragili, così teneri, così pronti al morso, a baci proibiti, a segni sulla pelle ancora incerta, fino a lasciare un solco tra brivido e brivido. La mia amica aveva il cuore pieno di progetti e le ho sorriso dentro, senza la forma di cui non sono più capace. Quella donna era la mia compagna di banco e adesso ha il suo cuore, e la sua vita, una vita nuova, in mano, piena di coraggio. Ed è una sensazione bellissima, quella di poter essere tutta in un posto, forse. Io sono destinata ad essere frammenti, uno, più, schegge di donna. La lama sulle vene ed i miei sogni sono in un bosco. Sono sull'orlo e contemplo e assaporo la sagoma della comprensione. Di tutto, anche dei limiti e della voglia di sminuzzarli.
Sotto ad un sasso una promessa e la mia bocca a mordere questa notte.
Ancora.
Se non è ego smodato questo, cosa lo è allora?
La profferta dell'anima è più indecente di quella della carne.
Nulla mi turba ormai, e se parlo lo faccio con la mia ferita interiore, come se la magia fosse sentirci sopra una carezza, fosse anche la più oscena possibile.
Vieni con me nel bosco?

Una piccola confidenza, come un semino freddo nella terra calda. Gli fa da culla e lo circonda. Ed è il mio segreto. La speranza di un ciuffo selvaggio di felicità. Margherite alla deriva ed un volo di fenicotteri. Sapessi come macchiano. “Fermati“. Una spada sulla gola. La lama del tormento, e non sai spiegare. A volte la luce ferisce, chi è figlio del buio e altro non sa essere. E le parole. Troppe. Addosso. Dentro. Fuori. A volte sono inutili. Penetrano più di un amplesso. E non taccio. Per dimenticare. Quel buio che ho provato e che vorrei allontanare per sempre. E ancora la lama dal mento in giù, e una goccia di sangue. Vorrei baciassi le mie lacrime. La mente violata si spalanca più feroce e calda delle gambe. La lama ancora disegna tormento con la sua punta e con il sangue e taglia, morde petali e ne fa coriandoli di donna. Una riga per segnare la traccia e la scia di quel dolore caldo che scorga e zampilla, senza dignità. Oggi non esisto. Non ora. Non più. Il semino giace e si slarga, fecondo e prepotente. Non tradirlo quel barlume inerme di intimità, tra sdegno e noccioli. Solo la superficialità può. “No, non esisti“. Ti sei disegnata troppo nitida. “Sfumati, come una alba malconcia e stinta. “.  Mai più colori veri. Dopo non ci sarai. Non devi. Adesso è dopo. O forse mai. O prima. Non puoi vestirti di tempo, perché il tempo rende nudi e scava. Dopo non ci sarai, perché è ieri, nell’istante del fremito. Dovevi mozzarlo ma non hai saputo. Il semino è un albero e tu non sei più la riga di sangue. E la ferita è solo deriva e non sa più essere sponda. Parole, senza senso. Precipito. Urlo, oggi il mio nome si frantuma. E non è un petalo. Neanche un sasso. Fiato, e urlo ancora. Io sono aria rubata.
Rubata ad un sogno, il mio.
Adesso lo so, non so più piovere.

mercoledì 7 giugno 2017

ancora nel blue hole


ancora nel blue hole…La mia verità- dici spesso – sembra il riflesso deforme nello specchio. Nei miei occhi l’urlo di foglie sconosciute, la loro eco spenta che si ribalta e mi genuflette. Ho un taglio che diventa deriva.
Scavami,
sino a raccogliere ogni brivido,
come se fossi un campo dimenticato.
Stanotte la luna sembra così vicina, come se fosse un oblò su un mondo segreto. Nel mio groviglio, a volte la paura si mescola, più fitta e densa, alla delusione, al timore di non sapere e non potere. E io non so più tremare.  Nel profondo, respiro fragile, e non ricordo. Eppure vorrei. Niente resta incastrato a niente. Il vento ha una voce potente, ed una forza disperata, sembra una corda, ruvida, verso percorsi ignoti. Come se ci fossero vene capaci di essere fiumi.
In fondo al pozzo pulsano quelle vene.
Battono ancora?
La pelle è una mappa. I tuoi occhi come sigillo della mia indecenza, tutta quella di cui sono capace e che mi fagocita. Sono un nastro rosso che prende forma e si piega con il delirio. Hai smesso di scavarmi?
Una goccia, sulla schiena, segna il percorso. Sono inversamente innocente. Ed ho imparato ad ignorare. Con molto dolore. Ascolto solo i miei sensi. Una lama, incerta, ma vorace.
Sul mento.
Puoi baciami.
Ma salvami la bocca, ti prego.
Prima che sia dannata.
A volte penso a tutto quello che è scorso, ai segni, dentro e fuori di me.
Ed è vero, scorgo il delirio e lo afferro, ma solo per un attimo, come se il corpo, alla fine, fosse capace di vincere sulla mente e di scegliere, sapientemente, anche per il cuore. E rifugiarsi ancora in una tasca di vita.
A volte ti ho urlato che ti volevo, nonostante te, me, nonostante tutto. Ma non volevo te, adesso o sempre, o in mai possibile, volevo te in quelľistante esatto, morbido e mio, fragile e vero.
Forse si, lo ammetto, mangio troppa cioccolata.