venerdì 31 luglio 2009

Affondo nella notte. Come se fosse un barattolo. Senza fondo. E la lascio scivolare fuori dall'anima. Notte incastrata tra le mie vertebre. Io mi rigiro. E me ne libero. Libera. Come polline. E così anche il cielo si rigira. Lentamente pigro. E finisce a ritrovarsi in una alba nuova. Fatta di luce timida.Come una vergine. Nascosta da veli di pudore. Non conosce il desiderio ma lo sente.
Ci sono luci che si schiudono come fiori.
Tu non ne riuscivi a scorgere la bellezza.
Perchè eri troppo vicina.
Allontanandoti dalle cose le percepisci.
Le scopri.
L'identità si coglie nei dettagli.
Si annida come un virus incontrastabile.
E la tua assenza non si chiama nostalgia.
Ma si chiama scelta.
Si chiama altrove.
Bivio.
Altra strada.
E voltarsi non ha più senso.
Sarebbe recidere il filo del futuro.
Quello che si interseca con l'orizzonte.
Un bimbo ti sorride. Non è il tuo. Non lo sarà mai. Ma è come se lo fosse. Amore senza sangue. Fatto solo di cuore. Ti indica il cielo. E accarezza la luna. La distanza non conta per lui. Si sente le mani piene di luna. Con la forza del desiderio. Poi ti mostra le stelle. Una per una. Le chiama per nome. Le conta insieme a te. Prima di addormentarsi sul cuscino.

giovedì 30 luglio 2009

Mi spingo oltre la cornice. E mi ritrovo occhio e pennello e bocca. Senza limiti. Fino alle viscere. A riempire di pensieri quello che guardo. E sentendomi esplodere i colori nella testa. E mescolarmi i pensieri. Pensieri e sensazioni. E' come se si sciogliesse dentro un iceberg. E' questa la grande possibilità che il mondo ci offre nel condividere. La più bella forma di amore. Del resto l'immensa bellezza del dare è una regola che ci ha donato la natura. E' il motto della terra. Nell'arte ci viene offerta una possibilità. Usare gli occhi degli altri. E scambiare i nostri con i loro. Posarsi nell'angolo e dimenticare il mondo. Osservare. Quella realtà. Come se fosse l'unica. Con gli occhi. Con la mente. Con le dita. Con la pancia. Con tutta la tensione dei muscoli di cui siamo capaci. Con il battito del nostro corpo. E con il respiro. E' come respirare nei colori. A caccia dell'anima. E del filo conduttore. Si annida nei segni. Nei particolari. Il gran segreto. E' il segreto dell'anima. Spalmato sulla tela. Di una vita che ha superato la morte.E ha strisciato il suo messaggio sul tempo. Fino a fargli dimenticare di sè.
Ed osservare è scostare il velo della realtà.
Farsi pulviscolo.
Nell'arte il segreto del mondo si diluisce nei colori.
Come se fossero sangue dell'anima.
Un suo distillato.
E pane per gli occhi affamati.
Comprendersi non è mai stato difficile come adesso.
Ho un vuoto dentro.
Come se ci fosse una luna di pietra.
A rotolarsi dentro di me.
A frantumarmi l'anima.
Di notte vive in me una donna pesce.
Si tuffa nella notte.
E nel delirio.
E si riaddormenta al mattino.
Al mio risveglio.
E' lei la padrona dei miei sogni che mi dorme dentro.
La gelosia era una coperta. Mi fasciavi le spalle. E mi fermavi i gomiti. E tutto questo per uno strano intruglio, che devo aver ingurgitato in una vita precedente, e che ogni volta ci sforziamo di chiamare caso, mi faceva sentire amata. Mi faceva sentire regina. Una regina scalza. Era a metà tra un lancio di dadi e la forma del tuo delirio iniquo sulla mia schiena. Sempre più a fondo. Non era amore. Io ero solo l'occasione. Per guardare nello specchio la tua sagoma. E riempirla del più pericoloso dei sorrisi. Io ero l'occasione. E le tue labbra mordevano le mie. Dopo avermi imboccata. Ti contorcevi mentre tentavo di addentare la mollica. Solo la crosta. Mi toccava solo quella. E coloravi il pane con il mio desiderio. Sembrava miele. Era pentimento. E io ancora nuda occasione. Quella gelosia imbrattava come rossetto strisciato sul tovagliolo. E io ci delineavo, dentro il solco, anche qua a fondo, una trama di emozioni e sentimenti. Ci disegnavo l'odore dei campi. E dei fiori appena sbocciati. Ne imitavo le corolle con le mani. E mi cullavo nella più crudele e finta delle coperte. Una trama di delusione e parole mozze. Asciutte. E le leccavo con la più sciocca delle comprensioni. Come se per un arcano mistero avessi dovuto essere punita. Perchè? Mentre mi credevo incapace di sopportare. La vita mi stupiì. Mi fece causa ed effetto. Mi innondò di parole che riempivano le conchigliette bianche sulla riva come piccole mani. Le rotolavano nella rena. Fino a non poterne più. Tante parole. E io le componevo. Ci costruivo racconti. Poi finì l'estate. E sopportare divenne davvero un macigno enorme. Fui causa ed effetto. Comunque fragile. E non più occasione. Fragile. Facile da rompere e da sporcare.
Se adesso scrivessi le mie parole sarebbero fuoco.
Capaci solo di lasciare cenere.
Ma tutto questo non vuol dire nulla.
Non c'è un senso.
O un significato.

lunedì 27 luglio 2009

Alcune stelle sono lacrime mai piante. Intrappolate e scorse al contrario. Incastrate nel cielo come artigli. Rubate alla intimità più pura. In quel punto in cui si apre la falla dell'anima. E il corpo è il suo corridoio. Lì passa tutto il bene ed il male di cui siamo capaci. Ed ogni ostruzione fa incredibilmente male. Impedisce di scorrerci e sentirci. E di farci attraversare dal buio e dalla luce. Fino a divenire leggeri.
Vibro di ignoto.
E di notti sminuzzate.
Come se fossi una corda.
E non so.
Altro non so.
Non voglio.
Per quello quando si guarda il cielo si prova gioia e malinconia.
Allo stesso tempo.
Come se stessimo intrecciati nella stessa foresta di stelle.
Alberi di luce intermittente.
Timida e sfacciata.
E la vita durasse una notte.
Ad ogni alba dimentico quello che sono.
E che non sono.
Ma non nego nulla.
Il punto non è cercare risposte per gli altri. Ma solo per noi. Ruscelli di acqua sconsacrata. Ho incominciato a sigillare i pensieri. A ricoprirli con la carta da pacchi. Affinché l'uno non si mescoli con il successivo. E tra un pensare ed il precedente ed il successivo. Ripulire ogni traccia. Ogni sbavatura. Prosciugare ogni anfratto. Sono quasi gelosa dei miei pensieri. Sono l'unica cosa che ho. Schizzi di luce. Le mie pupille si contraggono. Schizzi di buio. Non è dolore. Non è fuga. E' un tuffo dentro. Fino ad abituarmi. Nella mia testa ci sono le mie verità. A volte scendono al cuore. In discesa libera. Nei labirinti della vita. Lì si adagia ogni verità. Un piccolo sedimento. Come sul fondo di un lago. Un loop fatto di sangue e che nega il sangue. E lo disprezza. Ma sono rossi questi pensieri nella testa. Contaminata da risposte. Senza aver fatto le domande. Osservo l'aria. Macigno con un peso incomprensibile. Dove finisce il corpo ed inizia il cuore? Il confine è la consapevolezza. Di poter riempirsi le vene di cuore.
Oggi non ho nulla. Non cerco nulla. Solo sciocchi pensieri. E cerco di non lasciare traccia alcuna. Sono il campo dopo il raccolto. Pieno di segni. Ma senza frutto. L'abitudine infetta il cuore. E impari a deformare il cuore. Manipolarlo. Darli una direzione. Per fargli schizzare i battiti giusti. Ma non ci riesci. E sporchi il mondo con i tuoi battiti deformi. Li vedi fare traittorie incomprensibili. Per poi pentirti e tentare di riprenderli.
E scoprire che sono diventati fiore.
E' bello pensare di vivere battendo dentro la corolla di un fiore sconosciuto.
In una terra lontana.
Sembra quasi una magia.
E mi intaglio nella mia solitudine densa.
Una lama scava pezzi di me.
E' come scavare onde.
Dentro la cornice di un cielo feroce.
Risucchiato dal caldo.
Come se fosse uno scherzo.
Un cielo convesso.
Teso come un'arco.
Manco io al centro di me stessa.
Come una corda di violino la mia assenza stride.
Sulle mie vene sorde.
Le incide di senso.
Insegna un nuovo linguaggio.
A caccia di nettare.
O solo di sangue disperato.
Assente ingiustificata.
Imploro il mondo di venirmi a cercare.
E di apporvi il sigillo che decreti il mio incompiuto.
Con la speranza di poter fare capolino.
Un giorno.
Dalla coltre fitta.
Forse è solo calda e rorida malinconia.
Sono stufa di scansare lame dietro tulipani.
Dove sono stata?

giovedì 23 luglio 2009

Esplode nella notte una paura. Nella testa. Brividi e battiti. Le mie tempie genuflesse. Ribaltano il mio sonno e gli sgozzano il respiro. E mi ritrovo nella realtà. Con il fiato appeso. E la musica della notte. Fatta del silenzio della casa. E di muri testimoni. Impregnati di noi. Della nostra vita. E della nostra non vita. Forse su quel muro potrei leggere l'ombra dei tuoi sogni. Dalla finestra mi abbraccia l'odore della campagna. Del grano arso e delle stelle. Mi limito a fissare per qualche istante il mio incubo. Lo osservo. E lo sminuzzo. E non sembra poi tanto male. Mi sciolgo nel tuo respiro regolare nel cuscino. Non ho pensieri. Solo qualche inutile lacrima. Forse un sorriso. E mi rassicuro. Nulla da ricordare. Nulla da dimenticare. Nessuna recriminazione. Nè rimprovero. A volte ci si sente senza presente e senza futuro. In un momento esatto. Senza nessuna storia da raccontare. Con la rassicurazione che l'amore è l'unica forza vera del mondo. Non ha regole. Nè nomi. Nessuna recriminazione. Nè pretesa. L'amore è l'oblio di ogni male. Come se non fosse mai stato.
Abbraccio la mia lucida confusione.
Come se fossi una stella di fango.
In attesa di pioggia.
Non per ripulirmi.
Ma per scomparire.
La notte mi accarezza le tempie.
E mi spinge nel mattino.
Come se questa anche notte non fosse mai stata.

mercoledì 22 luglio 2009

E' fatta di nuvole la mia incertezza. Provvisoriamente. E mente provvisoria. E comunque mente. Mi trattengo tra le mani. Quello che posso. Mi pulso addosso. Mi spengo il cuore. Non serviva. Inutile orpello. E poi gli imprimo un nuovo battito. Tac tic. Un battito al contrario. Sfoglio i miei dubbi come una margherita reticente. Oppone resistenza.
Non voglio nessuna coerente e cortese coerenza.
Ma mollemente adagiarmi.
E trasformarmi. Senza ritegno. Poggio la guancia sopra il cielo. Come se fosse il davanzale del mondo. Quando le pieghe del collo e del braccio si confondo. E mi faccio cuscino di me stessa. Osservo. A volte conto. Mi aiuta ad imprimere. Il mondo è sotto e sopra. Il mondo è senza direzioni. E senza centro. Il vero mondo è fatto di meravigliose periferie. Fatte di un vento che le riesce a confondere. Funi della stessa matassa.
La musica del vento è inimitabile.
Altre volte mi racconto una storia. E la libero dai ricordi. Il suono del ricordo è una musica fatta di futuro. Una specie di amo. Le esche sono pezzi di anima. E parole. O solo qualcuna.
Non non la ricordo.
Labile è l'idea.
E candida la imperfezione.
L'amore è la più perversa delle introspezioni.
Quando si sogna ciò che non si vuole davvero
nessuna nuova alba può trovarci infelici.

martedì 21 luglio 2009

Ampolle di giudizio. Mi dondolano sul capo. A volte perdono goccioline. Una strana pioggia. Non bagna. Nè dà frutto. La scanso con le dita. Non ha sapore. Un pò brucia. Ma evapora in fretta. Ampolle sconsolate. Ne percepisco il movimento. Una ipnosi dell'anima. Si parla addosso. Segnano l'aria. Fino a scorticarla. Come se l'aria non avesse sangue. Il loro movimento spezzetta il tempo. E uno spazio urta contro il successivo. Sembrano rumori. Sembrano lamenti. Ma sono solo intrecci del tempo. Che sa di essere unico. E si diverte. A farsi credere più serio di quello che è. Il mondo è leggero leggero. Ed è un gran burlone. In un attimo ti capovolge avanti ed indietro. E rotola come una bella risata serena. Una carezza ed una risata. Bolle di sapone mi cospargono il cielo. Lo imbrattano lievemente. E i loro riflessi mi riempiono gli occhi. E mi rapiscono l'orizzonte. Hanno fagocitato il mio orizzonte. Pezzo per pezzo. Ed è come essere senza spazio. Senza direzione. Sospesi. Con gli occhi pieni di bolle di sapone.
Sono una gatta.
Un pò selvaggia.
Ma a caccia di coccole.
E a volte di riparo.
Ho alternato strati di serenità. A strati di inquietudine. A volte sembrava disperata incomprensione. Ho alternato e perso il senso. Prestando la mia pelle. Per ricamarci sopra la presenza. E sono diventata un miscuglio.
Fino a non saper più tremare.
Vorrei. Un viaggio. Immobile. In cui non c'è partenza. Nè arrivo. Un viaggio muto. E sentirmi. E ricompormi. Poggiare un lembo sull'altro. E annullare il confine. Sono io il mio confine. Io inizio e finisco in me. Senza scendere in profondità. Senza luce. Prosciugata come un fondale senza luna. Questo. Intuire. Con la punta delle dita. E i polpastrelli della mente. Senza spiegare. Senza movimenti inutili. Per lisciare le pieghe sulle mie tempie. E ogni battito. Trattenerlo e lasciarlo. Farlo volare via come se fosse una farfalla.
Mi vesto nella più stolta delle nudità.
E non ha nome.
Lo cerco nel mio petto.
E' senza coerenza.
La nudità è vestito fatto di parole mute.
Parole di pelle.
Hai freddo anche se non dovresti.
E non capisci la ragione.
Ma la logica non fa parte del viaggio.
Un viaggio senza mappa.
Qualcuno ha staccato dalla roccia un piccolo pezzo di corallo.
Aprofittando della marea.
Adesso è sperso.
E incapace di gridare la sua assenza supplica la luna.

domenica 19 luglio 2009

C'era la banda. Lo zucchero filato. E la mano di mio nonno. Immensa come il mare. Ma salda. Sembrava il posto giusto per la mia mano piccola ed esile. L'unico posto giusto. A volte sentivo le mie ossa adagiarsi nella sua mano. Tra la folla. E mi ripiegavo nel suo sorriso. Come un ventaglio. E ondeggiavo come il palloncino legato al polso. Era estate. Quando l'estate riempiva di gioia. Era l'esplosione di una attesa. E si sperava non finisse mai. E l'odore del grano e del mare si mischiava al canto dei grilli. Barcollavo come le pesche nel vino fino ad urtare contro il vetro. In attesa di un solo morso. "E' una cosa da grandi". E mi faceva l'occhiolino mentre addentavo il frutto proibito sotto la coltre del disappunto dei miei genitori. Le piccole trasgressioni di una piccola bimba. Aspirante piccola donna. Con un mondo piccolo ma perfetto. Come un mappamondo incantato.
Il tempo ha ammorbidito ogni ricordo.
Da poterlo nascondere in una tasca qualsiasi.
Ricordi come fazzoletti a quadretti.
Odiavo quelli rossi.
Scivolo in una lacrima che si chiama nostalgia.
Attenta ad asciugarla subito.
Ho il maledetto vizio di condividere.
Oltre ogni logica.
E levigo tutto quello che ho.
Ho il terrore del mio vizio per gli eccessi.
Ho imparato che l'unica possibilità è dividermi tra la parte buona
e quella cattiva.
Ma quest'ultima non è d'accordo.
Sa di essere più forte di ogni ricordo e di ogni passato.
Più o meno risibile.
E non lo so quanto sia antico questo albero che mi cresce dentro. E dentro scuote. Si scuote e mi scuote. E mi percuote l'anima. Agita la sua criniera. Come un leone cieco. E quasi fa male. Nelle notti di tempesta lo senti strusciarti dentro le sue fronde. Fino a toccarti le vene. Credendole radici. E lo scambi per vento. O per battito. E con lui pulsi. Il suo battito ti esplode dentro come se fosse l'ultimo colpo. Come se vivessi la sua vita. Non è terra. Non è limo. Non è fiume. Ma è inquietudine. Fatta di acqua e terra. E limo. E fiume. E fatta di sangue. Con il calco di una impronta sconosciuta. Impressa da un passato che non ricordi. Il passato è un posto isolato dal tuo respiro. Zeppo di pensiero. Modellato dal tempo. Che poi siamo noi. Noi siamo il nostro tempo. Altre volte quell'albero volte ti vomita dentro le vene. Fino a farle fremere. Sputa carezze incompresibili. Come se volesse scriverti sulla pelle. Dal di dentro. Messaggi segreti come biglietti mai scritti ma indirizzati al cuore. O a chi ti toccherà. Nel modo giusto.
E così i messaggi restano incastrati dentro di noi.
Forse per sempre.
Incapaci di leggerli.
Destinati a non essere mai compresi.
Ne ho spezzato un ramo.
E mi ha sanguinato dentro.
Fino a lacerarmi.
E a sconquassarmi il ventre.
Io non lo so.
E non voglio saperlo.
Spesso ho provato a rivoltare la mia pelle.
Ma guardarsi da dentro fa più male che ignorarsi.
Un fiume di ignoto ti invade.
Segni fatti di una corteccia antica.
Tutti la credono morta.
Solo tu sai che hai dentro i suoi virgulti.
Ne sei oscenamente pregna.
E tutto questo ti fa paura.
Ma ti piace.
Sono la troia dell'albero che mi scava da dentro.
Mi riempie di segni.
Ma a volte placa il mio delirio con le sue carezze.
Fino a farmi addormentare.
E poi svegliarmi prima dell'alba.
Credo che questo sia amore.

venerdì 17 luglio 2009

Come ghiaccio si sciolgono i pensieri. Lentamente. Percepisco il calore che li avvolge. E li contamina. E il mio pensato brucia. Punge. Buca. E dalle tempie fugge. Un foro. Perfetto. Della misura esatta. Di una perfezione oscena e purulenta. Scendono veloci verso la valle dell'anima. Pensieri di ghiacchio. E cenere. Segnano il collo. In un percorso sconosciuto. Dopo aver baciato la pelle. Goccia per goccia. Bacio di ghiaccio fuso. Lurico e liquido come un desiderio nella fase terminale. E il ghiaccio e i suoi residui ed i suoi umori e la loro crudeltà penetra lo stagno della mia consapevolezza.
Ho esaurito le parole.
I pensieri sono costretti nelle vecchie e logore parole.
Ho esaurito i sentimenti.
E il cuore è un meraviglioso carillon.
E le emozioni.
Sono un'otre secca.
Con le pareti di argilla che tirano.
Cosparsa d'edera.
Voglio pensare in orizzontale.
E' più facile.
E che l'aria mi coprisse.
Fino a nascondermi.
Voglio un coperchio fatto di cielo.

giovedì 16 luglio 2009

La solitudine non ha regole. Preziosa come rugiada al mattino. Si veste di tristezza. E scivola in abito dal colore indefinito. Un colore secreto dalla mente. Non lo puoi spiegare. Come una voce sconosciuta. Recita le tue preghiere. I tuoi salmi fatti di strati e di veli. E la voce solca la mente. Scivola e graffia. Lungo i canali della tua coscienza. Cerchi di afferrarne una sfumatura. Un punto. Un frammento. Pizzichi l'ignoto. Ma ti ritrovi sabbia tra le dita. A farti compagnia. Come se fosse una compagna di giochi. A cui raccontare di te. E ci parli un pò. Con la voce che ti rimbalza addosso. Una amica sul cui grembo posare il capo. Per addormentarti sotto una coperta di dolcezza. Con una custode sul capo. Che conta le stelle. Al posto tuo. Voglia di protezione. Urla nella mente. Nella tua mente. Tra le tue viscere. Nella voglia di un abbraccio. Là si incastra. Urlo che sembra canto. Si confonde con la disperazione dei grilli.
Anima di vetro.
Soffia contro di sè il suo alito caldo.
Per nascondersi.
O solo per coprirsi di mistero.
Come se la vita si fossero annodata intorno ad un dito.
E giro dopo giro tu cerchi di ripercorrerla o percorrerla.
Io non possiedo verità.
Solo sensazioni.

mercoledì 15 luglio 2009

Adesso vorrei insegnare alla mia pelle ad avere freddo quando fa caldo.
E ad avere caldo quando fa freddo.
Vorrei ammaestrarla.
Vorrei insegnarle a superare i limiti.
A capovolgere le regole.
Voglio sentire a modo mio.
E capire è più semplice che giudicare.
Una luna dai limiti smangiati sta splendendo.
Le hanno morso il bordo ma resta immobile.
E splende per tutti.
Come se fosse pane.
Una immensa panella.
Da ogni angolo della terra.
Luna di pane.
In cui affondare le mani.
E strapparne un pochino.
Come se ogni dono fosse un diritto.
E nutrirsi di immenso.
Senza saziarsi.
Mai.
Briciole di luna.
Io sto morendo di fame.
Sono cresciuta cercando di essere indispensabile.
Come se quella fosse la misura dell'amore.
Spanne di utilità.
Ma un certo punto mi sono allontanata.
Non so se fosse assenza o indifferenza.
E la distanza era divenuta la misura dell'amore.
E mi sono persa il meglio.
Ho sentito sguardi e delusione.
E la approvazione è diventata la misura dell'amore.
Ho sentito pizzichi di amore negato al cuore.
Pungono come spilli.
E ho continuato a resistere.
Non sarebbe bastato cambiare le regole.
Ma distruggerle.
Nastri di seta hanno coperto occhi e labbra.
Senza alcuna utilità.
Non era per impedire di vedere.
Solo segnare.
Fino a fare male.
La misura dell'amore si era trasformata
nella capacità di lasciare un segno.
Uno qualsiasi.
Ho laccato le crepe del mio cuore. Nel punto esatto in cui la ferita si fa morbida. Ho sentito i suoi lembi e ha steso lacca rossa per mimetizzare il sangue e il succo della mia anima. Densa e rossa come il tramonto. E ho deposto un sigillo fatto di labbra. Baci e morsi. Fino a restare con pezzetti d'anima tra le labbra. E il senso di una differenza lenta e logora ed esausta.Io e il resto del mondo. E a capire se entrare o uscire per sempre.
Sono stata molte cose.
Mi sono fatta oggetto.
Sono stata in molti modi.
Tanti o solo uno.
Tra il tanto ed il troppo ho sempre scelto il troppo.
Sono stata recinto. Sbaglio sempre. Muro. Vernice. Rossetto. Chiodo. Cornice. E scusa. E poi errore. E finestra. Scusatemi. E cassetto. Sono stato argine. E fiume. Rosa. E spina. E mi dispiace. Tovaglia. Piatto. Spillo. Non succederà. Castagna. Riccio. Straccio. Molte volte. Unguento. E pungolo. Era tutto evidente. E silenzio. Per pochi istanti. E lava. E reggiseno. E gancio rotto. Orgasmo. Gonna. Tacchi. Caviglia. Non lo farò più. Utero. Voce. Sorriso. Rabbia. Pugno.
Sono stata tante cose.
Molte sbagliate.
Divorate dall'eccesso.
Oggi sarò ombrello.
Ho deciso.
E domani la mano che lo chiuderà.
Ho laccato le crepe del mio cuore. Nel punto esatto in cui la ferita si fa morbida. Ho sentito i suoi lembi e ha steso lacca rossa per mimetizzare il sangue e il succo della mia anima. Densa e rossa come il tramonto. E ho deposto un sigillo fatto di labbra. Baci e morsi. Fino a restare con pezzetti d'anima tra le labbra. E il senso di una differenza lenta e logora ed esausta.Io e il resto del mondo. E a capire se entrare o uscire per sempre.
Sono stata molte cose.
Mi sono fatta oggetto.
Sono stata in molti modi.
Tanti o solo uno.
Tra il tanto ed il troppo ho sempre scelto il troppo.
Sono stata recinto. Sbaglio sempre. Muro. Vernice. Rossetto. Chiodo. Cornice. E scusa. E poi errore. E finestra. Scusatemi. E cassetto. Sono stato argine. E fiume. Rosa. E spina. E mi dispiace. Tovaglia. Piatto. Spillo. Non succederà. Castagna. Riccio. Straccio. Molte volte. Unguento. E pungolo. Era tutto evidente. E silenzio. Per pochi istanti. E lava. E reggiseno. E gancio rotto. Orgasmo. Gonna. Tacchi. Caviglia. Non lo farò più. Utero. Voce. Sorriso. Rabbia. Pugno.
Sono stata tante cose.
Molte sbagliate.
Divorate dall'eccesso.
Oggi sarò ombrello.
Ho deciso.
E domani la mano che lo chiuderà.

lunedì 13 luglio 2009

Gli enigmi sono infiltrazioni di pigrizia nella mente.
Saccotti di ignoto.
L'inconoscibile striscia supra una terra riluttante.
Ruba il seme e lo pianta altrove.
Occlude i pori della bellezza.
E le impedisce di respirare.
E di farsi respirare.
La spinge sotto.
Come se questo mondo fosse la maschera di un altro mondo.
E a volte un bavaglio.
Questo mondo è mio.
Nella misura in cui l'appartenenza chiarisce l'essere.
O lo annulla.
Osservo le tue vertebre.
E le bacio una per una.
Fino a farmi sanguinare le labbra.
Non voltarti.
Vorrei gridarlo.
Ma taccio.
Me lo grido dentro.
Fino a farmi tremare le vene.
Non impiccare questa alba.
Prima che si spalmi sulla tua schiena.
Addormentata ed ignara.
E mi inchiodi là.
Come se avessimo una pelle in comune.
Un velo che ci avvolge.
Una tenera illusione.
E ci sussurri un segreto inconfessato.
Facendoci sentire vicini.
Mordendoci di incanto e silenzio.
Poche le certezze.
Poche le risposte.
Sono uno specchio inverso.
Capace di spingere tutto oltre.
E di sbattertelo dentro l'anima.
Lo specchio delle domande mai fatte.
Le risposte arrivano prima delle domande.
E mi impediscono di rifugiarmi nelle loro pieghe.
Immersa dentro un bagno caldo.
L'aurora.
Le gocce di sudore si mischiano all'acqua e all'essenza.
Quando si ama si scambia anima e sudore.

domenica 12 luglio 2009

La notte mi vomita addosso una luna impudica. Le liscio i contorni. E gioco con il suo bordo. Infilo le dita nella luna. Come corvi a rovistare luce. La luce mi punge dagli spiragli della mia finestra. Fuori c'è il mondo. Un mondo che cambia. Istante per istante. E io mi mostro immobile. Mi spoglio e mi lascio rubare l'intimità da aghi di luce. Fino a strappare il segreto dai miei fianchi. Come se fosse il vestito che adesso scivola ai miei piedi. Mi lascio guardare. E fingo. Di non sapere che stanno rubando pezzi di me. Avariati ma sinceri. Sento disegnare croci sulla mia nuca. E musica sulle mie braccia. Fino a urtare contro i miei gomiti. Strisce di pudore. Da annodare alle caviglie. Giri di sensuale frivolezza sui miei polsi. Un segreto che cola ovunque. Un gioco fatto di carne e di luce. Dove la mente le scava e le segna. E si nutre. Roteando come un disco di luce impazzita. Fili di fuoco. E le mie mani li uniscono e li spezzano alla mia carne. E il mondo ancora osserva. Ma io non ci sono. Non più. Sono una bolla di luce. E mi respiro addosso. E voltandomi scivolo nel domani.
Pensavo che ci volesse tempo per cambiare.
Ma in genere occorrono pochi istanti.
Nulla è più complicato di una vita troppo semplice.

giovedì 9 luglio 2009

Ho sognato di sgozzare il canto di grilli. Pazzi e disperati nella calura. E il loro canto una rete che non combacia. Ricama l'aria. Fino a graffiare il cielo. Qualcosa scappa. E mi rimbalza addosso. Fino a scomparire. E poi tornare al momento sbagliato. Che è un tempo che non ha più posto. Non mi sono persa. Me lo rammenta il mio respiro. Ma è che non so bene dove andare. I percorsi dei pensieri e quelli del corpo sono fili slegati. E i passi si ribellano. Scivolano sotto ombre sbagliate. E non arrivo mai. O forse non sono mai partita. Ho fatto un viaggio in un bosco fitto fitto di parole. E mi sono fatta ramo dell'uccellino che mi trema dentro.
Il vuoto è un meraviglioso posto da riempire.
Dove spiccare il volo.
O decidere di addormentarsi.
E ricucire il canto spezzato.
Questa volta è il corpo che disegna.
E precede il resto.
Srotola la mappa.
E quasi sembra un prato.
O un cielo verde.
Desiderio e sogno si mischiano.
Macchiano la realtà.
"Regalami lenzuola fatte di mare.
E poi lasciami sola.
Non voglio che nessuno rubi i miei sogni."

mercoledì 8 luglio 2009

A volte mi capita di essere esattamente al centro di un pensiero. Senza esserne immersa. E il resto del pensiero mi fluttua intorno. Un pò mi fa da vestito. Come una gonna gonfiata dal vento caldo. Imbarazzante ma divertente.
E un pò ti senti morbidamente seducente e un pò pudica e vorresti coprirti.
E con le mani lisci stoffa e vento.
Il mondo si muove ancora e sempre.
E siamo la eco di quel movimento.
Una eco di sangue.
Non sempre c'è una porta per entrare e uno per uscire.
E restiamo imprigionati in corridoi fatti di mondo.
E di vita.
O solo teneramente avvolti.
Credo, nel mio confortevole e confortante disordine mentale, che ci siano cassetti lasciati a lungo aperti e altri a lungo chiusi. Ed è il conforto quello che mi irrita. Mi hanno lasciato credere che fosse una componente. Addirittura essenziale. E così a volte mi sono lasciata imbavagliare da fasce di conforto. Senza capire che impedivo alla luce di quella candela di illuminarmi la pelle. E di sentirne il calore. Era la mia voglia di concretezza che rovinava l'atmosfera. Riempivo di molliche di pane ogni angolo. E imbrattavo la magia e il mistero.
Adesso ho le mani illuminate dalla candela.
Dalla stessa.
E posso rovistare nei cassetti.
E chiuderne altri.
In genere si raccontano storie fatte di passato.
Io vorrei raccontarne una fatta di futuro.
L'uomo lupo si è innamorato della donna farfalla.
E le ha cosparso le ali di baci.
Prima di divorargliele.

martedì 7 luglio 2009

Il titolo è obbligatorio. E rende tutto senza un titolo vero. Con un coperchio sbagliato. Ti fa credere che il cielo sia il coperchio del mondo. Mentre forse è la terra il coperchio del cielo. Diamo una forma a ciò che non la ha. E non può averla. Come succede per i pensieri. E per l'anima. E poi e poi e poi.
Cercai di canticchiare una canzone. Un motivetto qualsiasi. La voce moriva sulle labbra e si staccava da me. Entrava nell'aria e si asciugava dalla mia saliva. E non era più mia. Nè me. In fondo succede per molte cose. Si chiama dimenticare. O solo cambiare. Senza rabbia. Senza rancore. E ne prendo atto. Prendo atto che il tempo cambia la forma delle cose. E non puoi che accettarlo. Esiste un tempo? Un tempo quasi fisiologico per ricostruire. La sabbia scivola sulla sabbia e l'acqua la aiuta a prendere forme nuove. Destinate a scivolare nell'oblio. E inevitabilmente nel nuovo. Se mi frapponessi al cambiamento sarei orrore. Vita al contrario. Io lo percepisco. Percepisco questo prima che succeda. E ritornare acqua non mi spaventa. Quello che mi turba è restare sabbia incastrata in un rudere di torre per sempre. Quasi a sfidare il sole. Canticchiavo una musichetta. Una melodia prestata da una memoria qualsiasi. Non per farmi compagnia ma per soffiare aria. La solitudine non è un guasto. Sentendomi un pò libera e un pò legata. Una parte di me vive di amore crudele. E come una lama separa pezzi. Il sole e la luna fecero il resto. Al mio banchetto non c'ero. Il sole e la luna mangiarono e digiunarono. E oziarono. Spiandosi a vicenda. Ho smesso. Quel tempo esiste. E disinfetta ogni ferita. Fino a farla diventare cicatrice e poi segno. E poi orgoglio. E scioglie i punti come se fossero dubbi. Nodi di carne contro carne. Quando ti chiedo di abbracciarmi è questo che chiedo. Di spegnere ogni battito. Di accarezzarmi l'anima fino a renderla sottile come un velo. Come l'ostia di un rito mai celebrato. Di riempirmi del più sacro dei silenzi. Blasfemo e bellissimo. Un peccato segreto.
Mi premo le dita sulle tempie.
Voglio solo verificare che la mente si sia del tutto svuotata.
Sogno che l'imperfezione divori la perfezione.
A morsi.
Fino a gonfiarsi la pancia.
L'amore è un concetto dotato di un corpo poco adeguato.
Ti senti come se un solo ventre non possa bastare.

lunedì 6 luglio 2009

Ho sovrapposto strati e strati di pelle.
Per soffocare i ricordi.
Lisciarli.
E perderne ogni traccia.
Sul mio palmo.
Dopo averli resi indelebili alla mente.
E sostituire un ricordo con quello succesivo.
Strati di ricordi su strati di ricordi.
Affondando dentro.
Sono solo segni.
Ricorda il corpo.
Ricorda la mente.
Ricorda anche il cuore.
E il sensi sono i raggi di un sole che è dentro di noi.
Un sole che a volte è un ragno.
E ci sputa la sua rete dentro.
Segni.
Destinati a scomparire.
Sfumarsi.
A rimarginarsi.
Basta soffiarci sopra.
Per lasciarsi risucchiare dalla falla del mondo.
Ogni cicatrice è un patto tra sangue e terra.
In attesa del germoglio.
Ai confini della pazzia.
La bocca di una verità inesprimibile.
Mi sono sporta.
Mi è piaciuto.
L'ho contemplata.
Avvinta ed assorta.
Segno su segno.
Persa su una mappa stinta e sconosciuta.
Amo così.
Nel modo peggiore possibile.
Scorro come rapida e come pozza mi avvallo. Mi scorro dentro e di pensieri mi ritrovo bagnata. Come se tempo ci fu in cui mi ebbi a perdere tra questi segni. Ma non ne ricordo il significato. Ne seguo i contorni con la mente e le sue mani. Vene del tempo fatte di fili di erba strappati. Fremono. E freme la coscienza. E freme la vista. E si tuffa da dentro. E ancora freme. E non posso essere. Ma sono. Non ci avevo pensato. Non lo avevo previsto. E le cose impreviste sono quelle che danno il vero senso. Indelebili tracce e quei segni mi spiegano muti. Come occhi che si spingono oltre. E fuori. Un bacio sputato con indifferenza. Ha più voce di mille parole rotanti dietro una porta aperta e chiusa. C'è orrore nell'eccesso di amore. Come se il filo si fosse spezzato e non vi fosse più il margine. E l'eccesso divenisse la misura reale e unica. Quella che sembra l'unica possibile.
Avrei voglia di divenire eco del mondo.
L'ombra sul muro mi copre ma non è mai abbastanza. E una parte resta scoporta. E resto a studiare tutte le reazioni possibili. Senza indovinarne nessuna. Come se la vita fosse un lungo corridoio pieno di nicchie in cui riposarsi o nascondersi. Ed essere sorpresi. Parole che sembrano senza senso. Senza gli occhi giusti. Esiste una dimensione dove si ascolta con gli occhi e si vede con le mani. La voce della nostra pelle è capace di spingersi fino all'anima. E' con le mani che si accarezza l'anima, superando la pelle come se fosse aria mentre è il cancello più terribile della nostra intimità. In molti ci toccano la pelle ma solo in pochi la superano senza ferirla. Pensieri astratti che si infilano tra pensieri concreti come fili di erba. L'odore dell'erba bagnata placa ogni tempo e ansia. Dietro di noi scorrono le vene di un tempo che non ci appartiene e si gonfia e sgonfia nella nostra pelle. L'involucro di un tempo rubato al sonno del tempo.
E' un soffitto di erba quello che mi luccica addosso stanotte.
Basterebbe voltarsi.