venerdì 17 febbraio 2017

L'attimo dopo è sempre il più difficile. La bolla si apre ed il mondo torna dalla sua coltre, precipita avvolto da una patina grigia. Ci strofini il dito contro e non sai se sei oltre o ancora dentro. Ed il dentro e fuori sono così vicini ma poi tanto lontani. Come il soffio delle favole, la loro eco lontana e magica, che avevano la voce di tua nonna, ed il suo profumo. Mescolato a quello del bucato. Ed è così. Come se ci fosse una crepa a fare incetta di polvere, sassi e silenzi, la scia di ogni tempo. Perché  solo se fai spazio riesci a sentire la nuova voglia di pieno.  Strati e maree, a volte un pizzico di delusione. Gli altri non cambiano, cambiamo noi. E sai che solo nella differenza tra i sogni e la voglia di bellezza si incastra la realtà; trova il suo spazio naturale. Fosse solo il tempo di un respiro. La vita a volte ti restituisce gli occhi. Lo fa per abitudine, per necessità, per istinto. E per la voglia di sopravvivere li piazzi al centro di te. E tu hai i tuoi occhi vecchi tra le dita, e li osservi per capire cosa fartene delle nuove sfumature del mondo che ci trovi dentro. Sospese, come una ampolla che ti dà la morte, a tratti, per vivere ancora. Appese come il gelsomino al muro, a riempire le notti di tanto tempo fa di ingenuità e di stupore. Prima che i mostri ti divorassero i sogni. Morso per morso. E i topolini trovassero la tana.  Annusi i tuoi polsi. E sogni dei baci capaci di renderli immemori e ancora candidi. E poi comprendi che solo al limite, immersa in una placenta comoda e primordiale, ti puoi davvero sentire. E tu sei il tuo sangue. Sangue di donna strana, una per caso, in cui il fiato del mondo ti ha incastrato. E sentire con i sensi è un modo per riappropriarsi del proprio destino, e placare la fame di bene che dentro scorre, fino a diventare fame di male. Il resto ti lascia indifferente ormai, come se vivere fosse sopravvivere. Non hai paura delle ombre ma di restarne sembra. Perché coprono quando il freddo sembra insopportabile.
Le dita sulla tastiera e un filo rosso che scorre ancora, senza nessuna voglia di essere riavvolto. Non esisto se non nella misura in cui sento.
Esplode all'improvviso e non sei altro che il suo rigurgito. Non è un dilemma, è un nodo.  "Gioca con il mio fiato, Tu puoi".  Le dita ed il respiro, dentro la mente, inzuppate di tenero delirio, fino a diventare furia veloce. Rigano la vita in gran segreto.  "Vento tu sai, e a volte accarezzi, ed a volte frusti". Entrambi segni del caso. Respiro rosso e vorrei spiegarti il mio segreto intimo. Io sono un puntolino di anima. E le tue mani sul mio collo insieme ai tuoi baci. Io sono aria. Aria, carne e sogni. "Distruggili, per ricrearne nuovi". Insieme. Parola dopo parola, bacio dopo bacio, ad ogni sospiro. Perché deve esserci un nuovo modo di comunicare che non sia strofinarsi addosso il tormento e l'indifferenza.
E adesso toglimi la benda perché quello che voglio è guardare i tuoi occhi.
Tanto tempo fa....ma non troppo....
 
Io vorrei, non vorrei ma se vuoi…
Strano, come la neve d’estate, questo mio desiderio di te. E mi buca la pelle e mi lecca la mente. Zampilla un pensiero e poi si placa sulla pelle. Una piccola cicatrice, due lembi che si sfiorano, un piccolo fiume di inquietudine. Le mie labbra a suggerti verità, e nessuna promessa, non questa volta. E nascondo le parole, come semi nella terra, e liscio la corolla dei fiori, dopo averla masticata, insieme alla mia insicurezza ed alle mie unghie; perché io non ho smesso di essere sbagliata e forse non ci riuscirò mai. Un sorso ed i tuoi occhi. Un altro ed i miei fantasmi, tra passi incerti, e tuffi dentro, dentro, dentro. Mi batte il cuore. Lo senti? La paura della donna che mi abita e delle sue fantasie, dei suoi slanci umidi e dei suoi sogni bislacchi, in equilibrio instabile. La caviglia reclama la sua dignità e io la slego. A volte stringe e segna come una corda lurida. E mi lascia teneramente imperfetta, nella luce. Su di te, come non so fare, senza sentirmi inadeguata, come una pioggia sporca. E io ti spiego il mio buio, quello che mi divora e che cosparge le mie notti. Se mi guardassi lo troveresti in fondo ai miei occhi. Ma non cercarlo, perché frantumerebbe questo attimo perfetto. Perché solo nel buio le mie forme si stagliano con nuovo e vigoroso coraggio. Goccia, dopo goccia, perché non so smettere di farti scorrere dal margine di me, tra le dita, sotto la pelle, e poi ancora più sotto.  Dove sei adesso? E quella storia? E le sue parole? Una favola senza eroi, solo sangue e fiato, tra lenzuola sconosciute, a fasciare tutta la paura con cui ti ho abbracciato e strofinato, più baci possibili, sulla tua pelle.
Bendami, perché mi fido di te.
Voglio sentire più che posso.
E attendo le tue parole, non per capire, perché io so, ho sempre saputo, ma solo perché a volte restare nuda può far davvero male.
Ed io ho un maledettissimo freddo.
Fino alle ossa.
Con quella benda sugli occhi, lo so, io posso essere libera.
Non ho colori che non siano un segreto. Credo nella sorprendente bellezza di un diverso modo di comunicare. Unconventional moods. Capaci di stupire. Sangue nelle vene. Il rosso di Sara è una fragola strisciata sulla pelle. Ognuno cerca una emozione, forse sensazioni nuove. E la innocenza segna il margine tra la bellezza e l'abitudine. Al limite sensibile tra anima e carne. I sensi mediano ed amplificano. Ma nulla è scontato, e niente ha delle regole. La libertà è nel respirare il mondo e sé stessi, e poi pensare, lasciare libero e fluido il sentire esattamente come se si stesse respirando.  A volte il vuoto si impadronisce di noi, e forse è bello solo lasciarlo fluire. Lentamente. Perché nel tentare furiosamente di liberarsene si incamera altra acqua nella stiva, fino alla deriva. Poco equilibrio vuol dire anche poca follia. Il rosso di P. vuole dire una lama nella carne. Ed un pensiero come sigillo. A coprire i suoi segni. E poi passi, tanti, confusi, distratti, e luoghi, nuovi o gli stessi, con occhi diversi. Strisciare il mondo. Il rosso di Emma sono le sue scarpe. La sua calza smagliata e la voglia di sbagliare ancora. Per sentirsi viva. E poi c'è Noa. Le porte della notte spalancate sui suoi segreti. Ed piacere nella mente prima che nella carne. Molto, molto prima. Il rosso è nel suo bacio, nella sua voce che ti cola nelle orecchie, e nelle sue dita nella tua bocca. A rubarti il fiato.
Infinite vie.
Infiniti tratti.
E una molteplicità di donne.
Fino all'essenza.
Nel rendermi incomprensibile, ho perso la scia. Il rigo sembra troppo piccolo quando si ha voglia di parlare. Si scrive per solitudine? Per gioia? Per dolore? Si scrive per trovare uno specchio, degli occhi che ti leggano, o solo per lasciare una traccia. Come la fila di mollichine. Quello è il modo per infilzare il proprio tempo, i propri istanti e per renderli meno nostri e più condivisi.
Mi guardo mentre infilo le dita nell'acqua. A caccia di ignoto morbido. E l'acqua mi copre, senza urtare. Non è come nel vento. Il vento salvifica e leviga, il vento cancella e graffia. L'acqua invece è una carezza che circonda, abbraccia, riveste. In fondo, il mare è la coperta dell'indefinito ed imperscrutabile. Ma vestirsi di ignoto è un lusso troppo pericoloso.
Tre gocce di disillusione e due sorsi di delusione.
Stanotte dormirò vestita solo di quelli e prometto che non sentirò freddo.
Ho una goccia di futuro, rosso e sottile, che mi riscalda.
Ed è una strana sensazione quella del perdersi. Quasi frantumarsi. Come un vaso senza speranza di ritrovare i suoi pezzi e cancellare i segni. Lo sai che i sogni lasciano i loro segni? Quanto più ti avvicini e tanto più densi e pregni sono. Sono segni segretissimi ma profondi. Piccoli solchi verso ignote derive. Zattere di delirio impuro. Quasi una linea ridotta a segmenti. Interrotta, come un respiro che non arriva mai fino in fondo, interrotta come una parola incompleta, come uno sguardo spezzato. Interrotta, solo come una donna. All'improvviso una deriva ed i suoi perché. Carne e tormento. E pensieri sospesi, quasi come nuvole. Fatta di nuvole, piegata sul baratro a forma di domanda. Sento e poi non voglio e poi ancora. E affondo nel mio sangue. Per nascondermi al mondo. Come se l'oscenità fosse l'ultima forma di sincerità. Un ventaglio per eletti. E poi mi rincorro. E stringo forte il fiato in un pugno, mentre vedo gli altri andare via ed i loro passi ruvidi ed irregolari. E sento sempre di più il distacco, come se mi disegnassi per differenza. Esistere non è stato mai più di ora una eventualità.
Pezzi di vetro e lacrime sincere.
A volte sono questo.
Solo questo.
Ed è allora che distruggere sembra più semplice che trattenere.
Passi e distanza. Alcune parole ci appartengono per sempre. Quasi diventano cose, sensazioni. Si vestono di corpi, come se fossero materia che si addensa. Ma a volte, a volte come questa, tutto cambia. E osservi. E osservi te stessa che osserva. Un sasso tra i sassi. Liscio dal dolore. Tutto scivola. E cambia. Si allontana e di avvicina pericolosamente. Il vuoto è un mulinello. Anche per chi non lo riconosce e se lo nega. La solitudine è una nuvola che ci riempie da dentro. E ci mescola le vene. Carne e cuore. Mente e pelle. E poi la mente, dove tutto risuona. Io sento e sento ancora e comprendo, non smetto di raccogliere sensazioni, come i fili di una matassa. E rielaboro e poi distruggo. Strappo dopo strappo. Un filo dentro, come un'anima di ferro...è la paura che si intreccia al mio respiro. Spalanco gli occhi nella notte ed afferro il soffitto per non precipitare. E poi un respiro ed il successivo. E i miei polsi vergini offerti al vento. Un nuovo giro di nastro. Stretto, mescolato al fiato. E nella mia mente una ferita che unisce i lembi. Ci soffi sopra. E il mio sangue non si placa. Ed il soffitto è più vicino. Ne sento il profumo, il mio odore e quello del muro, delle mie ciglia contro, e del mio silenzio più intimo. Segni e sogni. Ed è già mattina, ma meno di ieri.
Blu, blu notte. Non male. E poi io adoro ricoprirmi delle notte.
Tutto, in attesa della tua voce.

E sempre più spesso lei elencava ciò che la feriva, ciò che le cagionava dolore, ciò che le sembrava insopportabile, finché non inciampò in un pensiero, forse in un sospiro. E prese a pensare lieve, come chi ritrova l'ago nel pagliaio e non vede l'ora di pungersi; così prese a pensare ed a ripensare alla sua scarsa attitudine al bene, a ciò che di buono le stava intorno e le dava gioia, anche se per poco, come succedeva, alle anime assetate di amore, come la sua. Si cresce intorno ad un vuoto, ad una fame, che smangia il resto, che diluisce i bordi del mondo, che slega i confini del mare, che pizzica il cielo, e niente sazia, e niente nutre. Una nuvola sospesa, destinata ad essere infelice, perché non sa amare, né è mai stata mai amata, perché la maledetta voglia di amore rende immensamente egoisti e ciechi. E forse ci sono dolori che sono capaci di distruggere la benda che con dovizia e dedizione qualcuno ha calcato sugli occhi, stringendo un nodo stretto stretto; come se fosse una porta e dietro ci fosse un bosco sconfinato e sconosciuto, dove poter respirare. Ecco, lei aveva di bello molte cose,  la forza del suo respiro, la forza del suo pensiero, la forza dei suoi battiti, e quella del suo desiderio e del suo sangue. E poi della luce nei suoi occhi quando era felice e si sentiva viva. E  guardò, e oltre la benda seppe e ritrovò i suoi occhi. Li avevo dimenticati. Guardarsi dentro a volta è annegare. E perdersi. E ci si trova solo con le ciglia nel vento, un vento sincero e puro. Finalmente.
La solitudine è la forma di una via obbligata, la sagoma di un percorso doveroso, a volte.

A volte proprio come questa volta.

Scopami, ancora. Come se non avessi gli occhi. Scopami forte, come se fossi come le altre. Sono solo carne intorno ad un pozzo. E la luna non scorge più la sua sagoma tremolante tra le sue acque. Scopami come loro, una tra tante, in una folla sconfinata. Senza anima e senza memoria. Scopami, come un fiume nella terra. E poi scorri lontano. Scopami, senza ieri e domani. E anche senza adesso. Ora non esiste. Non voglio trattenere nulla di te che tu non voglia. Non sono un dono, ma un frutto infetto. E ad ogni colpo, sfondami il cuore, cancellami la bocca, le mani. Frantuma le mie paure. Scopami, come una di loro. Scopami e senti solo il mio sangue. E le risposte mute della tua carne sulla mia, calda e aperta al tuo tocco. Forse era ieri. La realtà è una tavola bianca. Io sono la sposa del vento ed ad ogni soffio le mie crepe diventano polvere. E la polvere graffia, come il rifiuto, la verità e l'indifferenza. Ma nel dolore ci si sente vivi. Scopami. Sono solo una donna, con la luna nel suo ventre. Un delizioso incompiuto di solitudine e delirio. Volevo solo insegnarti a respirare, come faccio io. Giocando con il mio fiato. Come se viversi fosse una irresistibile complicazione, come se il senso di noi, fosse capace di superare ogni incomprensione. E ci fosse una verità superiore. Ma era un delirio, uno dei miei. E poi, già, era ieri.
All'improvviso i colori cambiano. E l'alba si rovescia nel tramonto. Il sole ha colori smangiati, proprio così all'improvviso. In quegli istanti io precipito. Ed i miei battiti si impiccano nella delusione. Dopo è tutto piatto, come una retta che si spinge, pigra e lenta, verso l'ignoto. Non so più chi sono. So solo che se non resto immobile ogni respiro taglierà le mie ombre come coriandoli.Ma devo farlo. Non posso fare altro che fissarmi immobile nel mio specchio invisibile.
Ed è così difficile essere quella me che non ha paura. Chi merita per davvero la nostra verità? E poi cosa è vero? Non è forse la verità l'artificio che ci rende più vicini alla sagoma dei nostri desideri?Nulla è più vero di un desiderio. Il resto è bisogno. Sporco e madido di vita. La bestia che ci divora e deforma tutto. E non è forse la verità altro se non la identità che si spalma come l'onda sulla riva e la segna,  la slabbra, la contamina  per frammenti di tempo? Una ladra di conchiglie e di granellini. Ero io quella bambina che aveva le labbra piene di sogni. E li strisciava nell'aria. Ed era bellissimo varcare la soglia del mondo ad occhi chiusi. Sentire era vivere, senza remore, con la benda del desiderio sulle palpebre. Bastava poco per stringerle il respiro, in un approssimarsi al cuore, alle sue vene roride e presuntuose, al suo contrarsi, come uno spasmo di anima. Ero davvero io? Forse ho masticato i sogni di altri? Quelli della mia ombra, vicina di cammino, forse. Non so dove alberghi il mio ego, in momenti come questi. Sento solo un dolore, vago e lontano. Come una scia? Hai mai visto i fenicotteri che si levano in volo? Uno e più e ti manca il respiro mentre macchiano il cielo di rosso, impudico, come la mia mente, se la lascio andare, morbida come un nastro nel vento. Florida, come i miei fianchi che ancheggiano nella vita; quella che mi è capitata. Anche io ho una ombra rossa, quasi un ventaglio e non copre, ma mostra la nudità vera di una donna che ha il cuore intrecciato al ventre. Come radici di un albero dimenticato. Forse arso dal tempo che fu. Da un rogo feroce. Dimenticare è un poco morire, ma forse è infinitamente rinascere. E ora solo so, so che solo la verità rende davvero liberi, forse più tristi, più pregni di malinconia. Ma così vicini al sangue, da sentirsi fiumi.
E le mie labbra  sono pallide di sogni, livide di aloni.
Nessuno spazio.
Nessun dono.
Solo verità.
Ed il tempo si dilata e ti dilata. E ti contrae. Come un brivido, a volte caldissimo ed altre gelido, come una lama, come un taglio che nessuno ha mai avuto il coraggio di dare; forse quello sarebbe stato un piccolo segno di coraggio, forse una traccia di amore, puro.  Anni, forse uno. Sì uno, non fingere di non ricordare povera bolla di sapone. O solo un attimo.Il tempo siamo noi. E noi lo cancelliamo. E ci si trova diversi. Sul bordo dei sogni,al margine del cuore. Con un pugno pieno di molliche e menzogne e ricami nuovi sul cuore. Ormai nessun segreto  ma solo delusioni.Pulsa, pulsa, pulsa, come un sogno pieno di morsi inesatti. Nessuna verità paga mai davvero. Non è mai troppo tardi. La mia pelle è una mappa che tornerà vergine, solo dimenticando, il bene ed anche il male. Allora io nascerò di nuovo e tornerò piena di vene. Uno ed infiniti fiumi. Giorni da cancellare, insieme alle lacrime. Scorri Sara, scorri ancora, scorri lontano. Come doveva essere, tempo fa. Forse solo nel dolore ritorna la dignità, come un gomitolo di anima, come la bava di una lumaca, come una coerenza mai rigida fino in fondo. Sì, non è mai troppo tardi. Sarebbe facile distruggere sogni, algida come i miei occhi quando hanno visto. Non ci vuole molto coraggio e forza a tradire una donna innamorata.  Dopo vorrei parlarvi del suo cuore. Non è più un muscolo, non lo sarò mai più. Forse non lo era neanche prima. Resta un pezzo di vetro che taglia. Lei non può respirare, perché sembra destinata a respirare sangue e dolore. E poi disprezzo ed indifferenza. Dopo, nulla sarà come prima, ed ogni contatto sarà insopportabile. Anche la più lieve delle carezze. Non ci vuole nessun coraggio, forse un pugno di sabbia negli occhi. Proprio così. Ed un grazie di troppo e sbagliato. Come una promessa ridicola. L'amore è un gioco serio. Nessuno ne morda gli avanzi. Perché non è più invitato al banchetto.
All'improvviso la pelle sembra immemore. Nasconde la luna alla carne e si rifrange come spigoli verso direzioni ignote. Ho bisogno di buio. Forse di silenzio. Anche di assenza. Non sento. Ed è tutto così garbatamente inutile. Non vedo la linea, ma la sento, come un cancello, come la riga di un fiume, come una scia oltre l'orizzonte. Non la vedo, ma la desidero, ed oltre sarà non esistere, vestita di solitudine placida e tiepida. Una donne, infinite. Non sono più la stessa ed in alcuni momenti vorrei quella me così tenera ed innocente, che è arsa. Oggi, cenere. Come si chiama questa inquietudine che mi lega ventre e cuore e che taglia l'anima, facendone un ventaglio? Non so cosa sia l'amore. Forse solo un sogno infetto. Non conosco la forma esatta di alcuni sentimenti. Ti ho detto infinite volte addio, ma oggi è il giorno giusto, quello necessario. Oltre c'è solo la mia follia, sparsa ed ancora rorida di vita. Addio, sogni imbrattati di desideri e follia. Addio sospiri e lacrime. Addio respiri golosi. Addio sangue che sfonda il cuore. Addio cuore mio, piccolo suggello della bimba che mi visse disperatamente dentro.
Oggi non sono altro che un punto oltre la linea...
Come se fosse una virgola. Mi rialzo e poi respiro ancora. In alcuni attimi la vita ti inchioda. E ti svela un segreto che era da tanto dentro di te. Odio le cose troppo dolci. A me piace la gentilezza ruvida e sincera, quella della gente dagli occhi profondi. Mi piace raccogliere i pezzi nei miei posti e sentirne tutta la intima semplicità e bellezza. Le canne sulla strada, sul suo bordo, che tremano ad ogni passaggio del dio vento. L'odore umido della terra e del sole che la asciuga ancora. E poi la sabbia, ovunque, tra le dita, nell'aria, sotto i piedi, tra i denti, tra i pensieri. Si mescola al senso di una atavica appartenenza, fatta di soffi e di luci. E poi di un buio che riemerge, riaffiora, come una marea. Inciampo in tutto questo, come se fosse una virgola. O meglio io la virgola che si giustappone, prima del respiro successivo, e del salto. E a volte l'ignoto ha un fascino incredibile. Lo senti solo quando ti sei voltata davvero, e quel davvero forse è per sempre, perché adesso sei diversa, con il tuo sorriso segreto nella tasca, e sulle labbra. A volte sembra quasi scivoli in una lacrima furtiva.
Astratta come un asterisco in alcuni istanti mi coloro di sangue. Il dolore è rosso. Come il fuoco, come il sangue delle fragole, come le ferite.  E come il tradimento. E persino la delusione e la illusione sono rosse. Anche la gioia è spesso rossa. Un rosso purissimo che ti fa battere il cuore.  Che differenza c'è? Questioni di sfumature, di strisce più intense sulla tavolozza. Di sbavature. Della forza dell'impatto e del desiderio. Come quando ognuno dipinge la sua vita, come un quadro. Secrezioni impure di colore, più o meno attente, più o meno precise. Da ogni andito invadono. Pochi dettagli, ma sempre troppi. Oggi lancerei secchi di colore sulla tela e la squarcerei, per poterle strappare un segreto, forse un urlo. Come faccio con la mia anima, senza cura, senza cercare il punto esatto. Dove capita. E a volte lo faccio anche con gli altri. Senza una destinazione precisa. Sara, piccola Sara, la smetti? L'orlo del vestito è tutto bucato e tu continui ad infilarci dentro il tuo tormento. La tua calza è sempre smagliata. E le tue caviglie sono graffiate, macchiate e marchiate, come un sigillo di appartenenza alla terra nuda. All'odore dell'erba. Il profumo più vero che si possa immaginare. Mi hanno detto che non mi fermo mai, mai davanti a nulla, e che continuo ad osservare, a chiedere, a spiegare, e questo anche per il male, e poi per il bene, e poi ancora. Alternanze inquiete, onde sorelle e nemiche. E lo infilo dentro, quello che capita, fino a goderne, senza remora alcuna, senza indignazione e finalmente senza colpa. E non è delirio. Perché il mio corpo è la parte meno rilevante, mentre il mio scrigno è nella mia mente. Ogni mente è un tempio. Uno scrigno da rovistare con cautela e rispetto profondo. Tra macerie deflorate e petali genuflessi. Non c'è colore che tenga, che copra, che sappia cancellare una primavera che incalza, impudica e selvaggia. Nell'impossibile ci sono purissimi frammenti di
I
N
F
I
N
I
T
o.
Adesso rosso è il coraggio e la voglia di voltare pagina.
Ed il desiderio.
E quel pensiero.
Non lo credevo possibile, ma tutto ha ripreso a fluire, come succede dopo uno strappo, dopo una profonda delusione, o forse dopo aver finalmente perdonato. Allora arriva un dono, questa volta vero. Ed ha l'odore della libertà e del rispetto. Ebbene sì. Io fluisco ancora. E questa volta non mi sento nuda. Sono dissolta nel rosso.
Sì, uccidimi di baci.
Sento un gelo immobile che pulsa,  quasi solido. E taglia. E gli aghi disegnano trine di solitudine. Sui polsi, sulle labbra. Tra le ciglia. Non provo. A volte la rabbia leviga e la vita che scorre più veloce e più feroce dopo. Non sopporto le parole. Interpunzioni insopportabili tra un respiro e l'altro. E anche i consigli. Tanti messaggi amorevoli e dolci. E io resto immobile. Il mare tace. In genere mi abbraccia. Oggi tace e non ha dita. E io sono una conchiglia piena di memoria. Ribaltata sulla riva. Una sponda ignota che mi regge, prima del precipizio. Quell'istante sarà consapevole?Ancora tracce formali di una bontà annunciata. Io non sento. E poi cosa è la dolcezza vera? Mi viene sempre in mente mia nonna e mio nonno. Perché Natale è la festa della famiglia, quando le assenze rimbombano come tuoni nella tempesta e tu puoi solo piovere, perché altro non sai fare.
E poi passi, perché camminare è un modo per prendere le distanze.
E per difendersi.
Sono un controvento nell'aria calda che tutto avvolge.
E poi come neve, ormai.
Raccoglimi, senza passato e con chicchi sparsi di futuro. Tra le dita. E nella mente. Prendimi in questo istante, sono io, fragile ma so ancora tremare. Sentirai la mia bocca respirarti vicina, ad infrangere illusioni e brividi, là dove il tuo desiderio è più forte. Il tuo blu è fatto della tua voce nella notte, quella che mi ha raccolta come una gatta randagia. E ancora graffio, quando perdo il tuo fiato e l'idea delle tue braccia intorno diventa più pallida. Ci vuole coraggio, me lo hai insegnato. Coraggio a vivere, a viversi, a sentire, ad amare. Perché noi donne siamo fatte di tanti diversi e minuscoli frammenti di coraggio, pezzi di cuore, quasi invisibili ed impercettibili, che si avvicinano, e ci rendono vagamente e misteriosamente prossime all'unità, senza esserlo mai per davvero. La vita sorprende sempre e si interseca con pezzetti di altre vite,proprio quando tutto sembra troppo, davvero troppo. E la difficoltà e un nodo, e poi un altro, e poi ancora. E tu mi leghi e mi sleghi,e la magia è come la corda, come la carne sotto i suoi segni, come le dita che strisciano sulla pelle, come i baci sui solchi. In quell'istante frammenti piccolissimi lasciano la loro traccia e si stemperano in  piccole magie, fatte di quotidianeità. E sì.. è tutta questione di coraggio, l'elastico del cuore, che ci spinge avanti ed oltre ogni battito, su precipizi ora morbidi, ora taglienti, coraggio e ancora oltre, su percorsi invisibili. Il tempo è quello che ci serve, e io me ne auguro ancora, e lo auguro a tutti quelli che amo. Un tempo fatto di minuscole scintille, come quelle negli occhi della mia nipotina, nelle manine che si infilano nella mia, nel profumo dei bambini e nella loro gioia sincera e pulita, che non chiede altro che quella gioia.
Grazie e coraggio.
Per tutti quelli che ci sono e ci saranno.
E anche per chi non c'è più.
In fondo lasciamo piccoli semi negli altri, e continuano a vivere in loro, anche quando non si siamo più.
Ecco, vi auguro campi sterminati.
Anche di più.
Altro proprio non saprei.
Mi entra in circolo, delizioso come una caramella, il silenzio sazio e pieno delle tue parole. Gonfie di futuro, come vele tese al vento. E le tengo per me, appena sotto il fiato. Per poterle lasciare scivolare lentamente in me, nei momenti bui, quando smetto di trovarmi e di cercarmi e mi ritrovo al punto zero, una boa, con qualche sensazione e un pugno di incertezze. Lasciarsi guardare per davvero può essere bellissimo, ma è terribilmente rischioso. Perché calca sulla pelle piccole tracce di intimità e condivisione, scie a lento rilascio, e poi non sei più la stessa. Ed è così limpida la malinconia della fragilità, nel gioco di ombre dell'esistenza. Se ti parlassi del mare, tu capiresti. Ma non lo farò, e ti terrò dentro, come le parole che mi hai donato, che per pudore, lego alla mia intimità più sfrenata e candida. Onde di donna, fatta di maree e di luna, una luna di carne, da sacrificare sull'altare di ogni tramonto.  Oggi, domani, e poi, non contano, sono piccoli dettagli, nel lenzuolo del tempo.
"....Le cose che fai vecchio mio, possono essere bellissime,
ma ahimè ahimè, se non le fai con il cuore si vede.
E si vedrà sempre.
Romanticismo non significa regalare rose.
Romanticismo significa coltivarle..."
Da tempo non riesco a scrivere. Vedo il bene nel male ed il male nel bene. Forse perché il loro confine è così labile. Così sottile. E le parole scendono lente come gocce di acqua. Mi succede quando sento troppo e troppe cose contrastanti. Come se ci fosse un buco che assorbe tutto e di continuo. Ogni pensiero, ogni sogno, ogni parola ed ogni ricordo. A volte i passi sono dei solchi nella memoria e tu ti chiedi quanta verità ci fosse nelle tue emozioni, come se fossero molliche di un pane mai spezzato, morso per caso, incapace di curare la tua fame di bene, di amore, di una quiete leggera. A volte sento gioia, come se fosse sollievo, nella bellezza, nell’arte, nell’incanto in cui inciampo. Nei dettagli che non avevo compreso prima, nel riscoprire e conoscere meglio la meraviglia di chi ha condiviso la forza di un pensiero, fino a renderlo parola, o marmo vivido, o tela pregna di emozioni, capaci tutti di rimbalzare nel tempo, e in un suo frammento illuminare l’anima, forse per un istante, di una donna qualunque, in una vita qualunque, in un posto qualunque.
E io lo dico con parole anonime e comuni, in un modo qualunque.
Lasciarsi illuminare da una emozione dà un senso a tutto il resto.
Anche al grande buio che viene dopo.
Non esiste. Non esisto. E questa placida e furente inesistenza mi ruba il fiato; crudele e furba si insinua tra le labbra, sotto il palato e la ingoio. E si intreccia all’anima. La luna mi ha riempito le pupille, prima di diventare carne. Non so spiegare. Il tempo mangia il tempo. E questa solitudine sembra una sciarpa. E sono inerme e nuda, sotto ogni verità. Incastrata ai miei brividi. E quella mia è ancora più a fondo. Avrei bisogno di una taglio vero e deciso, per lasciarla riaffiorare, come limo di fiume, come petali spersi, come lacrime di stelle. Le mie sensazioni spesso sono più vere di ogni plausibile verità. Esistono nella mia mente e là dentro ci sono solo io. Ed è così difficile raggiungermi, forse non ci arriverà nessuno. Perché quell’incanto raro dei pensieri che si fondono, sino a diventare desideri, non esiste. Quando i sogni si fanno così sottili da sovrapporsi. Urla la in.esistenza. Il pozzo, la notte, la luna, i miei pensieri.
Il vento striscia e graffia.
Segni e sogni.
Fino a levigarli.
Io ho solo una finestra ed è il mio cuore.
Adesso ad occhi chiusi, non sento, altro che quel vento. Il mondo è altrove e non mi riguarda. Ed io non mi raggiungo. Non più. Dopo un grande fuoco spesso resta solo cenere.
“Vento soffia forte ed ancora e abbracciami con nuova solitudine”.
Sincera e pura.
Come il dolore.
Non mente mai.
E non smette di appartenerti

giovedì 16 febbraio 2017

Era uno dei finali possibili e mi ci infilai, mentre ancora tremavo. Ed il mondo aveva la forma incerta dei miei brividi. Così una parola e poi una altra, e ancora una. Quasi una serpentina irregolare. E avevo ancora freddo. Così tanto da restare immobile, per trattenere il fiato più a lungo. Come quando ho visto per la prima volta quella sedia, in quella stanza. Quelli di un'altra vita. Una vita speciale. - Ma sono tutte speciali, le vite -. Anche quando non sembra. Sono gli esseri umani ad esserlo. A volte io mi nascondo nel mio respiro. Prima di sciogliermi in un pianto. Come se quello fosse il mio primo ed ultimo baluardo prima delle mie lacrime. Prima della pioggia che il cuore mio tanto rifugge ma che lava, diluisce ed allontana. E la mia dignità alla deriva, come un lago nero. Solo che ho imparato che si può piangere con poche persone, devono essere proprio preziose, per scambiarci una cosa così maledettamente sincera. Poi ci si sente, così tanto nudi. Come ti ho urlato, scaraventandogli la mia ostile fragilità contro.
Infila le mie dita nelle mie, e neanche lo sai.
Sono radici, senza futuro, né frutto.
Ed io sto tremando ancora.
Tutto è così evidente, oltre quella coltre.
Oggi uno squarcio.
E la memoria del dolore è riemersa.
E brilla, tu non smettere, stellina, proprio tu  che mi abbracci silenziosa, come un segreto, più calda e morbido del desiderio, e più dolce di un bacio appena sfiorato. Come se il cielo fosse il cappello dei sogni. C'è solo la mia mente tra il cuore ed il firmamento. E a volte ho paura. Ed il desiderio si mescola all'ignoto. La verità è che il tempo ruba e non restituisce, e se lo fa è solo sotto forma di ricordi, con la sagoma degli istanti, quelli della intimità e là, in essi, ci sei tu e quello che resta di te. Tanto dolore e tanta intensità, come una promessa sotto le unghie, sulla pelle, pelle contro pelle. E dirsi addio è sempre falso, e comunque labile e precario, come un respiro, come un sorso incompiuto, come un aeroplano di carta. Quale me adesso dentro lo specchio respira? Vorrei strapparmi l'ombra che mi vela gli occhi e scagliarla lontana. Perché un tempo ho osato ed ho guardato il mondo con occhi sinceri e limpidi. Adesso dove è quella luce?
Stellina non smettere di brillare, non smettere di schizzare il cielo, imbrattalo di luce, anche stanotte. Prestala alle mie iridi.
Il resto non lo so.
Sento un enorme vuoto che mi mangia l'anima.
O forse è l'anima che mi batte dentro, pulsa, si dilata e si dimena?
Come una donna mi arcuo a forma di domanda.
Tra giri di vento, a caccia di brividi, mi piego.
L'ignoto è la veste di una nudità, ardita e profonda come un taglio del destino.

Non ho bisogno di una domanda nuova. Solo silenzi. Qualcuno dice che il silenzio è pregno ed è zeppo di parole. Padre di una melodia, di una storia, di una favola, o solo di un sospiro nuovo. Di un colore sconosciuto.  Ma il silenzio è spesso solo vuoto e distanza. Una lurida indifferenza. E il mio cuore ha la corteccia di un tronco che ha preso troppo freddo. Ho segreti dentro che non so se riuscirai mai ad ascoltare sul mio corpo. Perché il corpo ruba e nasconde. Perde dentro di noi. Non so più se sarà così facile spogliarsi ancora. Dopo tutto questo freddo. Dopo il gelo che la verità mi restituisce, solo a pensarci; sembra una lama. Mi basta aprire gli occhi e sentire la eco e le impronte degli altri. E la voglia di chiuderli ancora. Ancora silenzio. Di chi ancora c'è e resta. E le mie labbra non sanno cancellare. Essere diversi significa questo. Ritrovare sempre una traccia, una impronta, un segno, sopra di noi. E percepire ogni mutamento, ogni soffio, ogni vibrazione. Essere una eco di quei segni, di quei passaggi. E io so che un mattone diventa un muro, ed un muro un precipizio. Non mi spaventa il vuoto, ma quello che arriva dopo. Perché proprio quello vorrei un vuoto immemore ed indolore. Per segnare il posto della corda, e poi lo strappo. E correre, correre, senza voltarsi più. Ed è strano, avvertire la propria forza proprio quando si è più fragili, dopo non aver saputo decidere per tanto tempo. Quasi una voglia di strappare il filo e spezzarne il corso. A volte ho paura. A voi capita? A volte sento il mio respiro e mi culla. E poi la vera indecenza è quella dell'anima. Da condividere oltre il salto del giudizio. Quando non sai più da che parte del limite ti trovi e senti che il mare non ha smesso di muoversi. Solo tu hai saputo raccontarmelo il mare. Mi hai inabissato dentro il suo suono. "Piega la testa" - dicevi. E io ho imparato. Sul mio collo i tuoi baci. E la tua voce e le tue storie. Baci rubati e un panino spezzato, mentre ti sentivo fino alle ossa. Qualcuno poserà la sua bocca sui tuoi baci. Ed una donna li sta posando sopra i miei. Può essere questa la fine di una fiaba? Una domanda nuova? Dove si va?
E quella direzione è stessa che avresti dovuto afferrare. E tenere salda come la dignità che hai perso. Senti che la tua ostinazione ha il sapore del sangue. Come il metallo. Non possiamo cambiare gli altri. Solo noi stessi.
Magari fosse semplice.
Mi riprenderei il mare,
Non va via chi non c'è mai stato.

It's so dark

A cosa sto pensando? Penso al piacere che si prova di fronte ad una pagina nuova, bianca e vuota. Ad un pensiero intonso. Ad un desiderio che ti spinge oltre te stessa. Ai tuoi battiti. E poi li conto. Quanti battiti che si sprecano in una dimensione che non ci accoglie. Come passi inversi. Come vene al contrario. E penso alla voglia di condividere i pensieri, anche quelli più intimi e segreti. Fino al limite della follia, a volte morbida e tenera, altre affilata e sanguinolenta. Al punto 0 mi rannicchio ed ascolto e l'unica voce che ritrovo è quella del mio cuore, come se fossero radici invisibili, che prima o poi mi riporteranno alla unica carne che conosco per davvero. Per amarla. Ed è il mio corpo. La tela del piacere e della disperazione, più pura e devastante. Sento assenze, perché non conosco presenze diverse, dal senso di vuoto. Non sapersi amare è una condanna, o solo la superfetazione del mio ego, abituato al dolore, poco incline alla gioia. Non lo so. O forse sì.
It's so dark. How can I find her?

Down of my knees

Lasciavo andare le parole, come farfalle, in cerca della luce. Le loro ali erano i miei sogni. Ma io cercavo il buio, perché ero, e resto, perché io sono figlia del buio, e le parole non bastavano mai. E neanche ora. Mai, che brutta parola mai. Non ha sangue né fiato. Ti amputa il respiro. Ne mancava sempre una, una parola vagante. E spesso restava incastrata nel petto, tra le ossa, oltre la pelle, e ne intuivo la indefinita consistenza, senza afferrarla, appunto mai. Come una scheggia, come un frammento, come una mollica, una goccia, o come una sacca, con la consapevolezza dell’incompiuto. O solo di una solitudine che graffiava senza segnare per davvero. Una mappa stinta e logora. Perdurava una inquietudine che sembrava una bestia affamata. E mi mangiava il cuore. Solo che il cuore, maledetto, sembrava infinito. Una distesa nuova, un nuovo margine di cielo, la bocca di un pozzo, il lembo di una nuvola. No, non finiva. Mai.
Chissà che sapore ha il mio cuore” – mi chiedevo. In attesa del prossimo morso del destino. E mi fingevo distante e distratta. Volevo un morso perfetto, immemore, esatto. Solo quello. 

Mangia solo la mia carne, fattela bastare, a che ti serve quel puntino livido pieni di spasmiE se proprio devi afferralo, mordilo e poi lancialo lontano, oltre, in un dove dimenticato e sconosciuto.”
Così che al suo posto io possa piantarci un seme, quello dell’oblio.
E risvegliarmi con una nuova bocca, nuove mani, nuovi occhi.
Una nuova donna al centro di me.
Spalancata al mondo.
Come una finestra.
Non dimentico ma persevero.
E questo cuore sembra non finire mai.
Quante molliche?
E io ho fame ancora.
Nessuno, neanche un poeta,
ha mai misurato la capacità di un cuore ” (Zelda Sayre Fitzgerald).
Ecco, io ho pensato che in quella profondità, se ti ti imbatti, se la cerchi, se ci precipiti, a caccia del vuoto, afferri il senso profondo dell’essere vivi. E va oltre le vibrazioni, ogni i brividi, oltre il piacere più sfacciato. In quella profondità c’è un senso che a volte dà un significato diverso ad attimi della esistenza. Ed è una assenza diversa, un salto in un vuoto che raccoglie ed abbraccia. E non si può spiegare.
Adesso sono pronta al prossimo taglio.
Ma questa volta lo voglio netto.

Il sesso degli angeli
Io ho compreso che la mia sincerità è stata sempre inversamente proporzionale al mio bisogno di amore. Più ho amato e più ho mentito. Come se la deriva della mia anima iniziasse da qui. Si mente per paura, per timore di non essere all'altezza, per maledetta insicurezza. Perché si sa e non si vuole accettare. Non chiedo per sapere ma per conferma. Io sento, maledettamente sento. E nello specchio gli occhi sembrano sempre troppo grandi e sempre più larghi come laghi umidi. Si mente per amore, per amore sbagliato, marcio, fradicio, quello che non sappiamo donare a noi stessi e che suggiamo dalle dita del mondo, come radici folli ed alla deriva. Avevo sempre pensato, e detto e ridetto, che una donna sa, una donna si accorge. E adesso? Ti sei accorta? Quante lame ancora dovranno lisciarti la pelle prima che tu riesca a ritrovare le tue vene? E la tua dignità? Erano vene verdi e viola, sulla tua pelle candida. Adesso un percorso inverso per il tormento è segnato sulla tua carne. Quanti respiri ti separano ancora dal ritorno a quel posto caldo che un giorno hai abbracciato? Solo nuvole sporche e cariche di errori e di desiderio, nel tuo cielo indaco. E le parole, sempre le stesse, senza che il cuore batta più in quei silenzi. Ma è così difficile la sincerità? L’amore non giustifica tutto. Bisogna essere in due e poi deve essere reciproco, altrimenti è un gioco di carne, di ego e di umori. Perde chi ama meno, anche se poi  il dolore è insopportabile. Dicono sia ricchezza, ma io non la vorrei più questa pelle. Troppi ricordi, troppi segni, troppo tutto. E poi niente. Ora, sono una nuvola pazza, carica di pioggia sporca, sola come un pugno nel cielo, e attendo il vento, un vento potente e feroce, che pulisca.
Poi sarà ancora estate.
Ricordi il castello e le tue braccia sul muro? Potrei dirti tutto quello che mi hai sussurrato in quel momento. Eppure volevo solo che finisse e l’attimo dopo che è finito ho iniziato a morire di nostalgia. E ancora muoio.
Perché io non so smettere di morire.