mercoledì 24 giugno 2009

Dove è la casa dei perché immobili. Di pupille fisse nella luce. In ascolto. Pulsa di una stasi, dopo che le domande si sono rese sazie di una mancata risposta. O di troppe risposte. Nessuna risposta, o mille diverse, nutrono il silenzio. E sono lo stesso. E non esistono differenze tra il tempo e lo spazio. La sostanza e gli attimi non si distinguono. Dove è l'estensione più sottile ed impercettibile delle voglie che chiamiamo sogni. Istinti a confine con l'anima. Come ami lanciati nel passato e nel futuro. A caso. Per caso. Per ricucirci al tempo. E a volte la carne fa davvero male. Altre è come se non esistesse. In alcuni istanti la voglia di tenerezza rende la pelle così sottile ed impalpabile da farci sentire aria. Dimentichiamo il corpo e ci crediamo pensiero. E scorriamo senza sangue. Forse lo siamo.
Mi piace pensare che ogni essere umano percepisca di essere mente nella mente. Mente senza inizio e fine. Mente senza centro e periferia.
Così incide l'attimo. Lo ruba. E si accovaccia nel tempo.
In un tempo che non gli appartiene.
Perché è di tutti.
Il tempo continua a darmi nomi diversi.
E non so più quale sia il mio.
Mille nomi o nessuno.
Continua a parlarmi.
Ma non risponde alle domande.
E' per questo che io ho smesso di ascoltarlo.
Un tempo si chiamavo ..... .
Ora non lo so.
A volte risento nella testa il mio grido che sputava intimità. L'intimità più cruda. Rantolo di donna. Sospiro di una luna cagna. Realtà senza realtà. Respiro in dono. Senza scandire. Senza pretese. Una caduta libera nella testa. Capace di trascinare con sè tutto.
Io dove ero?

lunedì 22 giugno 2009

Sembra macchiato il cielo. E' così scuro da confondersi con il mare. Una zuppa di luce e buio. Squarci di chiaro e scuro. Schizzato da sole. Tra le nubi. Quasi una ressa. Da contemplare. Ho quasi paura ad ammetterlo. Il bisogno riaffiora. E i polsi cercano vento. Guanti di vento. O solo una stretta di mano. Voglia dita nel vento. Dimentiche di essere mani. Indissolubilmente intrecciate.
A volte emerge una ombra. L'orrore che è in me pulsa. Una parte bruttisima. Quasi crudele. Una sagoma di passato. E non riesco neanche ad accorgermene. Mi riempie la mente. E il motivo si perde nella zuppa della mia mente. Come se fosse liquido ed indefinito. Come un cielo d'estate. Dopo la pioggia. Ed il motivo si gonfia di irrisolto. Come quel cielo strano. Dove la luce c'è. Ma fa fatica a riemergere.
L'odore della pioggia mi sveglia. Acqua e sale. La mia terra. Acqua sale e sabbia. Tutto lento e dilatato. Anche le voci dalla strada. La vita sta rifluendo lentamente. Quasi stenta ad avviarsi. La pioggia d'estate lascia strani segni. Quasi disorienta. Ma il verde sembra più verde dopo la pioggia.
E a volte il verde sa essere bellissimo.
Verde è l'intimità più nuda.
E' scorso.
Passato e scivolato in caditoie sconosciute.
E io ho solo sentimenti che sembrano foglie dopo la pioggia.
Con gli stomi avidi di luce e acqua.
E una immensa voglia di amare.
Si ricomincia solo se non è mai finita.
E se non è così lasciami volare via.
Altrimenti no.

sabato 20 giugno 2009

Fermo.
Il tormento è fermo.
Immobile.
Si respira addosso.
Attento a non farsi rubare aria.
Per paura di soffocare.
Ruba numeri.
E l'istante si scinde in briciole.
In cerca di paternità.
Figlie bastarde di una luna nuda.
Ha la pelle rigata dalla rabbia.
E dietro a nuvole osserva.
E non sa spiegare.
Agita il cielo.
Lo mescola in vento.
E la rabbia si stinge e gocciola.
Era solo errore incastrato dentro errore.
L'anima lo sa.
Non mi ritrovai in nessun fiume.
Ed in nessun casualmente piovuto.
Mi ritrovai nel bel mezzo di un intero incerto.
E di parole mute.
E non erano silenzio.
Ma voce rubata.
Contorta è la matassa dei sensi.
Vene come corde.
Recido i fili con la loro tana.
Lasciandoli vagare senza destinazione.
Senza tregua.
E nascondo i brividi.
Dentro questa pelle.
Come se fosse un forziere.
Ma è solo il vetro opaco della mia anima.
Non sono impronte.
Solo aliti.
Spasmi di farfalle.
Disegnate sulla mia schiena.
E poi cancellate.
Ne è rimasta una sola.
Ma tenta di scappare.
Non ricorda mai l'odore della via di fuga.
Anche se ogni notte annusa la luna.
E poi il buio.
E li confonde.
Qualcuno ha nascosto il mio cuore dentro una bambola di pezza.
Sta cercando di battere dietro i suoi occhi.
Grandi e ben disegnati.
E dietro la sua bocca piccola piccola.
Una bocca da fiore.
Una bambola è destinata a sorridere per sempre.
Ho un sonno intrappolato dentro l'insonnia.
Come se fosse una gabbia.
Rubo vento al vento.
E non basta mai.
Ne faccio incetta.
E me lo infilo dentro.
Mi fa sentire migliore.
Non esattamente cambiata.
Come se avessi un palloncino leggero al posto della mente.
Prima o poi mi toccherà restituirlo.
E colerò a picchio.
E dovrò squarciare la povera bambola di pezza.
Per riprendermi il mio cuore.
Intanto mordo quest'alba.
Pura curiosità.
Per vedere che sapore abbia.

mercoledì 17 giugno 2009

Come se fosse tutto incastrato dentro.Tra pezzi di vetro.Sono immobile ed indifesa.Mi ricopro l'anima di tagli.Finestre sul mondo.Sangue e luce.Spiegare è difficile.Fili di inutilità ed echi.Vorrei essere abbracciata dal vento.Fino a sentire dolore.E mescolarlo con le ossa.E invece è tutto immobile.Ripiegato come la pagina di un libro interrotto.L'oscenità è l'incapacitàdi vedere la bellezza del mondo.E le sue pieghe.Ci scorre addosso.Contratta nel tormento.Nella sua matassa.E scioglierne i fili è amore.Senza dimenticarsi la trama.Quello che chiedoè di avere il coraggiodi andare fino in fondo.Per la prima volta.Senza perdermi.In nessuna piega dimenticata.Come se fosse una pausa.Non ho nessun messaggio.Nella bottiglia.L'unico messaggio che vi ho trovatotanto tempo fasi chiama vita.E a volta la rigiro tra le mani.Chi ti vuole bene ti ritrova nella pozza dei tuoi silenzi.Senza lasciarti soffocare.Tra le parole.Non ho paura del fondo.Ma degli strati d'acqua da attraversare.Non bisogna spiegare agli altri quello che sei.Lo sanno già.Annaspo.

martedì 16 giugno 2009

Scrivere è usare il sangue come segno. Lasciare una mappa. Di briciole di sole. E scavare con le unghie della mente. Per ritrovare il passato. E lisciarselo sulla pelle. E renderlo "adesso". E sentirlo riaffiorare. Come una sorgente. Acqua purissima. E pece. Senza una regola. Scrivere non è raccontare. Si lasciano guizzi di consapevolezza. Fuochi che ardono ceppi. Dal sapore di presente e di menta che diventa tempo. E il tempo è vento. E fumo. Raccontare è filtrare con la rete della memoria. Riempire di distanza quello che proviamo. Allontanarcelo. E ritrovarsi un pò di meno. Perchè un pò muore e un pò rinasce nelle parole. Dilatarsi e rimodellare la sagoma. Fuori da sè. La differenza non c'è. Capita di imbattervisi. Di intuirla. E lasciarsela sfuggire.
Non so che significa tutto questo.
Vorrei essere pulviscolo.
E perdermi e disperdermi.
Senza la pretesa di ritrovarmi.
Ma a volte la maschera dei giorni si sovrappone alla maschera del pudore e respirare è davvero difficile.
Ho una voglia a forma di mondo.
Sul mio palmo si riversano parole amare. Senza sangue e convinzione. Come se la mente fosse una fonte. Sfuggono alla voce. E si rifugiano tra le dita. Affinchè possano sentirle. Si sfaldano alla luce quando mi vesto di mattino. E ho i pugni pieni di polvere. Quello che vorrei distruggere è il senso di una amarezza che si attorciglia tra mente e cuore. In un punto indefinito. E pesa. Stritola e pesa. E travolge tutto. Come una vertigine solida. Ma è solo delusione. Ride come una iena. Vorrei metterla a tacere. E slegare quella matassa per far volare via i suoi legacci. Lontano. Quanto basta. Fuori da me. Spingerli in superficie. E aprire i pugni. Senza paura di non trovarvi nulla. Perchè nulla c'è.
Non devo impedire che gli altri si allontanino da me ma che si avvicinino troppo.
Non ho paura della solitudine.
Solo del vuoto.
In quel vuoto tutto rimbomba.
Tre anni di ombra e luce. Ci siamo ribaltate sul muro dell'ignoto. E mescolate. E ritrovate. Annusate l'anima. Tre anni di baci al cuore. E di schiaffi alla coscienza. E di confidenze fitte fitte nella notte. Di lacrime incomprese. Come fiumi del passato. Non ti ho mai incontrata. O meglio ti ho incontrata senza il corpo. E quello a volte non serve. Io ti conoscevo. Senza saperlo. Ci sei e non ci sei. E anche se non ci sei, ci sei lo stesso. Comunque. Oggi non è solo il tuo compleanno. E' la festa di una casa che si chiama L.amicizia. E non chiede. O meglio chiede senza pretendere. O chiede poco poco. E dare è come respirare.
Un bacio.
Anzi tre.
Uno per ogni anno.
P.

domenica 14 giugno 2009

Ha trattenuto la ferita dall'interno. Impedendole di solcare la carne. E fili di dolore sbavavano come lumachine. Una ferita muta. Al contrario. Ha iniziato dal segno. Senza trovare il taglio. Il punto esatto in cui la lama è entrata. Se mai sia entrata. Ha urlato il suo dolore masticando fiori. Mordeva i petali. Voleva solo il loro sangue. Ma era tutto un sogno. E ha ruminato inutilmente. E si è infilata dentro come in una fodera. Per soffocare. Povera. Non fatele del male. Non fatele capire. Mentitele se potete. Sì, che potete. Vuole solo menzogne. Merita solo quelle. Non osate dirle mai la verità. Non la vuole. Non vuole crune di aghi in cui infilare risposte. Ma solo spilli. Per scriversi la storia addosso. Non riesce a lavarsi e ripulirsi il senso di stupidità. E si liscia la pelle. Convinta di meritare solo quello. Quello che mi stupisce è che ogni volta insegua la verità. Pur non sapendosene cosa fare. E si benda di sorrisi e di allegria finta. Mentre sente dentro una palude. Alla quale rubare acqua e spacciarla per lacrime.
Parlami adesso. Ne ho bisogno. Poi dimenticherò. Ma dopo. E adesso non è ancora dopo. Lo sarà presto. Ho dentro fiumi di delirio. Adesso e poi mai più. Ma adesso. Parlami. Non è per capire. Solo per poterti accantonare. E liberarti per sempre. Come una farfalla segregata. Per restituirti le ali. E reciderle dalle vene della mia follia. Parlami. Tra in istante sarà mai. Non è bisogno. E' dolore che zampilla da caverne sconosciute. Ti chiedo parole. E nulla. Niente di più. Riempimi di voce le orecchie. Fino a farmela scorrele nelle vene. E dimenticarti. Con un sasso alla foce di quel fiume strano. Parlami anche se sono stata una bimba cattiva. Sarò brava da ora in poi. Ruberò dignità. Te lo prometto.
La cattiveria non è un rimedio per la cattiveria.
Perchè non c'è rimedio.
Le non verità restano tali.
Coperte da altri strati di finte verità.
Come cenere su cenere.
"Perdonami fiorellino se ti ho torturato.
Neanche mille bacini risanerebbe la tua corolla.
Ora è tempo di voltare foglio.
Ma ora era già ieri."

sabato 13 giugno 2009

Divampa l'ordine tra le fiamme della mia fragilità. Vampate che ardono e distruggono sequenze e alternanze. Onde e mare piatto. Fino alla riva. Ad annegare lentamente sulla spiaggia. E mescolarsi alla sabbia. In attesa di rinascere onda. Per rivarcare il confine.
E mi ritrovo inesistente.
Al punto 0. Concava, con il segno lasciato da sassolini. Incisioni di vuoto. E una sacca di sensazioni. Hanno la voce della pelle. Sono aria che ha vibrato e ha toccato ed intaccato il cuore. E lo ha riempito di lividi. Come in un tamponamento a catena. Ha stritolato parole come se fossero pensieri.
E abbraccio quel punto.
Non ho paura. Ma ho paura di avere paura. Ogni movimento sbagliato può scaraventarmi nella fiamma. E si può bruciare solo quando si sa cosa si vuole. E io non so. Placidamente inesistente, contemplo il mondo.E lo imploro di guardarmi. Un solo sguardo. Una volta sola. L'ultima. Come se fosse l'unica.
E nell'illusione mi stempero.
Come onda lenta e stanca sulla rena.
C'è orrore in noi. Assolutamente inconsapevole. Ci ricopriamo di una pelle nemica e cattiva. Solo per difenderci. Senza che ce ne sia bisogno. Ed il rispetto resta intrappolato in quello strato. Pulsa come una ferita infetta. Viviamo in attesa di essere scartavetrati. E ritrovarci nudi. Fatti di amore.
Puro amore.
Ed è un istante.

venerdì 12 giugno 2009

Ritaglio angoli di aria.Sembrano stelle.Si spengono tra le mani.La lama è la mente.Rotea.E incide.E il cuore ricompone.Il cielo è solo una tavola limpida.Lo liscia come seta arrogante.E rimpicciolisce le sensazioni.Nelle pieghe.Sembrano più vere.O solo meno inzuppate.Dalla voglia.E dalla disperazione.E a volte è lo stesso.Pulsa sulle tempie la serenità.E io ho paura.Barcollo.E l'equilibrio sembra fatto di fili.Di un baco imprudente.Ho urtato i confini.E mi sono rimbalzata contro.E mi ritrovo conficcata dentro.Di me.E la mia ombra.Nessuna lama potrà scardinarmi.Sono aria.Dilatando i confini del poi ci si trova nel mentre.Mi rifugio in una tana fatta di luce.Ma non vedo.

mercoledì 10 giugno 2009

Mi liberai di tutto quel rosso. E il velo volò nel vento. Sembrava un airone con il suo mantello di voce suadente. Squarciai il silenzio. Un volo rosso come il tramonto che ogni giorno ci ricopre di inconsapevolezza. Densa come il cioccolato. Il rosso scorreva e scorse. E si lacerò. Non era altro che bava di ciliege. E fame. E io lo credevo sangue. Fu perplessità. E forse delusione. A contrarsi in tentativi. Inutili come la neve d'estate. Avrei voluto affondare in un tuffo. Dentro strati rossi. Avrebbero donato graffi. Fino a sporcarmi. E rivoltarmi di fremiti e rorida emozione. Io non trovavo le ferite. Le avevo smarrite. In una mappa di oblio. La geografia dell'orgoglio. Sentivo rabbia. E quella è solo fumo. Senza sostanza. E non ha sangue di ciliegia ad imporporarle il battito. Ripulii. E mi liberai.
Restò solo una macchia.
Al centro del cuore.
Ne segnai i contorni.
Con uno spillo.
Teneramente contratta.
Ancora è là.
In alcuni giorni si ritrae.
Altre si allarga.
E si espande.
E io pulisco.
E mi protendo ai margini dell'eccesso.
Sono stufa di cercare segni che diano voce al silenzio.
Non c'è nulla che non possa essere espresso.
Mi dono al nulla.
Spore di indifferenza.
Risucchiano tutto il rosso che c'è in me.
Ma non è sangue.
Impicco tulipani.
Come se fosse pietà.
I fiori sono la carne della terra.

domenica 7 giugno 2009

Dal mare alle lenzuola. Cotone ruvido che sapeva incredibilmente di estate. Ricordo l'odore del sole tra il bucato. Una sensazione mista. Oltre l'olfatto. Quasi a poterla toccare. E l'aria satura di caldo. Timidezza e sabbia sotto il palato. La buccia vellutata delle pesche. E i denti dentro. Le goccioline sul mento e sulla maglietta. E le bolle ovunque. Deliziosamente ostinata. Oscuro presagio. Dal mare alle lenzuola. E scivolare nel sonno come se fosse una punizione. Un sonno avvolto dalla voglia di fuggire. La finta ribellione sfidava la finta severità. Il gioco delle parti. I papaveri e le spighe fuori. Appena fuori dalla finestra. Un richiamo meraviglioso. Come se avessero voce.
La porta della intimità è l'imbuto dei sogni.
Perchè è la carne che decide.
E ogni battito della mente è tradotto in brivido dai sensi.
Nessuna pretesa.
Solo luride impronte di una luna estranea.
E bastarda.
Vomita il suo alone nel cielo.
Lenzuola bianche e odore di menta furiosa.
Non è solitudine.
Ma assenza.
Io ci sono.
Poco.
E male.
Abile utensile.
Imploro gli altri di usarmi.
Nel modo peggiore possibile.
L'unico di cui sono capace.
E poi lo rinfaccio.
Colpa dell'attimo.
E della mia scarsa memoria.
Ma a volte le lenzuola sanno di tempo.
E non è estate.
Non ancora.
Nessun girotondo mi può ferire.
Sorrido, mentre la pioggia fa il resto.
Non ho più virgole da distribuire.
E tutto scorre su tutto.
E si sovrappone.
Fino a togliere il respiro.
E non è rabbia.
Consapevolezza.
In fondo nessuno ama le stelle più di un cieco che non può vederle.

sabato 6 giugno 2009

Non so raccontare. E se anche lo sapessi fare non saprei comporre la storia. Sentirne la musica feconda. Fatta di battiti. Lasciarmi fasciare di abbracci le spalle. Fino a sentirmi compresa e compressa in un cerchio. Di parole strette strette. Mi perderei nei dettagli marginali. Incastrando i protagonisti in un angolo sperduto. Lontano. E poi lasciarli morire di inedia. In cerca di una fine. Una qualunque. Non so legare parole e fatti. E vita. Io trattengo. Amplifico. E distruggo. Cerco di spiegare le cose dal di dentro. Di spingerci dentro sostanza venefica e aria. Fino a sentire che stanno per esplodere. Per poi lasciarle vagare. E contrarsi. Come se fossero palloncini fatti di anima. E io fossi il sangue che disperatamente riga le loro pareti. Le irriga di segni che nessuno può vedere. Ma solo intuire. E vestirsi di percezioni. Una rete a maglia per il cuore. Attenta a non lasciar scappare quello che c'è dentro. A imbrigliarlo. E a non lasciare entrare chi sta fuori.
Dentro e fuori.
Due lati della stessa dimensione.
Lo specchio pieno e quello vuoto.
Assolutamente fuori tempo.
O troppo dentro il tempo.
E il vento trasporta i suoi suoni.
Li sdraia nella polvere.
Il suono di mille viole impazzite.
E il tutto ed il niente si rincorrono.
Fanno all'amore, disperati ed affamati.
Il tronco di un albero è la casa delle possibilità.
E mi rannicchio nel suo utero.
Come se la sua linfa fosse il mio sangue.
E forse è così.
E di morbide astrazioni di cibo.
E astrattamente mi perdo.
Non ci avevo mai pensato.
Ma io non lo so cosa ci sia dietro ai miei occhi.
Dormimi dentro se non puoi dormirmi addosso.

giovedì 4 giugno 2009

Scissi ho la mente ed il pensiero.
Ed il pensiero si fece luce.
Indistinta e triste.
Incesto.
Del giorno e della notte.
Nessuna forza nella ostentazione della forza.
Un laccio ai polsi e alle caviglie.
E striscio nel buio.
Fino alla ciotola.
Berrei tutta la luce del mondo.
Se potessi.
Ma la coppa è vuota.
Il riflesso non ci restituisce l'immagine.
Ruba all'anima la sua parvenza.
Nessuna immagine sa catturare il riflesso.
Solo la mente può.
Prima di esplodere in pensieri e sangue.
Nella corrente si smangia la sagoma.
E quel che resta è poco.
Davvero poco.
Ma vero.
Fili di acqua.
E il tempo e le sue magie.
Insane e crude.
Nessuna voglia.
Nessuna domanda.
Nessuna risposta.
Nessun riflesso.
Nessuna immagine.
Nessuna forma.
Nessun sogno.
Nessun bacio.
Nessuno schiaffo.
Nessun dolore.
Nessun movimento.
Fino a nessuna negazione.
Una goccia urta la superficie.
Sembra poco.
Invece è niente.
E di niente mi nutro.
Immobile contemplo il tempo.
E lo stacco da me.
E nel distacco mi infilo.
La lama disegna il tormento.
Mi sembra di sentirla sulla pelle.
Al confine con l'anima.
Sul suo bordo.
Ed il tormento liscia la lama.
La bagna e scorre.
Vuole staccare un pezzetto d'anima.
Come promemoria.
Lascio fare.
Soffrire è un modo per lasciare un segno.
Appena sfumato.
E non dimenticarsi.

mercoledì 3 giugno 2009

Trema la pila di scatole. Ero regina di una torre tremula. Evanescente è la salita. E la caduta anche. Non c'è dolore. Poca fatica. Solo stupore. Impercettibile ma vischioso. Come la tela di un ragno. Uno stupore che, come una macchia intrisa, ha soggiogato il cuore. E tinge. E sbava. A volte sembra rabbia. Ho poco rispettato. Poco me stessa. E poi gli altri. Fatti di vita e cuore. E carne. Ma fu solo per riverbero. Di una luce amica. Io la chiamo impeto. E mi riprendo l'impeto. Ne faccio mercimonio con il respiro. Sto respirando. Quasi mi sento in colpa.
Altrove un albero cresce.
Lo sento.
Ma non voglio saperlo.
Non ho una colpa.
Ne ho tante.
Ma se io mento il mio cuore no.
E questa è la colpa peggiore.
C'era una scatola e io la scardinai. E vi trovai una verità più che vera. Non le credetti. Avrei dovuto. E ne impiccai la voce. La sgozzai. Ma la sua scia è rimasta. Ne ripulisco ogni traccia. Ma torna. In rivoli infetti. E ogni volta il mio orgoglio si dimena. Ma solo per poco. Poi passa. Lo cullo e si addormenta. E io dimentico. Ma solo per poco.
Mendico.
E di intervalli io vivo.


A volte mi volto.
Altre mi nascondo.
Quasi mai fuggo.
Osservo con pallido distacco ogni contorsione della mente. Mi rigiro intorno all'anulare il disequilibrio. Attenta a non lasciarmi graffiare le unghie. Mi sento femmina osservando le mie dita. Sprofondo dentro una apnea grigia. Oggi non voglio nessun raggio di sole. Mi impedirebbe di sentire. E io voglio un mondo asciutto. Senza sudori affamati di pelle. Né sbavature convulse. Voglio un grigio che consoli e rassicuri. E, consolata e rassicurata, vagare. Poco. Con il mare come amico. Oggi vorrei essere sua figlia.
Abbracciavo le mie ginocchia.
Cercavo il mio odore.
Il mio unico compagno.
E mi sentivo meno sola.
Non sapevo spiegare.
Anche allora non volevo.
E le formichine varcavano la soglia.
Sotto la finestra.
A caccia di molliche.
Le lasciavo come esca.
E poi le toglievo.
E negavo.
E mi negavo.
Non era crudeltà.
Ma scarsa convinzione.
Nel senso della vita.
E raccoglievo conchiglie.
Dove versare lacrime.
E poi adornare castelli di sabbia.
L'onda arrivava sempre.
E scioglieva le mie torri.
Sperdendo le conchiglie nella corrente.
Era come donare lacrime al mare.
La solitudine non mi scava più. Mi percorre. Senza scendermi dentro. Come se tra me e il mondo ci fosse una grata. E non è solo la mia pelle. Raccolgo ancora conchiglie. Ma non so più che farne. Forse collane.
L'onda arriva sempre.
Torna.
E poi ancora.

lunedì 1 giugno 2009

Srotolai il tappeto della confidenza. Era tiepido. In un angolo prestato dalla notte al giorno. E mi sentii fragile. Avevo freddo. E volevo riscaldarmi le ossa. Mi voltavo e rivoltavo. Sul prato della intimità. Un giaciglio segreto. Una trama di luce e ombra. Ogni donna lo è. Senza saperlo. E calpestavo fiori. Giocavo con il limite. Ma lo avevo valicato. O forse solo immaginato. Lo avevo cosparso e me lo sentivo colare. Ovunque. Il limite non esiste. Siamo noi che possiamo essere. Nel modo migliore possibile. E a volte esistere. E non c'è punto che segni la distanza. Possiamo protenderci. Spingerci nel vuoto. Infilzare attimi. Non c'è nulla di più triste di rovinare le ali ad una farfalla. Analizzarle. Esaminarle. Trovarne i difetti. E i pensieri sono farfalle. Perchè noi non sogniamo. Giochiamo a rovistare tra le ali di farfalle. E poi pensiamo.
Con la sola consapevolezza del pensato e non del pensare.
A volte di notte ti penso.
Ma non sei un pensiero.
E lo ricordo solo la mattina al risveglio.
Ti ritrovo.
E ti ripiego.
In un angolo della mia coscienza.
Siamo destinati a percepirci sempre un istante dopo.