venerdì 24 aprile 2009

Pioveva amore. Divenne grandine rossa. E rose. E io restavo asciutta. E mi raschiavo di lacrime avare le gote. Ombre di amore. E mi legavano. I polsi dietro. Senza respiro. Trattenuto e respinto. Chicci di un grano maturo. Di un campo sconosciuto. Faceva quasi paura. Praticamente tremavo di impossibilità. Scavavano canali. E i solchi avevano diverse direzioni. Senza meta.
Ero ovunque ed in nessun posto.
Ma cercarmi era assolutamente inutile.
Per una volta ero io che volevo trovare.
E il rosso segnava. Lo credevo peccato. Mi feriva. E rimbalzava. E io avrei voluto solo cancellarlo. Il rosso era ovunque. E dalla mente estraevo pensieri. Esili. Impotenti. E scalpestavo amore. Mentre la cosa più normale sarebbe stato impedirgli di cadere. Trattenerlo e berlo. Lentamente. Fino a non sentire più nessun vuoto.
E negavo e mi negavo.
E imploravo l'altrui dissenso.
Lo mendicavo.
Fame di amore.
Della purezza più oscena che si potesse immaginare.
Amare è lo sfiorarsi di istanti.
Istanti che rendono scura e densa la luce.
Annegandola nel fiume dell'ignoto.
Lune sovrapposte.
Perfettamente collimanti.
Un amplesso tra i loro bordi.
E riempiono di luce il buio.
Da farti chiudere gli occhi.
E respirarla.
Una luce che è una carezza.
Prima di finire in un sospiro.
La più feroce ed impudica.
Una carezza dentro il cuore.
A rovistarlo.
E intrecciarne i segreti.
Per prendere tutto.
E ti moltiplichi in una foresta di alberi felici.
E il vento li lascia urtare.
E' che si ama e il senso dell'amore è caldo e potente.
Frantuma gli ostacoli.
Ti sdraia l'anima e le spalanca le cosce.
Amore umido come una foresta.
E continuare ad amare.
Nonostante l'assenza di amore.
Senza chiedere.
Senza negare.
Donando.
Impiccando le attese.
Fluttuando nel rosso.
Come se fosse sangue.
E lo è.
"Io sto arrivando".
E divenni il mio cuore.
E anche altri.
Era sangue.
Quel rosso era sangue.
Sì.
Ora lo so.
Pioveva amore. Divenne grandine rossa. E rose. E io restavo asciutta. E mi raschiavo di lacrime avare le gote. Ombre di amore. E mi legavano. I polsi dietro. Senza respiro. Trattenuto e respinto. Chicci di un grano maturo. Di un campo sconosciuto. Faceva quasi paura. Praticamente tremavo di impossibilità. Scavavano canali. E i solchi avevano diverse direzioni. Senza meta.
Ero ovunque ed in nessun posto.
Ma cercarmi era assolutamente inutile.
Per una volta ero io che volevo trovare.
E il rosso segnava. Lo credevo peccato. Mi feriva. E rimbalzava. E io avrei voluto solo cancellarlo. Il rosso era ovunque. E dalla mente estraevo pensieri. Esili. Impotenti. E scalpestavo amore. Mentre la cosa più normale sarebbe stato impedirgli di cadere. Trattenerlo e berlo. Lentamente. Fino a non sentire più nessun vuoto.
E negavo e mi negavo.
E imploravo l'altrui dissenso.
Lo mendicavo.
Fame di amore.
Della purezza più oscena che si potesse immaginare.
Amare è lo sfiorarsi di istanti.
Istanti che rendono scura e densa la luce.
Annegandola nel fiume dell'ignoto.
Lune sovrapposte.
Perfettamente collimanti.
Un amplesso tra i loro bordi.
E riempiono di luce il buio.
Da farti chiudere gli occhi.
E respirarla.
Una luce che è una carezza.
Prima di finire in un sospiro.
La più feroce ed impudica.
Una carezza dentro il cuore.
A rovistarlo.
E intrecciarne i segreti.
Per prendere tutto.
E ti moltiplichi in una foresta di alberi felici.
E il vento li lascia urtare.
E' che si ama e il senso dell'amore è caldo e potente.
Frantuma gli ostacoli.
Ti sdraia l'anima e le spalanca le cosce.
Amore umido come una foresta.
E continuare ad amare.
Nonostante l'assenza di amore.
Senza chiedere.
Senza negare.
Donando.
Impiccando le attese.
Fluttuando nel rosso.
Come se fosse sangue.
E lo è.
"Io sto arrivando".
E divenni il mio cuore.
E anche altri.
Era sangue.
Quel rosso era sangue.
Sì.
Ora lo so.

giovedì 23 aprile 2009

E sono inconsistente. Non segno. Non resto. Mi aggrappo alla memoria. Mi struscio come una gatta. Ma poi mi arrendo. Adesso. In questo punto esatto. Mi casso. E prendo atto. Non è servito a nulla. Infilare le dita nel cuore e nella mente. Erano dita di vento. E frugavano nel vuoto. In un vuoto pieno. Senza spazio per loro. Neanche per la più misera mollica di dolcezza. Ogni mia traccia è scivolata via. Forse non vi è mai stata. Ma era tutta verità. Erano battiti. Un vento vero che palpitava e nel ricordo si contrae. Ma non serve. E resto attorcigliata ad un alone impregnato di indegnità. La femmina si annusa. E ripulisce la sua scia. La riavvolge. Come se fosse un cordone ombellicale mai reciso. Ma era solo una pretesa. La più stupida. Dove ho perso la dignità? In quale preciso frammento? Ho insistito a incollare cocchi di un vaso frantumato. A riporvi i miei fiori. Nessun taglio mi ha fermato. Ostinata.Era indifferenza. E io la coloravo. La riempivo di baci. Ma non serviva. Io non segnavo. Incastrata a quel punto. Tra le crepe di quel vaso. Legate dalla mia saliva. E da un fiume di parole. E menzogne. La benda del sogno. Mi spingeva le iridi in una nube. E comprendevo. Ma non ero la musa. Ero l'occasione. E le tempie segnate. Con gli occhi dentro. Ho visto il mondo solo da dentro di me. Ed era davvero tutto sbagliato. Un mondo sbagliato. Senza verità. Macchiato dai miei sogni.
A volte ci vuole solo il coraggio di tirarsi gli occhi da dentro.
E così che si vede.
E ci si libera del passato.
E adesso non so.
Se questa sia vergogna o tristezza.
E incido lettere sul cuore.
Segni su una corteccia.
Apparententemente distratti.
Senza significato.
Secreti dal caso.
Si posano dove capita.
.
E ad ogni taglio ingioio linfa.
La spingo dentro.
Ingorgo.
E spasmo.
Nessuno deve credere che siano lacrime.
.
Sento la lama.
E scivolo e fendo.
Perchè io sono la lama.
E poi sono il tronco.
E i suoi raggi di dolore.
Da ramo a ramo.
E ancora
sono il solco
e il segno.
E accolgo inerme la lama.
E ne raccolgo la scia.
Per cercare di carpirne il senso.
.
Come una nube intorno all'anima.
La avvolge e la comprime.
Ed è come se sia cieca.
Asfittica.
Si muove a tentoni.
Ed urta.
Tentativi d'anima.
E quasi sempre errori.
Parla un suo linguaggio e io non lo comprendo.
Vorrei solo cospargermi e bruciare nella sua fiamma.
La comprensione.
Ho dita.
Senza polpastrelli.
E il mondo mi sembra muto.
Invece, sta cantando.
Vibra.
E io non sento.
Con una falla al posto del cuore.
In attesa di essere risucchiata.
La riempio di stracci.
E a volte di favole.
Chiedevo di raccontarmi sempre la stessa fiaba.
La mano tra i capelli.
Il bacio sulla fronte.
Non bastava mai.
Ed ogni volta restavo sospesa nel mio fiato.
In cerca di un finale diverso.
E nella testa lo modificavo.
Nessuno lo sapeva.
E la mia favola non finiva mai.
Ancora dura.
Sembra non finire mai.
Come le mie notti.
Lente e mordide.
Ed i loro occhi.
Anch'essi.
Non finiscono mai.
...

martedì 21 aprile 2009

Come se ci fosse un rifugio

Un rifugio.
Foderato di cielo.
Dentro il quale lasciare il mio cuore adagiato.
A contrarsi di baci.
Spontanei.
A ricamarli come la neve.
Su velluto e anemoni.
E mughetti e sangue.
Cosparso di nuvole.
In attesa della pioggia.
L'aria sazia si compiace del suo odore.
Pregno e immobile.
E nella tana il riposo del cuore sembra silenzio.
Ma è furia.
Urla.
Come se di equilibrio si nutrisse.
Mentre sta morendo di fame.
Era strano sembrava nuotare contro corrente.
Mentre parole e fatti mi sbattevano contro.
E le stelle graffiavano.
Mi solcavano il cuore.
Ci incidevano il verdetto.
E il presente sembrava miseramente scorso.
Tra le mani il calco dell'attimo.
E la sua eco ruvida.
Una medusa nello stomaco.
Faceva razzia.
Come se avessi paura a pronunciare una parola.
La più semplice.
Una parola inversa.

"...Il mio diletto è bianco e vermiglio,riconoscibile fra mille e mille..."

domenica 19 aprile 2009

All'improvviso nel bel mezzo di un errore divenni ciò che non credevo fosse possibile.
Perchè le vene si gonfiarono di impossibilità.
E cambiai.
E mi cancellai.
Fino a dimenticarmi.
Qualcosa restò.
Mentre ero diventata altro.
E altra.
Fino a sovrappormi.
Trovavo nel gioco delle sagome
il mio limite.
Come se fosse un morbido eccesso.
O una arida ritrosia.
Mentre era identità.
La mia inquietudine è un sole nero nella gola.
Un segno nella pancia. Senza sangue. Cavalli al galoppo. Dentro. Proprio lì. Una furia muta. E l'innocenza tremula tra le mani. Nulla è più innocente del peccato. La purezza non è innocenza. E' solo una astensione involontaria. Nel soffio di una primavera eterna. Il peccato è maledettamente innocente. Il ritrovarselo nello stesso istante dentro e fuori. E immergersi nella conoscenza. Per la prima volta.
E innocentemente perseverai.

sabato 18 aprile 2009

Vorrei riavvolgere tutte le mie parole. Ritirarle indietro. Come se avessi un amo. E un amo al contrario. E ricostruire. Gli argini del mio fiume. Rivoglio le mie parole. Ingoiarle e risminuzzarle in saliva e astrazioni. In sagome e bolle. E ampolle e formule magiche. In segni e sogni. In brividi e sensazioni.
E usarle nel modo giusto.
Bulimia di parole.
Fame disperata.
Sono piena di vuoto.
Tutte indietro.
E i pensieri svuotati di parole. E le parole svuotate di pensiero.
E' il modo giusto per esserci.
Sospesi come mille lune senza cielo.
C'è un mare dentro di noi.
E fiumi di anima e cuore.
E canali percorsi da sensi.
Affinchè tutto raggiunga tutto.
E a volte siamo naufraghi ed altre pescatori.
Talune pesci.
Entrare nella intimità è come scivolare nella corolla di un fiore.
E carpirne i segreti.
Lievemente.
Senza toccarne il cuore.
E poi rigarne i petali come rugiada distratta.
Avida di terra.
In caduta libera.
Con una destinazione.
Ma senza direzione.
Io raccolgo petali.
E ne accarezzo la bellezza.
Inzuppata di tempo.
E da lui plasmati.
Ma solo dopo che sono caduti.
Afferro spesso la bellezza.
Ed è sempre gioia.
Ti sbatte il cuore.
Lo pizzica.
Schizza battiti.
Ma nel descriverla si diluisce.
Sulla tavolozza dell'anima.
E' come se si perdessero i colori.
E i battiti si intrecciassero ad aria.
La bellezza è fatta di vibrazioni.
E la si può solo intuire.
La bellezza si sfiora.
Non si tocca.

giovedì 16 aprile 2009

Non ricordo mai i nomi. Raccolgo la forma delle cose. La assecondo. Vorrei conoscerne la consistenza. Ma non i loro nomi. Quelli li confondo. Sono lettere spente. Non so menzionarle. Non trattengo le loro orme. Forse descriverle. Ma solo per poco. Dimentico. E nell'oblìo mi rotolo. Veli di assenza mi avvolgono. Fino a togliermi il respiro. Vivere è rubare aria e istanti. Come se fosse una pretesa. Ed infilarli nel sacco della vita. Come se ieri fosse così tanto presente. Mentre è solo polvere. Scivolata dentro. E a volte petali. E cipria. Fine e odorosa. Sommariamente e sommessamente appunto la idea di cose e fatti nella testa. Li intuisco. Non approfondisco. E' come se la mia anima abbia pareti avide. Assetate. Muri ladri. Pronti ad impregnarsi. E a ricoprirsi di striature. Strati su strati. Siamo tutti gli strati sbavanti e gocciolanti su quei muri.
E mi inzuppai per caso del senso di te.
Prima che mi colassi a picco dentro.
Attenta a non affogare.
E mi nuotavo contro.
Astratta e perplessa.
E di questo non trovo traccia.
Nè dell'inizio.
Nè della fine.
Archivio sensazioni. Come in una scatola. Senza trattenere nulla che non sia evanescente. Sottile. Impalpabile. Striscio il mondo. Struscio la mia vita con le mani aperte. E per un istante il quadro è nitido. Perfetto. Si riversa sul mio palmo e lo riempie. Poi il futuro diventa assente. Evapora. E mi accorgo che il tappeto del tempo si è srotolato. E ha stravolto tutto.
Ho paura a guardarmi dentro.
Lo so cosa ci troverei.
In alcuni momenti è più difficile
non esserci
che esserci.
Sono una mela intrappolata nella sua buccia.

mercoledì 15 aprile 2009

Pezzi.
Mescolati.
Incastrati.
Pezzi interrotti.
Sono fatta di pezzi.
Confusi.
Di anima e corpo.
Di cuore e carne.
E mente.
E una ninna nanna da cantarsi.
E l'odore del pane nella testa.
E le bambole di carta da colorare.
E ritagliare.
Pezzi di me e degli altri.
Ma sono tutta una.
Comunque una.
Quasi il miraggio di me stessa.
Composta e scomposta.
E ricomposta.
Sono dita impure.
Mendicanti senza armi.
Ladre di storie.
Senza artigli.
Accarezzano l'aria.
Come parole dolci e mute.
Sanno di donna.
A caccia di nuvole e sale.
E disegnano il volo di fenicotteri rosa.
Dal bordo di una strada di campagna.
Intenti a lasciare una scia.
Rossa.
Di calore.
Quasi solido.
Rosso come la nostalgia.
Da togliere il fiato.
Io sono pezzi. E di pezzi.
Sono una donna scomposta.
Dal cuore insapore.
Una enerme bolla al centro di me.
Morderlo è mordere il vuoto.
E la mia caviglia incerta.
Indecisa come i mie tacchi.
Legata e risciolta.
Scorsa da solchi.
Ancheggio per ricordarmi che esisto.
Quasi imbrattando l'aria.
E tra i miei gomiti lisci mi nascondo.
E soffoco frammenti di cielo.
Nascondo un segreto in fondo ai miei occhi.
Quasi annodato alle vene.
Un segreto morbido e liquido.
Inafferrabile.
Mani nell'acqua e nel sale.
Nella sabbia e nell'aria.
E la musica invade la mente.
Invisibile.
Ma punge.
La vorrei disegnare.
Ma sfugge.
Note come cristalli di sale nel sole.
Come spuma contro la roccia.
Mare e mani.
A raccogliersi.
E sfuggirsi.
Vorrei donarti il suo rumore.
Vorrei lo sentissi.
Il rumore del mare di notte.
Come lo sento io.
Ogni notte.
Prima di addormentarmi.
Intrecciata al tuo pensiero.
Indecisa se chiamarlo ricordo o futuro.
E' che non cerco comprensione.
Vorrei essere macinata.
Sminuzzata.
Masticata.
Sparsa.
Dalla passione.
E ritrovarmi polvere.
Come se non fossi mai esistita.

martedì 14 aprile 2009

Luna annegata nel cielo.
Luna soffocata e persa.
Il cielo l'ha inghiottita.
E nascosta.
Mi vesto da spigolo.
Mi piego per sentire.
E raccogliere vento.
Come una coppa.
E ai margini mi pongo.
Io rubo tempo al tempo.
E me lo infilo nelle vene.
E di passato cospargo gli angoli della bocca.
Umetto il suo contorno.
Fino a chiamarlo desiderio.
Prima di rinnegarlo.
Amputando le mie labbra.
Luna che pulsa.
Altrove.
Il cielo l'ha sputata.
La notte è un sipario.
E il giorno è il sipario della notte.
Tenda su tenda.
In attesa dello spettacolo.
Nulla copre più della luce.
Gioco con un raggio di sole.
Copre ogni tristezza.
Ci spalma sopra un velo.
E scorre sulle mie cicatrici.
Oltre ogni probabile possibilità.
Ma non cancella.
E diventai femmina.
E mi bagnai di innocenza.
Intrecciai lacrime alla terra.
Come rami e radici.
Quanta poca dignità c'è nella tristezza.
E nel suo urlo.
Come se vivere fosse un dovere.
E la vita non fosse un delirio continuo di sangue e carne.
Non smesso di trattenere.
E indegnamente scorro.
Come una diga.

domenica 12 aprile 2009

Nessuno può capire che significa se ti chiedo di abbracciarmi.
E di rubarmi il respiro.
Di ingoiarlo.
Di lasciarmi entrare dentro di me.
Schizzi del mio respiro.
Come se fosse nettare.
O veleno.
E di farmi nascondere dentro di te.
Nella tua pancia.
E sentire batterti il cuore da dentro.
Mischiarmi ai suoi battiti.
E trattenerli.
E al tuo sangue.
Come edera.
Se ti chiedo di succhiarmi l'anima.
Di masticarla.
Nessuno può capirlo.
Ti chiedo di strappare dai miei occhi l'ombra della notte più buia.
Di tutte le notti buie che hanno bendato i miei occhi.
Facendoli colare a picco.
Scavando un solco.
Tra le ciglia.
E mi hanno imbrattato le iridi.
Lasciandomi una gemma tagliente nella mente.
E i suoi frammenti.
A vagarmi.
La mia mente è tempestata di orrore.
Nessuno può.
Sono rimasta incastrata ad un punto della mia vita.
Come se ci fosse un uncino.
Tra cuore e vita.
Ed ogni volta che provo ad allontanarmene provo dolore.
La carne tira.
E grida.
La linfa gronda.
E il rubino che mi batte dentro rotea.
Impazzito.
E mi incide traiettorie.
Dentro.
E non resisto.

Nulla nasce dalla delusione e dal disincanto.
Dovremmo ricostruirci.
Ogni volta.
Lasciando il passato come un calco.
A volte ho tradito.
Solo me stessa.
Ed è quella la condanna.
Sapersi perdonare.
Troppo facilmente.
L'indulgenza è la coperta dell'errore.
E ogni volta che perdono non c'è coraggio.
Solo paura.
Di quella parte ferita.
Negli altri io cerco i miei errori.
E se li trovo non riesco a lasciarli andare via.
Ho prostituito la mia anima.
E ne faccio mercimonio.
A volte anche con i sogni.
E' questo quello che abbracci.
Ogni volta.
Vestita di autunno inverso, mi spoglio. Mescolate le stagioni, gelo. Come una margherita. Nuda. E' un ramo sfiorito la mia sensibilità. Strappata, io tremo. Macchio di innocenza e di brividi le lenzuola del mio talamo. Candore e impronte sulla schiena. Come se fosse mappa. E cera. All'ombra di una fiamma non si può mentire. E la pelle grida il suo dolore. E gioco con i fili di luna. Fingendo che sia destino. Sulle dita. Come una promessa. Incisa sulle dita. Fino alle mie vene. Intagliate dal dubbio. Sono un'arpa. Risuonano di dolcezza e debolezza. E gli altri testano la loro forza. Con il disprezzo. Potrei gridare che mentono. Che io vedo le cose da dentro. Che mi spingo dentro. E le sento. Fino a soffrire. Ma taccio.
Ho giurato. E l'altare era il mio ventre.
Ora il sigillo è sulle labbra.
Nessun bacio lo strapperà.
Nè lo scioglierà.
E le lune si moltiplicano. Come spore.
E' come se fosse fatta di terra la mia rabbia.
Terra umida e vorace.
Con la sola voglia di non guardare il cielo.
Ignorando.
Qualcuno li chiama problemi.
E li tinge di sangue.
Ma siamo specchi.
E nessuno se ne accorge.
Sporchiamo gli altri dei nostri limiti.
La storia è in una scatola.
Chiusa.
Supplica aria.
E l'inizio e la fine sono mischiati.
Una sola è la stella ed infinite le lune.
Stanotte.
Nel buio mi nascondo.
E l'altra di me brancola.
E io la osservo spostare aria.
E ricomporre la storia.
Sorride compiaciuta.
Ha soffocato la verità.
Perchè non serviva.
E il corpo, tanto odiato, diventa culla.

sabato 11 aprile 2009

Vestita di autunno inverso, mi spoglio. Mescolate le stagioni, gelo. Come una margherita. Nuda. E' un ramo sfiorito la mia sensibilità. Strappata, io tremo. Macchio di innocenza e di brividi le lenzuola del mio talamo. Cadore e impronte sulla schiena. Come se fosse mappa. E cera. All'ombra di una fiamma non si può mentire. E la pelle grida il suo dolore. E gioco con i fili di luna. Fingendo che sia destino. Sulle dita. Come una promessa. Incisa sulle dita. Fino alle mie vene. Intagliate dal dubbio. Sono un'arpa. Risuonano di dolcezza e debolezza. E gli altri testano la loro forza. Con il disprezzo. Potrei gridare che mentono. Che io vedo le cose da dentro. Che mi spingo dentro. E le sento. Fino a soffrire. Ma taccio.
Ho giurato. E l'altare era il mio ventre.
Ora il sigillo è sulle labbra.
Nessun bacio lo strapperà.
Nè lo scioglierà.
E le lune si moltiplicano. Come spore.
E' come se fosse fatta di terra la mia rabbia.
Terra umida e vorace.
Con la sola voglia di non guardare il cielo.
Ignorando.
Qualcuno li chiama problemi.
E li tinge di sangue.
Ma siamo specchi.
E nessuno se ne accorge.
Sporchiamo gli altri dei nostri limiti.
La storia è in una scatola.
Chiusa.
Supplica aria.
E l'inizio e la fine sono mischiati.
Una sola è la stella ed infinite le lune.
Stanotte.
Nel buio mi nascondo.
E l'altra di me brancola.
E io la osservo spostare aria.
E ricomporre la storia.
Sorride compiaciuta.
Ha soffocato la verità.
Perchè non serviva.

venerdì 10 aprile 2009

Incastrata tra domande.
Onde di un fiume cruento e distratto.
E con le dita scavo.
E graffio aria.
E la raccolgo.
E' un maledetto unguento.
Io non resisto alla dolcezza.
Mi punge l'anima.
E ingoio vita.
E mi rivolto.
Di solitudine mi imbratto.
Senza fare a meno di osservare.
Non con il corpo.
Nè con la mente.
Io osservo con il cuore.
Ma gli occhi del cuore mi impediscono di vedere.
Gli occhi del cuore mi rendono cieca.
E non so se vagare.
O restare immobile.
Mi limito a tastare l'indefinito.
Avevo disegnato ali di aria.
Ci ricamai orgoglio.
E pudore.
Fili tessuti e avvolti.
Tra aria e ali.
E fango plasmato.
Che è la materia dei sogni.
Gocce di incomprensione.
Come spilli.
E di pretesa pregni.
Grondanti.
Ali contro la pelle.
A reclamare luce.
E sonno placato.
Ali immerse fino alla carne.
Incastrate all'anima.
Fino a farla sanguinare.
E percepisco la menzogna.
E la crudeltà.
Biascicate sulla mia nuca.
Bisbigliate.
Hanno livellato le mie ali di delirio.
Le hanno accorciate.
Accartocciate.
Righe di inutilità.
Le sento colare.
Mi striano.
Rivoli di un fiume trasparente.
E' che io sento.
E di serenità impiccata mi adagio.
Come se non ne potessi più.
Accascio la mia vita al suolo.
E scindo il mondo alla ricerca di un pò di bene.
Deve essercene.
Lontano da domande e da risposte.
Come una corda nel vento.
Frusta e si frusta.
Una piccola goccia di serenità.
Vorrei.
Nulla di più.
E' il tormento.
Trasborda nella voglia di distruggere.
Di continuo.
Come se fosse vita.

giovedì 9 aprile 2009

Quello che io ho da dirti è meno importante dell'acqua.
Perchè è veleno.
E' grido di belva.
Contratto.
E sparso.
Pulsa.
Vomita brividi.
Qui tra mani e occhi.
Disperso come polvere.
Lo graffia il vento.
E poi lo leviga.
E un pò dimentichiamo.
Quello che basta.
Per andare avanti.
Stacchiamo istanti e aria.
E li nascondiamo sotto la pelle.
E' come rubare rugiada dalla notte.
E donarla al mattino.
Per non morire di sete.
Incuranti del freddo.
E della corteccia.
Ognuno crede che sia capace di sopportare.
Ma è così fragile.
Affonda nelle mie vene.
E ascoltami.
Chiudi gli occhi.
E ascoltami.
E' un dedalo liquido e sporco.
E urla.
Ascoltami.
Io sono là.
Oltre la possibilità.
Nelle suo ventre fecondo.
Come un campo da arare.
Nel punto in cui sentirai.
Ti fenderà l'anima.
In un sogno di sangue e veleno.
Come se fosse una porta.
Non ho nome.
Nè forma.
E sono senza futuro.
Sono uno schizzo di presente.
Oltre la mia corteccia.
Io sento.
E non vorrei.

mercoledì 8 aprile 2009

A volte cerco la roccia che mi fu culla.
E l'erba che fu mio guanciale.
E di vita in sintesi mi nutro.
Il segreto è nel filo che cuce il mare e il cielo.
Come se fosse l'orlo.
Del vestito del mondo.
Nulla che non sia amore.
Una parola.
Un suono.
O una mollica.
Nel becco di un uccello.
O nel suo verso.
O forse il suo vibrare nell'aria.
L'amore è il tutto.
Se ne scindi le sue parti
ti ritrovi pezzi del nulla.
Non ci sono storie da non ascoltare.
Ma non tutte le storie possono essere raccontate.
Storie collocate tra il vero ed il falso.
Nell'improbabile.
Una terra di nessuno.
E' il nostro corpo l'unica porta per la verità.
La verità non è un fine.
Ma solo il mezzo.
Io l'ho sentita nelle pupille la verità.
Da volerla piangere.
Lacrima per lacrima.
Ma poi ho smesso.
Non era mia.
A volte vorrei che tu ti spingessi così in fondo a me
da poter vedere il mondo con i miei occhi.
Ti vedresti come ti vedo io.
Mentre mi esplori.
Rivestito della mia pelle.
E se intreccio l'aria alla pelle miscelo il tutto con il nulla.
Con quei pezzi di nulla che vagano.
Non racconto.
Ho smesso.
Per non ricominciare.
Ma ogni giorno sono il sole e la luna che si rincorrono.
E raccontano il mondo.
Inesorabilmente.
Anche se nessuno sta ad ascoltarli.
La vita è l'unica storia che ricominicia sempre.
Il tuo pensiero ha l'odore di menta e mele.
E io non mento.
Mi limito ad omettere.

sabato 4 aprile 2009

E' come se il mondo sia un immenso puzzle.
Molle.
Mobile e morbido.
Mi fingo immobile.
Mi strappo il respiro.
Fino a rivoltarmi l'anima.
Tra le mani, frammenti.
Ci srotoliamo e ci strusciamo.
E il mio pensiero bacia il tuo.
Ad occhi chiusi.
Avidamente.
Come se fosse il primo bacio.
A lungo sognato.
O l'ultimo.
Da non volere mai smettere.
Su un prato chiamato vita.
Lo insegue come una farfalla.
Solo per accarezzargli le ali.
Ma a volte le ali si urtano addosso.
E fa male.
Il peggio è che non puoi gridare.
Ci sono istanti in cui sentiamo il nostro sangue.
Lo percepiamo.
E noi con lui.
Lo lasciamo espandersi.
Senza limiti.
Se questo accade incosapevolmente credo si chiami felicità.
E' quell'istante in cui ci incastriamo nel posto giusto.
Quello proprio nostro.
A volte quel posto giusto è nella mia testa.
E quando sono nella mia testa il mio posto è ovunque.

Mi vesto di brividi e luna.
E di freddo.
E di perplessità.
Ruvida.
Graffia il rancore.
E io mi lecco le ferite.
Lo stacco dalla pelle.
Solo per te.
E mi fa paura.
Non sono mai stata nuda come ora.
Ho un solo paravento.
Un piccolo petalo rosso.
Al posto del cuore.
Del resto non mi importa.
A caccia di tutta la dolcezza che mi è stata negata, immobile, vago.
E semino brividi.
Sono un frammento.
Di tempo.
E di luna.
Un minuscolo spicchio.
E tra quelle parentesi sono immensamente felice.

mercoledì 1 aprile 2009

Ho macchiato di bisogno il mio sogno. E mi sfaldo. Tra presente e futuro. Liquefatta ed assorta. Ho morso la voglia di assoluto. Baciando aria. Con gli occhi chiusi. A caccia di buio. E strappando il vuoto. Riempiendolo di me. E io mi svuotavo. Nel gioco della assenza. Denti nell'aria. La strappavo dal resto. Come se la mia fosse fame. Ma era solo paura di averne. E raccoglievo fiori di carta. Per adornare. Me. E il mio giardino. La mia treccia era stata mozzata. Un colpo secco. Un taglio deciso. Giaceva ai piedi del letto. E la mia innocenza con lei. Io la ricomponevo. E la rammendavo. Protendevo le mani e raccoglievo pioggia. Ma non aprivo gli occhi. Avevo bisogno di cullarmi. E ogni nenia andava bene. Anche il pianto.
E le nuvole si mescolavano al sangue.
Tulle schizzato di vermiglio.
E il mai si colorava.
Era al limite.
Tra i lembi di un colore indefinito.
Per rammendare il cuore.
"Disegnami.
Riempimi di significati.
Di creta e saliva modellami.
Raccoglimi al calar del sole.
E poi deponimi all'alveo dell'alba.
Nel grembo del giorno.
Abbandonami là.
In un giorno qualunque.
Ma ad un'ora precisa.
Come se fosse un rito."
E' più facile ricordare che dimenticare.
E mi segnavi i fianchi.
E mi facevi donna.
Mi creavi e distruggevi.
Lisciavi le deformità delle mie paure.
E io sul bordo ondeggiavo tra le tue mani.
Pericolosamente viva.
Ma la terra aveva ingoiato il verdetto.
E io vagavo.
Senza condanna.
Nè assoluzione.
Ignorata.
Mentre avrei voluto solo una pena da espiare.
Una qualsiasi.
Nulla è più impudico di una confessione non richiesta.
Di un'anima che si apre.
Come una corolla.
A caccia di luce.
Come se la luce fosse l'unico perdono.