lunedì 10 luglio 2017

***

A volte mi ritrovo immersa in una solitudine diversa. La diversità mi ha sempre stupita ed incatenata. Come nel mare, quando tutto abbraccia. Senti la luce sulla schiena e mentre riaffiori scintilla e si infila tra le onde, sulla fronte, sulle gote, sulle labbra, con una ignara promessa di precarietà. Sogni di sabbia che graffiano mentre scompaiono e si dissolvono al primo tiepido e fervente buio. Ti insegnano che devi diffidare degli sconosciuti, ma vuoi mettere il brivido di infilarti nell’ignoto?  Pensavo che le assenze rimbombano forte quando è tutto vuoto, e circolano, come figlie del vento e scie lungimiranti del suo soffio, in cerchi selvaggi. Fagocita il mio dolore stupido ogni traccia di sorriso, e io non lo voglio, non lo voglio più,  e come goccia di mora impudica ed invereconda scivola distratta dalle labbra e io non esisto, oltre quella riga. Eppure ti spiegherei se fosse utile. Ma forse non ci sei più vento caro e sei già andato oltre, e il bordo segna la distanza, quando è intollerabile. Ed è diversa questa solitudine pregna nel ventre fecondo di una luna, mentre mi raggiungo e poi precipito. I grilli si mescolano al mio fiato e nelle pagine nuove da scrivere io scivolo silenziosa. Leviga il tocco la carta e mi seduce.
Quando taccio, sono pericolosa.
Perché il silenzio rende tutto meravigliosamente possibile.
E come una virgola indecente, segno senza spezzare.
Forse il pane di mille lune segrete.
Non fermarmi.
Alcuni pezzi di passato non mi spaventano da quando ti ho infilato nella memoria del cuore.
Alcuni posti mi parleranno sempre di te, anche se in sordina, con toni sempre più sfumati.
Ma mai esserne sicuri.
Perché prima o poi il cuore esige la sua parte indietro

venerdì 30 giugno 2017

Donami un frammento di sole, come se fosse una parola, o una carezza, di quelle più dolci, fatte di dita di aria. E di sospiri segreti. Io penso che la poesia sia l’urlo più spietato delle anime dannate, di chi affonda il fiato nella vita, e la respira più che può. Il tempo riuscirà a farci capire la verità di alcune parole spezzate, che è più profonda di quello che appare. Sai non esiste nulla più triste di una verità che non si conosce per davvero. Ma in quella intuizione più recondita e remota c’è il senso del divenire di giorni lontani, come polvere sospinta dalla paura.
Donami il palpito dell’ultima luna e io lo farò colare a fondo. E mi taglierò come una mela, nel buio di una notte ignota. Poi rinascerò ancora da quel piccolo seme di bene, fosse pure un ricordo perso tra le lenzuola distanti, umide di sogni e desideri, senza nome e senza direzioni, ma che lasciano un graffio sul cuore. Una lettera incisa netta, che si sfuma ad ogni nuovo contatto senza smangiarsi mai. Sono un incidente di percorso, nella mia vita. Ed in quelle degli altri. Ci metto tanto tempo a distaccarmi dal ramo, ma poi non torno più. Mai più indietro. Non è una regola, ma solo il corso del fiume. E mi racconto addosso la gioia ed il tormento, e poi mi stupisco di notte e  mi squarcio in rettangoli e poi mi lascio colare addosso nuove albe, perchè la solitudine non mi fa paura. Mi fa paura solo descriverla, perchè gli altri non vorrebbero capirla. Anche quando tutto sembra senza dignità, ma ne ha una sua, oltre i luoghi comuni e le convenzioni, perchè il cuore è l’unico luogo in cui tutto ha un suo senso, e la forma giusta. Se solo mi avessi dato la mano e mi avessi seguito per un attimo, ora lo sapresti bene.
Donami il sussurro lontano del vento.  Senti sto tremando, e non smetto. Lo respirerò negli angoli più segreti, nei frammenti di cuore in cui inciamperò e lo liscerò come se fosse la scia delle ali di un angelo. La misura del bene è solo il bene, niente altro. Nulla che non sia bellezza purissima.
E poi dammi mille onde; sono i baci del mare, il suo respiro, i suoi morsi lenti e dolci. Contale con me e poi perdine il conto. Tutti i baci saranno la eco del primo. Della voce della incoscienza, dell’ignoto, del fremito e del desiderio. Solchi su solchi. Passi su passi.  Ecco adesso, vado. Perchè adesso ho capito, ho capito anche se è tutto dannatamente confuso. Ma ora so che non sarò mai più bella come nell’attimo in cui sono stata miracolosamente vera.
Più del mare, del vento, del cielo e del sole.
Tutto troppo diverso ma tutto troppo uguale. E mi appartengo. Come le dita a questa mano. E le mie vene, come una rete. E poi gli sguardi ai miei occhi. Ed i passi alle mie direzioni. Mi appartengo. Fino ad esplodere nell’unità. Sotto una coltre gelida e questo cielo. Attendo la sorpresa che sappia illuminarmi. E farmi vibrare. E diluisco quella attesa nella vita, nel fiato, nel respiro. Nella dolcezza della bellezza. Fa dimenticare tutto. L’aria fredda profuma di pulito e di solitudine. Sarebbe un posto bellissimo per sentirsi felici.
Calano come aghi sui miei pensieri alcuni ricordi, memorie come piccoli strappi ed ami. Non lacerano, ma creano finestre come buchi neri tra il futuro ed il passato. Ed ogni volta conto. Ed il conto non finisce mai, come se ad ogni numero il mio desiderio mutasse. Sono sincera, non diminuisce, ma si trasforma, come se mi desse una nuova forma. E non mi sento peggiore o migliore, solo sospesa. In attesa di quella che non sarò mai, o mai più. O solo mai stata. Addio. Questo è il mio addio più incoerente e ridicolo, ma è così. The end? Sì, ma baciami prima, per l’ultima volta. Vorrei che ricordassi le mie labbra, davvero per quello che sono. Un aquilone verso i miei sogni.
Bambina, ti schiudi alla vita, come un piccolo bocciolo che gronda di speranza e di sogni. Ho baciato le tue lacrime, calde e sincere, impotente, perchè non sapevo spiegarti che la vita a volte è crudele e richiede tempo, perchè noi siamo fatti ed impastati di tempo. La nostra carne esige tempo e amore. E nell’attesa ci compiamo, destinati ad essere frammenti di qualcosa di più grande. Spigoli di anime. Adesso, ti ricongiungi a te stessa e ti leghi ad un filo, rosso di speranza e di desiderio. Stringilo, fanne vena fervida e feconda. E respira tutto il bello che l’amore ti sa dare. Ti sento mia, come il bacio che ti lasciavo sugli occhi, prima di dormire, più della mia mano che tante volte ha stretto la tua piccina, fino ad intracciarsi con te. Io  ti dono, oggi e sempre, il mio sorriso, per infilartici dentro, nei momenti in cui lo vorrai, anche solo per sentirti vicina vicina a me.
Oggi sono io…Nei miei occhi c’è la risposta a quella sete di futuro e di bellezza che non so se troverò mai, la bellezza delle cose vere e profonde e della forza reale. Tu guardami, perchè ci vuole coraggio a guardarsi per davvero, oltre il bisogno e la finzione e la lucida convinzione di quello che si è. Io amo sregolare i confini della mia identità e mi offro in pasto, come un tozzo di pane. Guardami, ti prego, fallo. Non ho bisogno di nuovi morsi ma di essere annusata lentamente, con calma e cura e di essere rassicurata, quando ho troppo freddo e le mie vene non sembrano altro che strade senza risposte. Ho passi incerti ma li affondo nella vita, sempre con sincerità, anche quando fa male, anche quando rialzarsi è più facile che restare a terra. Vicini al battito della vita, ad ascoltarne il divenire. Succede a volte, di fronte ad un dolore forte, sordo, insopportabile, mentre ti senti solo un granello di polvere, un verme al suolo. Allora ti accorgi che la terra batte. Tum, tum, tum….e batte nel soffio del vento e nel battito delle ali di una farfalla, nella linfa nelle foglie, nel tuo fiato, nelle tue ciglia, nel flusso dei pensieri, nel sangue nelle dita…
Adesso, guardami, voglio essere guardata, in tutta la nudità di cui sono capace, oltre la misura e nei meandri della mia anima.
Esiste una perversione sottile, come un filo d’erba, e che si piega, ondeggia, oscilla, sfiora l’aria, che gioca con la luce.
A volte pensi a quel filo anche nel cuore della notte, ne senti il richiamo nel buio, tra righe e ombre.
Lo ritrovi intrecciato alle tue dita e mentre ti bacia le labbra.
E adesso smetti di guardarmi.
Puoi  incominciare a pensarmi.
Come goccia di sangue di fragola riga e macchia questa solitudine. E nel solco della delusione tutto si inarca, si incava, scende, fino all’infero del mio tormento. Sono così incerti i miei passi oggi, e trema la mia anima, nel vento caldo che ora rassicura, ora graffia e poi cancella. Tutto quello che fa male ha una logica: il dolore ha la sua rassicurante precisione; solo la gioia devia ogni ostacolo ed esplode, e infrange ogni limite ed ogni barriera. Per quello è la incognita che rimescola la vita. Ho smesso di ascoltare il mondo e le sue parole, adesso ascolto solo i miei sensi. E la loro eco. Li sento espandersi e stordirmi. Fino ad infilzare la verità, quella che è mia e solo mia. Come quando scrivi con il fiato, la bocca curvata in un punto di domanda e la pelle che nasconde. Sai è la coperta di ogni segreto la pelle. A volte in alcuni punti il sangue sembra pulsare più forte, quasi per tradire quel silenzio fatto di carne e vene. Se appoggiassi le tue labbra sulle mie sentiresti ogni vibrazione della mia verità che poi è anche la mia menzogna.


Quello che capita, quello che c’è e poi non c’è. Ho abissi fragili dentro e silenzi che urtano come la mia coscienza fluida oggi. E il senso delle cose lo afferro e lo sento sui polsi, come una scia della voce delle nuvole. Io la conosco, sai? Ci parlavo da bimba e ne inseguivo le favole. Sai anche adesso ci urlo dentro tutto il tormento di cui sono capace, fino a lisciare il sangue, come se fosse un nastro. E mi capita di comprendere le cose e di non saper reagire, non sapere muovere le pupille a caccia di verità. Infilo questa inquietudine in una ombra genuflessa, e poi sento le vertebre contro il muro segnare tutta la perversione di cui sono capace. Ero innocente e sognavo il peccato e adesso sogno e risogno la verginità della innocenza perduta. La distanza è fatta di distanza e di indifferenza, e io ne conto le briciole, come una formichina affamata. Passi diversi, quelli che mi aspettano, forse aloni, sogni macchie di sogni, schizzi di desiderio. Le parole mi scivolano addosso come pioggia sporca, dopo che tu sei andato via. Ma non hai lasciato nessun vuoto, perchè non sei esistito altrimenti che nella mia anima, come il peggiore dei sogni. Non hai lasciato un vuoto, ma solo spazio…
Chi lo sa…
Quello che capitaPubblicato il"quello che…" Adesso e qui. Malinconia per quello che mai fu. O è stato? In una sua fulgida assenza? Sabbia nella tempesta. Graffia, sai? E la salsedine sulla pelle è un modo di esistere. Un modo diverso di scegliere di vivere. La senti ovunque, nelle notti sospese, quando ricordi di essere donna, e la notte ha un odore speciale. Il mare è donna, ne sono sicura, perchè accoglie, abbraccia, trattiene, si dona, sa essere tempesta, e spinge tutto dentro, a fondo. Nessuna tristezza, solo un silenzio immobile, non sa di attesa, ma lo è. Siamo fatti di attese, di istanti che si schiudano come corolle al divenire. E adesso respiro lentamente, perchè mi aiuta a ricordarmi di essere, me stessa. Più che posso. Anche quando sbaglio e vedo gli altri, come occasione di errore, con pochi margini di esattezza. E più lentamente possibile. Ed è così diversa la mia pelle ora. Sai la bellezza non è nei graffi, ma nella forza di lasciarli guardare ancora, prima che il loro solco si attenui. Là, proprio in quel punto, si adagia la vita. Le cose sono come noi le vediamo, e il cuore è una lente di ingrandimento bastarda. Vedi anche ad occhi chiusi. E adesso apri i tuoi occhi, anche se piove, il sole non ha smesso di splendere.

Non ci vuole coraggio nell’esternare, ma nel tacere, perchè quel silenzio tutto rigonfia e svuota e poi spinge verso percorsi immemori, come una foce. Qualcuno la chiama perversione, o decisione, o salto. Un salto ad occhi chiusi, per rivestirsi di brividi. Un poco come il buio. La culla vivida dei sensi, la loro fervida casa. Mi piacerebbe sentire le tue labbra sopra i miei polsi. Strisciarle oltre i confini. Non devi fermarti, non voglio. E il tuo fiato tra le ciglia. Ancora, devi continuare. Respirami ovunque. E abbracciarti, lo voglio, fino a superare la nostra pelle, la mia, la tua, lenzuola ignote, come vene di una terra straniera. Parole umide su parole umide, lente o precipitate, respirando l’assenza di ogni traccia di presente. Oggi, questa notte, mi sento donna, come una stella blasfema, indecente, distratta, quasi incerta. Una femmina nuova, rinata, da un cielo dimenticato, da un suo angolo, da un pugno di carta, da un grumo di vita, dove ha ritrovato un respiro, come se fosse una virgola, e si è spinta fino a sentire la sua carne memore, colma come un orlo, in placida e armonioso tormento, un urlo che ha squarciato ogni innocenza. Guardami ancora. Marchio il mondo con la misura e l’eccesso. Esisto, ora, oltre questa pelle, oltre i suoi segni, oltre il mio cuore. Bacia la mia bocca che sa baciare la tua. Oggi sono questi sensi che sfidano il futuro e respiro indecente voglia, tutta quella che una stella sa. E può. E desidera, desidera ancora. Fino alla fine, poi resta il buio. Non avere paura, non di me. Non di te. Neanche del buio. Io non ne ho.
Sotto un sasso, nascondo la misura estrema e segreta di me stessa.
Se dovessi parlare di me, forse non saprei da dove iniziare, perché condividere è un peso, una fatica, una responsabilità, un saltello, spesso nel vuoto, uno sfiorare di dita, il bacio dell’erba ricolma di rugiada. Ecco, già mi sono persa nelle mie fantasiose proiezioni di queste mani su questa tastiera. Descriversi fa davvero male, perché ci costringe a guardarci, ad osservarci. La nostra voce diventa altro da noi, senza abbandonarci, e ci proiettiamo in un corridoio buio, in cui non ci sono altro che le nostre emozioni più vere, quelle che restano ridotte al minimo, forse l’essenziale. Cosa poi donare agli altri che sia unico e davvero nostro? Ecco, l’attimo dopo, oltre il tunnel, tutto fa paura, come la solitudine, perché in quel passaggio, nella nostra scia, resta il nostro fiato, il nostro sangue, i nostri sogni, i nostri errori. E noi siamo un pochino più ricchi ma anche più nudi. Proprio come la luna stanotte. Quasi quasi le presto la mia coperta. Ed i miei occhi.
Ad ogni onda, un bacio. L’urto con la sabbia ed è un amplesso imperfetto. Di quelli che ti lasciano ancora i brividi addosso. Come se la pelle non fosse più la casa del piacere ma solo una terra sconosciuta. In silenzio, la voce del mare, nelle orecchie, nel respiro, nella mente. Devi farne incetta, perchè è questo la vera solitudine, quella del cuore, prima che della carne, un vuoto, non scritto. Ad ogni onda, un abbraccio. Senti scivolare dentro un senso di dolcezza, e la tua mente è la casa dei segreti. Gli altri dove sono? Forse li senti da lontano, perchè tu sei il tuo messaggio nella bottiglia che deve resistere alle tempeste, per toccare nuove terre, nuove sponde, spiagge diverse. Il sole asciuga le ciglia e riga la carne. Ma adesso è poi, sì, quell’attimo che avevi temuto e che è parte di te. E francamente non fa neanche tanta paura. Siamo vissuti in attesa di tanti “poi” da rinviare, “poi” che ci avrebbero devastati, e per alcuni è stato davvero così. Ma la vita stratifica le emozioni. E neanche le ricordi se non le cerchi, perchè l’importante è averle vissute. Sul male ci sarà altro e nuovo bene, ad ogni onda un sorriso, nuova forza e un respiro diverso.
Ad ogni onda un nuovo pensiero, la voglia di desiderare ancora, questa volta senza dimenticare.
Ho uno strano senso della verità, ed è quella che sento, nonostante le parole, e non mi sbaglio mai.
A volte mi ritrovo in un puntononpuntopuntononpunto, in una dimensione astratta, quella in cui la leggerezza è così semplice, come quando chiudi gli occhi ed il mondo diventa a pois. Piccoli aghi di assenza. Giochi con la luce, quella della mente, ed è il margine migliore che riannodarti a te stessa, sangue su sangue, mentre il mondo diventa teneramente indefinito. Il manto di stelle morde i sogni, lentamente. Li sbocconcella con dovizia e cura. E annusi l’aria macchiata dal volo di uccelli. La vita scorre oltre quel margine e ti riguarda sempre e comunque, anche se non lo sai. Una fila di formiche, come parole oltre le parole, e poi ancora. Verso la meta. Eppure in un punto esatto, preciso, dove la ferita è più morbida, ci sei solo tu, davvero tu. E nessun altro. La verità quella vilipesa e derisa era l’unica sagoma plausibile della realtà. Ora lo sai. Ma non hai voglia davvero di condividere tutto questo. Non succederà più. Lo devi a te stessa. In una brusca inversione di rotta, come un moto di orgoglio, forse un muro di vuoto.
Ma perché dai sempre la sensazione agli altri di poterti morderti sul collo, come una gatta in calore?
Dopo, inizia il conto alla rovescia, come se la tua pelle reclamasse ancora quella intimità violata.
Ogni donna è un poco stella.
La sua luce è segreta, preziosa, e brilla solo in un angolo, speciale e vero.
Aria sulla pelle ed il mondo intorno, non proprio addosso, ma nelle vicinanze, sì da poterne sentire la sua eco, qualche tentacolo a volte sfiorarti, e limitarti a cercare la bellezza, e la sua forza ed il suo respiro.
Eppure io arderei questa notte come un cerino, lasciandomi inondare gli occhi.
Piccola stella prestata dal cielo, a questo modesta dimensione, lascerei ardere la furia e lo stupore, intrecciandoli ai sensi. Una catena, un nodo, io non mi nascondo. A volte penso che si brucia per davvero un pezzo di noi, quando la passione annebbia, confonde, sparge il suo fuoco e dopo la sua cenere. Spogliarsi è quasi più facile che rivestirsi, dopo che si è sentita la luna addosso. Sì arderei questa notte, almeno come tre o quattro cerini, inseguendo fiato e umori e parole e baci proibiti, sino a sentirmi mancare un pezzo. Te lo dono signore del fuoco, per rinascere dopo.
Fiato di stella. Intreccio di anima. E poi.
Il cuore batte.
Non smette.
Le cose succedono e già non sono più. Come il battito di ali di una farfalla, io ho paura di ogni piccola variazione. Aggancio il fiato ad un tempo apparente, e conto, conto sempre, sembra quasi una preghiera a qualche strana divinità dei numeri, che si è incastrata in qualche paura e qualche tormento stinto nella mia memoria. Forse sui banchi della mia classe, quando non mi importava di scrivere dove capitava. Allora devo aver imparato che la forma svilisce sempre inderogabilmente la sostanza. Ci guardiamo, ci guardano, guardiamo, in questa vita fatta di sguardi nostri ed altrui, occhi presenti ed assenti, e segni sedimentati in fondo al cuore, più che graffi, carezze mancate. Oggi sono una cosa, la più indecente ed oscena che si possa pensare. Esiste un moralismo che permea la voglia di mostrarsi trasgressivi, da far tremare l’angolo della bocca. Per quello arcuo la bocca a forma di cuore. Io sono quel tormento rosso che si mescola alle vene, mie ed a quelle di passaggio, respirando in un amplesso rapito al corso degli eventi. Torbida, mi adagio e aspetto la riga del primo sole, perché mi sono sempre sentita a mio agio nell’ombra. Vestita solo della verità, quella che ti lasciavo scorrere tra i miei umori e le mie lacrime. Non la ricordi vero? E la saliva dei miei baci? A volte il mondo si ferma in quei momenti in cui ripenso alle tue mani sui miei polsi. Se ci pensi la vera indecenza è nel disordine tra mente, anima e corpo, davanti ad una finestra sconosciuta, quasi come questa. Ostento il timore delle cose che poi avvengono e non mi stupisco mentre lego le lacrime alle ciglia, perché le ho sentite, mordendo e baciando il vento. Ma era prima che succedessero, come una prefica in delirio. Così accadono le magie, e succedono le cose, a chi è, e sa essere, folle, appena appena, oltre la riga, capace di vagare senza paura. Come il rimmel che colava dai miei occhi insieme ai tuoi baci, alle mie ciglia sul tuo collo, al mio respiro sulla tua pelle. Là ho nascosto i miei segreti. Adesso, mi sono ricordata, come per incanto, del mio diritto di fregarmene, e di uscire dalle regole. E anche questo è un poco magico, forse un poco di più. Lo sai? Mi fa stare bene, poco poco.
Sai cosa vorrei adesso? uno stupore lieve ma tagliente, come una lama che squarcia le nuvole, e ti fa credere che un rettangolo di cielo sia solo e solo tuo. Ed è come per sempre.
Il resto è altrove, oggi prendo la vita come capita e ci inciampo con i miei tacchi incerti ma sfacciati, comunque e sempre.
Dimenticavo…ho cancellato tutti  miei nomi,
così potrai ricordarne di nuovi.
Mi piacerebbe restare così, senza nome.
Per Sara è diverso, solo chi mi ha conosciuto per davvero sa cosa sia per me, Sara.
Non smetterò mai ti baciarle i sogni smangiati dalla luna, e di curarle i graffi di un vecchio lupo.
Lei adora le mie storie e io le sue.
E resta tra le mie braccia, cuore a cuore, quando serve, e anche di più.
Perché di notte trema e la sua paura è anche la mia.
Ed anche i suoi sogni.
Mi rifugio nella mia pelle, e ne annuso l’odore. Sono davvero così familiare a me stessa? A volte mi succede di dimenticarmi all’angolo di qualche strada e poi di tornare a raccogliermi, pur sapendo che è troppo tardi. Coriandoli di donna. Respiro ed il fiato è memoria, una specie di fisarmonica del tempo.  Sul bordo mi sporgo, sapessi come è bello il delirio in alcuni istanti. Se te lo descrivessi le parole rovinerebbero quel pensiero segreto e repentino, liscio come seta e capace di tagliare. Ma io ho paura di tutto quello che è lieve e profondo nello stesso tempo, perchè lo trovo irresistibile; più del gelato alla nocciola da raccogliere a cucchiaiate dalla vaschetta in fondo al frigo. Lo facevamo nel cuore della notte io ed il mio papà, tra gerani e zanzare, sotto la luce delle stelle, nell’aria pregna dell’odore del grano. Sei nel cuore, dentro questa pelle, papà. E la mia pelle in cui mi rintano, a volte è matrigna e nemica e la sento ostile. Come se tutto fosse solo un fardello. E gli altri non esistessero per davvero. Dove sei? Il tuo caschetto biondo e le tue ginocchia sbucciate? E la mano di nonno? Mi avvolgeva come il mare, e arrivava al momento giusto, con il sorriso al profumo di borotalco. Quante vite fa? La torta e le candeline e sempre e comunque il mare. La mia infanzia è tappezzata dall’odore del mare, dalla sabbia ovunque, forse fino all’anima. Eppure è successo tutto su questa pelle che raccoglie questo cuore e non sa fargli da culla e lo spinge a fondo, più a fondo di un pozzo, in cui urlare. E non smettere. Urlo e non smetto. Lo faccio anche in silenzio. Lo sai che la musica è la casa del silenzio?
Alla fine nel tentativo di comprendere la verità mento sempre a me stessa. Ma è così difficile continuare a ricercarsi, mentre si vorrebbe solo dimenticare. Il senso e lo scopo. E forse è lo stesso. O nella stessa direzione, come frecce indegne si spingono, tra le vene, a caccia di futuro, o solo di un attimo sincero di gioia.
Tutto in frammento di pelle.
Forse era già all'improvviso. Come se ci fosse uno stupore nello stupore. Io così, in questi frammenti, resto immobile, e sento la corrente che risale e taglia. La mia pelle è fragile e i segni sono i ricami della mia anima. Se ancora ci metti le dita soprano, sulla ferita, sentiment che il sangue ci scorre vicino e ha la voce di una innocenza perduta. Hai mai sentito dentro un fiume nero? Si mescola al respiro e respiri inquietudine. Tutta quella di cui sei capace e che vorresti per un attimo soffiare lontano, come il vento fa con le nuvole, prima di rovistarci dentro i segreti più difficili da confessare. Le cose mi turbano e non le compressor,  ma più mi turbano e più mi affascinano, come se affacciarsi sul bordo del precipitous dia il senso alla serenità residua che riusciamo a racimolare, che grattiamo dal fondo del barile. Piccola ladra di emozioni e di fantasmi indaco, adesso apri gli occhi e immergili fermi nel buio. Succo di fragola che riga il mento, fino al petto. E segna il percorso verso l'inferno della mia anima. Oltre la comprensione c'è solo la trasgressione vera e pura ed innocente. Se adesso mi bendassi potrei raccontarti tutto l'orrore della mia indecenza e la mia favola di buio e di luce. Di passi incerti e della libertà, oltre il limite, al di là delle nubi, che forse sono le viscere di un cielo inverso.
Nella mia tasca un sasso e un pugno di respiri.
Ne vuoi uno?
Ed è così difficile, perché il mare smangia i passi sulla sabbia. Una volta in un posto, tante vite fa, ad ogni nuovo passo tutto si illuminava, mentre il mare rotolava le conchiglie sulla spiaggia, forse le riempiva di baci, forse le feriva, o forse è lo stesso. Alcune sensazioni riescono a farti sentire magici, piccoli maghi del quotidiano che barattano respiri con sensazioni. Forse, una parola, mille, mille aghi di pini che vanno incontro alla notte e riempiono l'aria del loro profumo caldo ma sincero. Da piccola disegnavo con il fiato sul vetro e ci scrivevo, dentro quegli aloni precari, prima che scomparissero. Le dita scivolavano sui sogni, come se fossero carezze, forse sospiri. Un morso sulla guancia dischiuse ogni remora all'essere donna e sbagliata, a dispetto delle lacrime calde e della sensazione dell'errore. Oggi una amica mi ha dichiarato che ha diritto di essere felice, e che pretende questo rettangolo di vita nel modo migliore possibile. E la guardavo, la rivedevo fanciulla piena di sogni, di amore traboccante,  e di emozione. Quanto rende ridicoli l'amore, così fragili, così teneri, così pronti al morso, a baci proibiti, a segni sulla pelle ancora incerta, fino a lasciare un solco tra brivido e brivido. La mia amica aveva il cuore pieno di progetti e le ho sorriso dentro, senza la forma di cui non sono più capace. Quella donna era la mia compagna di banco e adesso ha il suo cuore, e la sua vita, una vita nuova, in mano, piena di coraggio. Ed è una sensazione bellissima, quella di poter essere tutta in un posto, forse. Io sono destinata ad essere frammenti, uno, più, schegge di donna. La lama sulle vene ed i miei sogni sono in un bosco. Sono sull'orlo e contemplo e assaporo la sagoma della comprensione. Di tutto, anche dei limiti e della voglia di sminuzzarli.
Sotto ad un sasso una promessa e la mia bocca a mordere questa notte.
Ancora.
Se non è ego smodato questo, cosa lo è allora?
La profferta dell'anima è più indecente di quella della carne.
Nulla mi turba ormai, e se parlo lo faccio con la mia ferita interiore, come se la magia fosse sentirci sopra una carezza, fosse anche la più oscena possibile.
Vieni con me nel bosco?

Una piccola confidenza, come un semino freddo nella terra calda. Gli fa da culla e lo circonda. Ed è il mio segreto. La speranza di un ciuffo selvaggio di felicità. Margherite alla deriva ed un volo di fenicotteri. Sapessi come macchiano. “Fermati“. Una spada sulla gola. La lama del tormento, e non sai spiegare. A volte la luce ferisce, chi è figlio del buio e altro non sa essere. E le parole. Troppe. Addosso. Dentro. Fuori. A volte sono inutili. Penetrano più di un amplesso. E non taccio. Per dimenticare. Quel buio che ho provato e che vorrei allontanare per sempre. E ancora la lama dal mento in giù, e una goccia di sangue. Vorrei baciassi le mie lacrime. La mente violata si spalanca più feroce e calda delle gambe. La lama ancora disegna tormento con la sua punta e con il sangue e taglia, morde petali e ne fa coriandoli di donna. Una riga per segnare la traccia e la scia di quel dolore caldo che scorga e zampilla, senza dignità. Oggi non esisto. Non ora. Non più. Il semino giace e si slarga, fecondo e prepotente. Non tradirlo quel barlume inerme di intimità, tra sdegno e noccioli. Solo la superficialità può. “No, non esisti“. Ti sei disegnata troppo nitida. “Sfumati, come una alba malconcia e stinta. “.  Mai più colori veri. Dopo non ci sarai. Non devi. Adesso è dopo. O forse mai. O prima. Non puoi vestirti di tempo, perché il tempo rende nudi e scava. Dopo non ci sarai, perché è ieri, nell’istante del fremito. Dovevi mozzarlo ma non hai saputo. Il semino è un albero e tu non sei più la riga di sangue. E la ferita è solo deriva e non sa più essere sponda. Parole, senza senso. Precipito. Urlo, oggi il mio nome si frantuma. E non è un petalo. Neanche un sasso. Fiato, e urlo ancora. Io sono aria rubata.
Rubata ad un sogno, il mio.
Adesso lo so, non so più piovere.

mercoledì 7 giugno 2017

ancora nel blue hole


ancora nel blue hole…La mia verità- dici spesso – sembra il riflesso deforme nello specchio. Nei miei occhi l’urlo di foglie sconosciute, la loro eco spenta che si ribalta e mi genuflette. Ho un taglio che diventa deriva.
Scavami,
sino a raccogliere ogni brivido,
come se fossi un campo dimenticato.
Stanotte la luna sembra così vicina, come se fosse un oblò su un mondo segreto. Nel mio groviglio, a volte la paura si mescola, più fitta e densa, alla delusione, al timore di non sapere e non potere. E io non so più tremare.  Nel profondo, respiro fragile, e non ricordo. Eppure vorrei. Niente resta incastrato a niente. Il vento ha una voce potente, ed una forza disperata, sembra una corda, ruvida, verso percorsi ignoti. Come se ci fossero vene capaci di essere fiumi.
In fondo al pozzo pulsano quelle vene.
Battono ancora?
La pelle è una mappa. I tuoi occhi come sigillo della mia indecenza, tutta quella di cui sono capace e che mi fagocita. Sono un nastro rosso che prende forma e si piega con il delirio. Hai smesso di scavarmi?
Una goccia, sulla schiena, segna il percorso. Sono inversamente innocente. Ed ho imparato ad ignorare. Con molto dolore. Ascolto solo i miei sensi. Una lama, incerta, ma vorace.
Sul mento.
Puoi baciami.
Ma salvami la bocca, ti prego.
Prima che sia dannata.
A volte penso a tutto quello che è scorso, ai segni, dentro e fuori di me.
Ed è vero, scorgo il delirio e lo afferro, ma solo per un attimo, come se il corpo, alla fine, fosse capace di vincere sulla mente e di scegliere, sapientemente, anche per il cuore. E rifugiarsi ancora in una tasca di vita.
A volte ti ho urlato che ti volevo, nonostante te, me, nonostante tutto. Ma non volevo te, adesso o sempre, o in mai possibile, volevo te in quelľistante esatto, morbido e mio, fragile e vero.
Forse si, lo ammetto, mangio troppa cioccolata.

sabato 15 aprile 2017

Cancello ogni traccia di tristezza, e sorrido al nuovo giorno. La mia convinzione del bene spesso mi lascia nuda ed indifesa, e spingo al massimo, accellero, fino a provare la velocità e la forza della distruzione.  Non c'è dolore. Solo lucidità. Come quando non riesci a non guardare le stelle. E provi a contarle. E conti, conti, conti. E parli, parli, parli. E non capisci perché gli altri non sappiano vederti, ma si limitino sempre e solo a vedere la loro importanza ed i loro effetti in te, come se fossi il riflesso in uno specchio in cui tu hai perso gli occhi. Stanotte ho cullato Sara, e le ho baciato le lacrime. Nessuno può sapere cosa possa succederle in alcuni momenti. Perché lei sente e sa. Come se i corsi e ricorsi storici abbiano segnato le sue vene, arpa di tormento infetto. Alcuni percorsi sono dei graffi. E riconosce ogni vibrazione, ogni soffio, ogni sospiro, ogni inflessione di voce. Sara dormiva serena e le ho baciato le ciglia, la fronte, il mento. Il suo respiro si intrecciava alla notte e mi sono sentita una, dopo tanto. Le pagine di un libro per contenermi dentro una storia, quasi ad abbracciarmi. L'odore caldo della terra dalla finestra. E la luna da un rettangolo. Altri hanno già provato tutto questo. E mi ritrovo una, una ed una sola, solo quando so riconoscere di essere tante, diverse, confuse. Non ho mai chiesto nulla che non fosse autenticità, oltre questa pelle e le sue cicatrici. Mordo le labbra, per non dimenticare. E ringrazio chi c'è e ci sarà. E chi non c'è più. Siamo la somma di tutte le impronte che l'anima ha raccolto.
Sara, dorme ancora, e io le bacio piano piano i sogni.
Nessuno le farà ancora del male.
Ormai non può più.
17424935_1274738982613167_5015932948989670681_n
Io sono la unica terra che mi appartiene.

Dialoghi impossibili

Il cappello dell'assurdo è cosparso di gelsomini. E di notte sanguinano. Un punto, due. Ed il loro cuore mi trema in mano, prima dell'alba. Adesso vorrei dirtelo, perché non mi senti. E perché so che dire la verità mi priva di ogni fascino. Essere sincera spoglia nel modo peggiore possibile. Ma non pensare che il mio rammarico sia un tuo merito. Perché esso, sin da ora, è il mio trofeo. Di giorni madidi di silenzio e spenti, vinti all'abitudine. Con poco sangue e grandi respiri. E poi ho capito che quando dai tanto, gli altri vedono solo il peggio di te, perché capita che nel donarsi, con tanta foga, troppa - alcuni la chiamano voglia di amare, altri bisogno- il brutto sporca, ingolfa, spezza, inevitabilmente. Oscura e riempie di distanza. E quella aurora mangia al cielo luce e lo screzia di un arancio beffardo. Non voglio che tu capisca, neanche che tu legga, neppure che tu sappia. Io sono livida di segreti. E mi abbraccio, come un bocciolo inverso, che non sa più esplodere. Domani, sarò ancora donna. E mi dipingerò la bocca di fragola.
Adesso sono una mollica in attesa del morso.
Non voglio essere diversa.
Non voglio essere altro da me.
Non voglio nuovi occhi.
Solo un sguardo pieno che mi contenga.
E poi sognare.
Ogni volta il terrore dell'abbandono.
"Ma nessuno ti sta abbandonando, nessuno può.
Sei tu che non sai più tornare da te stessa".
Rimbomba, per la forza dell'urto.
Incastrato fino all'ultima vertebra.
Come quel pensiero che maledici.

velo rosso - velo blue


Io guardo la scia, e dimentico la lancia, il punto di impatto, dove si buca l’orizzonte e si squarcia l’innocenza. Il senso del male che si insinua nel bene. O viceversa. Sento, non sento, e poi sento. E raccolgo. E poi è troppo, pesa, ottunde, cela, disvela. Ho sette semi di tenerezza sul palmo ed uno di delirio. Ed un ramo di intrigo, qui sui polsi. La casa della mia seduzione. Ancora passi in tasca. Ed un frammento sulla labbra. Se mi baciassi saprei ferirti, e poi segnarmi la fronte con il tuo lieve dolore, incrociandolo con il mio. Cosa se sarà di me? Ci penserò domani, perché la gonna è ancora rossa e sfacciata e mi fascia la carne ed il delirio, mentre ondeggio ed impregno la via della mia idea di peccato. Credimi è meravigliosa. Un altro passo e sarò migliore. Ma forse mento. Chi sa dirlo? Adesso ho solo bisogno dell’aria calda della notte e della luce buona della luna.
Poi si vedrà.
Vorrei affondare e conoscere a fondo la mia mente.
Percorso mai interrotto.
Ma tra i viaggi che preferisco c’è il sogno

domenica 2 aprile 2017

Senza cornice.
Senza labbra.
Senza cuore.
Senza occhi.
Senza verità.
Senza voce.
Sento ancora.
E mi volto.
Passi sbagliati, passi alla rinfusa, passi senza senso.
Senza direzione.
Gli occhi senza direzione mentono sempre.
La verità ferisce perché è fatta di sangue.
E di desiderio.
E di voglia di nuvole.
E fiabe.
E si torna sempre da dove si è venuti.
Noi stessi, il luogo più vero che conosciamo.
La identità è l’involucro, vero, reale, innegabile, di ogni sogno.
In questo dolore piccola Sara, c’è quell’amore che ti sei negata, lo hai fatto tu scientemente. Con dovizia e con la crudeltà che tanto ti attrae e che poi ti spaventa. Ti è bastato chiudere gli occhi e capire. All’improviso. Ma a volte si ha il bisogno di andare a fondo, oltre, dentro. Nella ferita. Ed è un gioco che confonde il piacere con il dolore. Ed è bastato capire che quella porta era chiusa, per sentire come possa tagliare la luce, quando manca. E quando manca la sincerità. La diamo sempre per scontata. Ci sono lacrime che sono perle di una collana spezzata. Sara, il  tuo sentirti diversa e lontana dagli altri,e poi sbagliata, è quella collana rotta, tanto tempo fa. Nella tua carne violata. E non ne legherà i lembi, sperduti e logorati ormai, nessuna  illusione di un abbraccio in cui sentirti finalmente te stessa. Ma tu sai, perché senti, anche se vorresti legarti l’anima come un fazzoletto. La tua anima ha una pelle sottile. Si contrae ad ogni tocco. Ogni respiro sbagliato ne amplifica le vibrazioni. E ti lascia percepire la mancanza di cura per i petali della tua intimità. Volevi solo una favola, raccontata fino alla fine, senza che fosse sbattuto il libro per terra, prima dell’ultima parola. E poi poterti addormentare serena. Ma  il lupo mangia i fiori, quando morde le tue paure, conosciute e teneramente confessate. Ed è quella la intimità più pura. Il resto non esiste, né esisteva. Adesso hai parole solo per te stessa. In fondo al mare. Nessuna finzione. Non più.
Non lo sapevi ma a volte esiste un mare senza un  blu purissimo, forte ed intenso. Senza coralli e senza la traccia dei pesci. In quel mare non scintillano i sogni. Affondano le paure più cupe. E chi ha coraggio lo chiama tormento e lo guarda dritto negli occhi. Occhi vuoti, riempiti di terrori mai confessati, in cui la pupilla vaga come una foglia. Chi ha il coraggio provi a chiuderli, come una tenda sul palcoscenico. Nessun trucco e nessun inganno.
Sara, ricordalo, il mare non può mai essere vuoto.
Il mare è la casa dei desideri.
Dove si agitano bottiglie piene di messaggi verso destinatari sconosciuti.
Sospiri verso l’ignoto.
Il mare è il cielo dei pesci, la loro culla, la coperta morbida e sapida della loro vita.
Ed è il custode di fili segreti.
Magari senza ami.
Destinati a non smettere di agitarsi.
(Nell’amore negato alla figlia che non avrò mai forse ritroverò l’amore per me stessa. Magari, un giorno).

giovedì 30 marzo 2017

E io ne sentivo i morsi.
Ancora li sento.
La mia diversità è solo un riflesso di tutta la paura che provo.
Del non sapere più dare.
Non ero come le altre.
Quanto avrei voluto.
Ero ridicola e sporca, vestita di illusioni.
Tutti parlano di colori, di vita, di primavera, di vecchi e di nuovi amori, che poi è lo stesso. E io resto immobile, come un mostro, con poco sangue nelle vene, spesso sbagliato, a caccia di un poco di calore che illumini i brandelli della mia anima. Come se fossi una virgola travolta da un fiume di parole. Voglio silenzio e cose vere. Nulla è più vero del silenzio. Perché quello profondo ed intimo buca l’orrore del vuoto. Il resto del mondo lo sento fuori dalla mia bolla. E afferro i miei sogni come una lama tagliente e li strofino sulle vene, sui polsi, fino a tremare. Questa solitudine fa male, ma è indispensabile. Poi morirò e nascerò ancora. Spero migliore. O solo nuova. Perché non so smettere di piovere, di vivere, di sognare, di desiderare, con tutta me stessa. Come una donna sa. Eppure vorrei, schiacciare questi stupidi battiti, uno per uno. E farne una collana da deporre ai piedi della luna.
Ma adesso è tardi.
Ci penserò domani.

sabato 25 marzo 2017

Su quale sponda potrò osservare le foglie che vanno verso il mare?
In alcuni luoghi lasci pezzi di te, come se fossero ami. E a volte riaffiorano e bucano la carne. Altre neanche ti sfiorano. Li senti bucarti, farsi strada tra le vene, ma tutto è differente. Non ti riguarda. E quei posti hanno, per caso, o per fortuna, o solo perché è tempo che sia così, smesso di parlarti, di comunicarti, di ricongiungerti ad una parte di te che credevi non dovesse mai scomparire, ma che invece ha fatto posto ad altro. La vita spinge e se ne frega. E corre, anche quando sembra lenta.
Non finisce, anche quando sembra troppa, o troppo poca.
Mi piace sorridere a chi è andato via, con la corrente.
In fondo resta solo chi c’è sempre stato.
Ed è banale come tutte le verità.
Ma è bello vedere che le cose vere e profonde lasciano dei meravigliosi segni, dei legami in quella che chiamiamo l’anima. E che forse, se è possibile, è molto di più. Succede quando le parole sono così piene da grondare emozioni.
(A due anime amiche che mi hanno fatto piangere di gioia e di malinconia perché ho guardato i loro occhi e come i loro occhi non riuscivano a smettere di volersi bene)

mercoledì 15 marzo 2017

Lontana, afferro la metà di me stessa e la scia di pupille piene come specchi, colme di emozioni; palpitano e si dileguano, come lucciole nella notte. Una volta ho calpestato una sabbia che si illuminava ad ogni passo, prima che arrivasse l'onda. Contemplo la gentilezza, che per caso sfiora gli attimi, e mi stupisce e poi che dà un senso occasionale, morbido e lieve, alla vita. Questo mi fa sorridere, come con il sole tra le ciglia. E penso che sia facile giudicare gli altri dalle apparenze, anche quelle grossolane e maldestre; troppo, e quasi inutile. E ancora preoccuparsi della propria idea, tremula, negli occhi degli altri; con la voglia di incastrarla ad un istante immobile. Esistere per potersi contemplare. Conta il sorso di felicità che la vita offre, a calici improvvisi e provvidi. - Sei mai stata felice Sara?- Mi capita spesso di incastrare a pezzi di soffitti il mio pensare peregrino e solitario, anch'esso quasi inutile, se io non fossi nei miei pensieri e nella mia mente. Prima di piegarmi sul fianco e di abbracciare la notte. Appena riaffiora, lieve come una carezza e con gelida come una lama, sul mento, sul collo, sul petto. Tanti hanno parlato prima di me della memoria corrotta delle stanze degli alberghi. Di cubi sconosciuti che generano un labile senso di appartenenza che poi svanisce e si dissolve al primo sole. Depositano bagagli di vite, di sogni, gemiti e progetti, paure e ansie, fugaci ed ostinati, tra lenzuola e ruote che strisciano,  su corridoi, immemori, come tunnel. Fino al nuovo giorno che porta la realtà e la rilancia come un dardo nelle esistenze e queste ineluttabilmente si schiudono al nuovo giorno, come fiori a primavera, o come lampi nello stomaco.
Immobile, adesso, riavvolgo il fiato, per poi lasciarlo scorrere come il filo di un aquilone, nella luce che verrà.
E mi prendo tutto il tempo che serve per un istante di felicità.
All'improvviso, come succede per i temporali estivi, sento ancora brividi ed un freddo inspiegato. Un gatto nella notte, lontano, o forse non tanto, non troppo. Dalla finestra, un rettangolo di cielo, è quasi giorno. Il mattino ammorbidisce ogni malinconia, con l'odore del giorno che arriva ed i suoi rumori, che nascondono i miei battiti. Non voglio provare nulla di negativo e appena riaffiora respiro, forte e bene, fino a sentirmi scorrere. Tra poco mi alzerò e non voglio perdermi neanche un attimo di questa vita. Sono giorni strani che segnano un cambiamento, e il distacco da una me che non mi piace più. Solo che ogni decisione, nella anime confuse come la mia, è precaria, fragile, come velina, e trema e il mio fiato con lei. La luce riga le lenzuola e mi bagna le dita. Troppi pensieri, troppo di tutto. Si dimentica solo quando si smette di ricordare di dover dimenticare. All'improvviso sei davvero diversa e quello che ti faceva paura, quella maledetta paura del distacco e dell'abbandono ti sembra naturale come respirare. E giù fino alle viscere per raggiungermi e non abbandonarmi. E sentire la mia carne ed il mio sangue. Ed oltre. Forse così tutto diventa leggero. Perché la leggerezza vera è saper rinunciare a se stessi e non prendersi sempre troppo sul serio. E vivere senza preoccuparsi delle conseguenze, soffrendo, e sentendo sempre. Solo quando non si sente tutto diventa pesante, perché là ristagna la assenza di coraggio. Lo dico a me stessa, e mi assento.
E se io mi amassi un poco di più?
Sarebbe un modo speciale per smettere di essere
così assurdamente egoista.
L'amore ha dita libere,
come ali.
E poi sarebbe così facile se non fosse difficile. Il posto degli altri spesso è la loro assenza. Una mollica o un pugno di vuoto. Un respiro segreto. Una goccia o l'incrocio di due sguardi. Di chi è passato e adesso non c'è. Non so se esserci è sinonimo di bene. Spesso io resto e sbaglio. Perché sono smodata, irregolare, incasinata e fermamente convinta che il bene abbia una sua logica che sottende le altre, tutte le altre, e che spesso è ostica ed incomprensibile. Come una spina tra le vene. Il rosso è un frammento di quella memoria. Un grumo, una cicatrice, un segno. Come se il dolore fosse irrinunciabile, comunque. E forse agli altri del tuo bene non importa nulla, neanche ti vedono per davvero, pallida come una ombra, smangiata come un vecchio orlo. Sei solo una parola masticata e deliziosamente risucchiata dal vortice del tempo che fu. Forse. La malinconia prenderà il posto della tristezza. Tempo, perché il tempo guarisce. Anche se non c'è tempo? E le mie dita sentiranno solo polvere e non graffierà più. Gli altri restano se vogliono. Sono stanca di tenere, di spiegare, di ripulire ogni traccia, ogni contorno, e stemperare ogni sfumatura. E forse tutta questa solitudine è la sola cosa di cui ho bisogno. Una riga umida prima, ed il mio mascara nero, dopo. Veloce sulla guancia. Nel confine tra gli sguardi esatti. Quasi una virgola tra le ciglia, e tra i pensieri. Devi chiudere gli occhi Sara. Stanotte non piove. Ho accesso un sacco di stelle e le ho scaraventate nel buio. Senti la loro buona e tenue carezza e non aver paura del silenzio. Spesso è pieno della eco del passato. E tu Sara devi infilare passi nuovi nella vita. E lasciare andare via gli altri. Perché sarai esistita per loro solo quando sarai lontana come un ricordo, come la linea di un tramonto che si accartoccia e arde. Uno spettacolo indecoroso ma ricco di meraviglia.
Ho baciato questa stella. Ha le impronte delle mie labbra. Le ritroverai là. Nel tempo. Nel tempo di poi. Stelle e baci, strani ed apocrifi. Capaci di illuminare un pochino il buio. Come un sorriso. Ma per poco. E capaci di fare strada, quando tutto sembrerà insopportabile.Come ora. Come una parola speciale.
Quella che le anime sincere non si possono e devono negare.
La mia parola speciale la ho strofinata a quella stella.
Fino a farmi sanguinare il labbro inferiore.
Adesso è l'attimo dopo.
Devo andare.
Non chiedermi il perché...
Ti ho già detto tutto mille volte nei miei sogni.
Sogni urlati contro pareti e soffitti sconosciuti, dove ho disegnato la mia identità e il mio delirio.
E forse è lo stesso.
Tutto quello di cui sono capace.
E adesso slegami.
Devo andare.

Nella stanza di lei

Pochi segreti, alcuni speciali. Parete indaco e soffitto luna notte. Lei è gelosa della sua intimità, piccola gobba di un cammello. E nella cruna dell'ago, un filo, un altro pezzetto. E ricuce la vita, distratta e malinconica, ora. E a volte impudica mentre ride, ride, e sorride. La bellezza resta bellezza, comunque e sempre.  E quella fragile intimità la srotola dal nastro di tulle che ripone, con cura, al riparo da occhi indiscreti, sotto il materasso. Pochi respiri intatti, alcuni rotti dalla paura, una delle sue, improvvise come un tuffo, di quelle che inaspettatamente strofinano il soffitto, nelle sue notti. Già le sue notti, nella sua stanza segreta. Lei dorme su quei sussurri e su quei bisbigli adagia la schiena, fino a sentire i baci del destino sulle sue vertebre. Fino alla nuca. Prima di piegare il capo sui sogni,e ribaltarsi. E tiene a fondo, a ridosso delle vene e del respiro, tutto quello che conta, per portarci soffiare quando capita. Un urlo, per potersi ricordare di lei, oltre la misura di ogni assenza. Lei graffia, come una gatta impaurita. Perché la vita, quella di lei, le ha insegnato a fidarsi poco e male, molto male. La stanza, quella stanza ha una chiave sola, minuscola e nera. Ed i minuti si addossano ai minuti, senza mescolarsi. Come piccoli soldatini di uno squadrone. Ognuno ha la sua misura, anche se inesatta. Qualcuno potrebbe ricordare un istante durato una notte. E dei giorni più celeri di altri. Ed altri terribilmente lenti, e gonfi di solitudine.
La stanza di lei...
si macchia di passi ignoti.
Senza direzione.
Lei sa.
Sente.
Prima.
Sente sempre, anche quando non vuole ammetterlo.
Ma non si ferma e si imbratta di quei passi.
Perché sanno di vita.
E lei ne ha una fame, incredibile.
In quel delirio c'è proprio lei, che scorre senza limiti.
Feroce come un fiume che vuole solo la sua foce.
Il resto non conta.
Non più.
Ora non è più adesso.
Almeno non quello.

*

Sembrano lontani i tempi in cui eccedevo.
Adesso centellino e rifletto.
E accarezzo le nuvole.
– Che noia
So che lo avete pensato.
Ho scoperto che le persone a cui ho tenuto di più hanno sempre detestato le cose che scrivo. Forse all’inizio mi hanno fatto complimenti, ignorando che fossi più complicata delle mie parole, se è possibile.
Adesso scrivo poco e ancora peggio.
Dovrei iniziare a fare la 0 con il bicchiere.
Magari imparo.
Mi infilo in un tunnel. A ciglia strette. Mi trema l’anima. Ed i polsi. L’uomo dei miei sogni avrebbe dovuto ricoprirli di baci. Ma l’uomo dei sogni è resta nei sogni, incastrato ai lori stracci. Nella rete di una dimensione che non si fa toccare.
Tutto sarebbe semplice, se riuscissi a dimenticarmi di me.
Dimenticherei anche il resto.
Forse mi mancherei, persino.
A volte ci sono frasi che feriscono più di un pugno nella pancia.
Sicuramente ne ho dette anche io.
Ma adesso so quanto fanno male.
Al cuore.
– che noia

lunedì 6 marzo 2017

*

Luna annegata nel cielo.
Luna soffocata e persa.
Il cielo l’ha inghiottita.
E nascosta.
Mi vesto da spigolo.
Mi piego per sentire.
E raccogliere vento.
Come una coppa.
Io rubo tempo al tempo.
E me lo infilo nelle vene.
E di passato cospargo gli angoli della bocca.
Umetto il suo contorno.
Fino a chiamarlo desiderio.
Prima di rinnegarlo.
Amputando le mie labbra.
Luna che pulsa.
Altrove.
Il cielo l’ha sputata.
La notte è un sipario.
E il giorno è il sipario della notte.
Tenda su tenda.
In attesa dello spettacolo.
Nulla copre più della luce.
Gioco con un raggio di sole.
Copre ogni tristezza.
Ci spalma sopra un velo.
E scorre sulle mie cicatrici.
Oltre ogni probabile possibilità.
Ma non cancella.
E diventai femmina.
E mi bagnai di innocenza.
Intrecciai lacrime alla terra.
Come rami e radici.
Quanta poca dignità c’è nella tristezza.
E nel suo urlo.
Come se vivere fosse un dovere.
E la vita non fosse un delirio continuo di sangue e carne.
Non smesso di trattenere.
E indegnamente scorro.
Come una diga.
Conto i miei passi sull’asfalto. E i miei tacchi bucano pozze di luce. Infilzano nuvole. Mi fanno compagnia rumori e stelle. Forse sono parole. L’aria è crudele. Striscia sulla pelle ricordi. E la luna è una immensa tasca. Ma sorride. Se avessi la possibilità cambierei pelle. Con corteccia. O forse con petali silenti. Lisci e bugiardi. Sola. Sola come la notte che si stinge nel giorno. E mi resta ancora tra le dita. Sola come il giorno che si tuffa nella notte. L’aria assedia le caviglie. E restare in equilibrio è più difficile. Sei prigioniera dell’istante. Era maggio. E già non c’era più. Era maggio. E poi tornò. L’amore. Odore di bucato sul collo. E baci morbidi. Fatti di lingue timide. Tornò. E io non c’ero. Mi illudevo. E costruivo castelli sulla riva. Inespugnabili. Ma sempre troppo vicini. L’onda arrivava. Sempre. E la sua schiuma trasformava tutto. In una grande pozza. Non voglio più spiegare le cose. A chi le conosce. Saremmo in due a perder tempo. E questo è un mio privilegio. Non lo baratterei con nulla al mondo. Neanche con l’anima. Se la avessi.
Oggi c’è un foro al centro dei miei pensieri.
Tutto si insinua e scorre.
E non trattengo.
Preferisco astenermi.
Non mi era mai resa conto di quanta carne c’è nei pensieri.
Più che altrove.

venerdì 17 febbraio 2017

L'attimo dopo è sempre il più difficile. La bolla si apre ed il mondo torna dalla sua coltre, precipita avvolto da una patina grigia. Ci strofini il dito contro e non sai se sei oltre o ancora dentro. Ed il dentro e fuori sono così vicini ma poi tanto lontani. Come il soffio delle favole, la loro eco lontana e magica, che avevano la voce di tua nonna, ed il suo profumo. Mescolato a quello del bucato. Ed è così. Come se ci fosse una crepa a fare incetta di polvere, sassi e silenzi, la scia di ogni tempo. Perché  solo se fai spazio riesci a sentire la nuova voglia di pieno.  Strati e maree, a volte un pizzico di delusione. Gli altri non cambiano, cambiamo noi. E sai che solo nella differenza tra i sogni e la voglia di bellezza si incastra la realtà; trova il suo spazio naturale. Fosse solo il tempo di un respiro. La vita a volte ti restituisce gli occhi. Lo fa per abitudine, per necessità, per istinto. E per la voglia di sopravvivere li piazzi al centro di te. E tu hai i tuoi occhi vecchi tra le dita, e li osservi per capire cosa fartene delle nuove sfumature del mondo che ci trovi dentro. Sospese, come una ampolla che ti dà la morte, a tratti, per vivere ancora. Appese come il gelsomino al muro, a riempire le notti di tanto tempo fa di ingenuità e di stupore. Prima che i mostri ti divorassero i sogni. Morso per morso. E i topolini trovassero la tana.  Annusi i tuoi polsi. E sogni dei baci capaci di renderli immemori e ancora candidi. E poi comprendi che solo al limite, immersa in una placenta comoda e primordiale, ti puoi davvero sentire. E tu sei il tuo sangue. Sangue di donna strana, una per caso, in cui il fiato del mondo ti ha incastrato. E sentire con i sensi è un modo per riappropriarsi del proprio destino, e placare la fame di bene che dentro scorre, fino a diventare fame di male. Il resto ti lascia indifferente ormai, come se vivere fosse sopravvivere. Non hai paura delle ombre ma di restarne sembra. Perché coprono quando il freddo sembra insopportabile.
Le dita sulla tastiera e un filo rosso che scorre ancora, senza nessuna voglia di essere riavvolto. Non esisto se non nella misura in cui sento.
Esplode all'improvviso e non sei altro che il suo rigurgito. Non è un dilemma, è un nodo.  "Gioca con il mio fiato, Tu puoi".  Le dita ed il respiro, dentro la mente, inzuppate di tenero delirio, fino a diventare furia veloce. Rigano la vita in gran segreto.  "Vento tu sai, e a volte accarezzi, ed a volte frusti". Entrambi segni del caso. Respiro rosso e vorrei spiegarti il mio segreto intimo. Io sono un puntolino di anima. E le tue mani sul mio collo insieme ai tuoi baci. Io sono aria. Aria, carne e sogni. "Distruggili, per ricrearne nuovi". Insieme. Parola dopo parola, bacio dopo bacio, ad ogni sospiro. Perché deve esserci un nuovo modo di comunicare che non sia strofinarsi addosso il tormento e l'indifferenza.
E adesso toglimi la benda perché quello che voglio è guardare i tuoi occhi.
Tanto tempo fa....ma non troppo....
 
Io vorrei, non vorrei ma se vuoi…
Strano, come la neve d’estate, questo mio desiderio di te. E mi buca la pelle e mi lecca la mente. Zampilla un pensiero e poi si placa sulla pelle. Una piccola cicatrice, due lembi che si sfiorano, un piccolo fiume di inquietudine. Le mie labbra a suggerti verità, e nessuna promessa, non questa volta. E nascondo le parole, come semi nella terra, e liscio la corolla dei fiori, dopo averla masticata, insieme alla mia insicurezza ed alle mie unghie; perché io non ho smesso di essere sbagliata e forse non ci riuscirò mai. Un sorso ed i tuoi occhi. Un altro ed i miei fantasmi, tra passi incerti, e tuffi dentro, dentro, dentro. Mi batte il cuore. Lo senti? La paura della donna che mi abita e delle sue fantasie, dei suoi slanci umidi e dei suoi sogni bislacchi, in equilibrio instabile. La caviglia reclama la sua dignità e io la slego. A volte stringe e segna come una corda lurida. E mi lascia teneramente imperfetta, nella luce. Su di te, come non so fare, senza sentirmi inadeguata, come una pioggia sporca. E io ti spiego il mio buio, quello che mi divora e che cosparge le mie notti. Se mi guardassi lo troveresti in fondo ai miei occhi. Ma non cercarlo, perché frantumerebbe questo attimo perfetto. Perché solo nel buio le mie forme si stagliano con nuovo e vigoroso coraggio. Goccia, dopo goccia, perché non so smettere di farti scorrere dal margine di me, tra le dita, sotto la pelle, e poi ancora più sotto.  Dove sei adesso? E quella storia? E le sue parole? Una favola senza eroi, solo sangue e fiato, tra lenzuola sconosciute, a fasciare tutta la paura con cui ti ho abbracciato e strofinato, più baci possibili, sulla tua pelle.
Bendami, perché mi fido di te.
Voglio sentire più che posso.
E attendo le tue parole, non per capire, perché io so, ho sempre saputo, ma solo perché a volte restare nuda può far davvero male.
Ed io ho un maledettissimo freddo.
Fino alle ossa.
Con quella benda sugli occhi, lo so, io posso essere libera.
Non ho colori che non siano un segreto. Credo nella sorprendente bellezza di un diverso modo di comunicare. Unconventional moods. Capaci di stupire. Sangue nelle vene. Il rosso di Sara è una fragola strisciata sulla pelle. Ognuno cerca una emozione, forse sensazioni nuove. E la innocenza segna il margine tra la bellezza e l'abitudine. Al limite sensibile tra anima e carne. I sensi mediano ed amplificano. Ma nulla è scontato, e niente ha delle regole. La libertà è nel respirare il mondo e sé stessi, e poi pensare, lasciare libero e fluido il sentire esattamente come se si stesse respirando.  A volte il vuoto si impadronisce di noi, e forse è bello solo lasciarlo fluire. Lentamente. Perché nel tentare furiosamente di liberarsene si incamera altra acqua nella stiva, fino alla deriva. Poco equilibrio vuol dire anche poca follia. Il rosso di P. vuole dire una lama nella carne. Ed un pensiero come sigillo. A coprire i suoi segni. E poi passi, tanti, confusi, distratti, e luoghi, nuovi o gli stessi, con occhi diversi. Strisciare il mondo. Il rosso di Emma sono le sue scarpe. La sua calza smagliata e la voglia di sbagliare ancora. Per sentirsi viva. E poi c'è Noa. Le porte della notte spalancate sui suoi segreti. Ed piacere nella mente prima che nella carne. Molto, molto prima. Il rosso è nel suo bacio, nella sua voce che ti cola nelle orecchie, e nelle sue dita nella tua bocca. A rubarti il fiato.
Infinite vie.
Infiniti tratti.
E una molteplicità di donne.
Fino all'essenza.
Nel rendermi incomprensibile, ho perso la scia. Il rigo sembra troppo piccolo quando si ha voglia di parlare. Si scrive per solitudine? Per gioia? Per dolore? Si scrive per trovare uno specchio, degli occhi che ti leggano, o solo per lasciare una traccia. Come la fila di mollichine. Quello è il modo per infilzare il proprio tempo, i propri istanti e per renderli meno nostri e più condivisi.
Mi guardo mentre infilo le dita nell'acqua. A caccia di ignoto morbido. E l'acqua mi copre, senza urtare. Non è come nel vento. Il vento salvifica e leviga, il vento cancella e graffia. L'acqua invece è una carezza che circonda, abbraccia, riveste. In fondo, il mare è la coperta dell'indefinito ed imperscrutabile. Ma vestirsi di ignoto è un lusso troppo pericoloso.
Tre gocce di disillusione e due sorsi di delusione.
Stanotte dormirò vestita solo di quelli e prometto che non sentirò freddo.
Ho una goccia di futuro, rosso e sottile, che mi riscalda.
Ed è una strana sensazione quella del perdersi. Quasi frantumarsi. Come un vaso senza speranza di ritrovare i suoi pezzi e cancellare i segni. Lo sai che i sogni lasciano i loro segni? Quanto più ti avvicini e tanto più densi e pregni sono. Sono segni segretissimi ma profondi. Piccoli solchi verso ignote derive. Zattere di delirio impuro. Quasi una linea ridotta a segmenti. Interrotta, come un respiro che non arriva mai fino in fondo, interrotta come una parola incompleta, come uno sguardo spezzato. Interrotta, solo come una donna. All'improvviso una deriva ed i suoi perché. Carne e tormento. E pensieri sospesi, quasi come nuvole. Fatta di nuvole, piegata sul baratro a forma di domanda. Sento e poi non voglio e poi ancora. E affondo nel mio sangue. Per nascondermi al mondo. Come se l'oscenità fosse l'ultima forma di sincerità. Un ventaglio per eletti. E poi mi rincorro. E stringo forte il fiato in un pugno, mentre vedo gli altri andare via ed i loro passi ruvidi ed irregolari. E sento sempre di più il distacco, come se mi disegnassi per differenza. Esistere non è stato mai più di ora una eventualità.
Pezzi di vetro e lacrime sincere.
A volte sono questo.
Solo questo.
Ed è allora che distruggere sembra più semplice che trattenere.
Passi e distanza. Alcune parole ci appartengono per sempre. Quasi diventano cose, sensazioni. Si vestono di corpi, come se fossero materia che si addensa. Ma a volte, a volte come questa, tutto cambia. E osservi. E osservi te stessa che osserva. Un sasso tra i sassi. Liscio dal dolore. Tutto scivola. E cambia. Si allontana e di avvicina pericolosamente. Il vuoto è un mulinello. Anche per chi non lo riconosce e se lo nega. La solitudine è una nuvola che ci riempie da dentro. E ci mescola le vene. Carne e cuore. Mente e pelle. E poi la mente, dove tutto risuona. Io sento e sento ancora e comprendo, non smetto di raccogliere sensazioni, come i fili di una matassa. E rielaboro e poi distruggo. Strappo dopo strappo. Un filo dentro, come un'anima di ferro...è la paura che si intreccia al mio respiro. Spalanco gli occhi nella notte ed afferro il soffitto per non precipitare. E poi un respiro ed il successivo. E i miei polsi vergini offerti al vento. Un nuovo giro di nastro. Stretto, mescolato al fiato. E nella mia mente una ferita che unisce i lembi. Ci soffi sopra. E il mio sangue non si placa. Ed il soffitto è più vicino. Ne sento il profumo, il mio odore e quello del muro, delle mie ciglia contro, e del mio silenzio più intimo. Segni e sogni. Ed è già mattina, ma meno di ieri.
Blu, blu notte. Non male. E poi io adoro ricoprirmi delle notte.
Tutto, in attesa della tua voce.

E sempre più spesso lei elencava ciò che la feriva, ciò che le cagionava dolore, ciò che le sembrava insopportabile, finché non inciampò in un pensiero, forse in un sospiro. E prese a pensare lieve, come chi ritrova l'ago nel pagliaio e non vede l'ora di pungersi; così prese a pensare ed a ripensare alla sua scarsa attitudine al bene, a ciò che di buono le stava intorno e le dava gioia, anche se per poco, come succedeva, alle anime assetate di amore, come la sua. Si cresce intorno ad un vuoto, ad una fame, che smangia il resto, che diluisce i bordi del mondo, che slega i confini del mare, che pizzica il cielo, e niente sazia, e niente nutre. Una nuvola sospesa, destinata ad essere infelice, perché non sa amare, né è mai stata mai amata, perché la maledetta voglia di amore rende immensamente egoisti e ciechi. E forse ci sono dolori che sono capaci di distruggere la benda che con dovizia e dedizione qualcuno ha calcato sugli occhi, stringendo un nodo stretto stretto; come se fosse una porta e dietro ci fosse un bosco sconfinato e sconosciuto, dove poter respirare. Ecco, lei aveva di bello molte cose,  la forza del suo respiro, la forza del suo pensiero, la forza dei suoi battiti, e quella del suo desiderio e del suo sangue. E poi della luce nei suoi occhi quando era felice e si sentiva viva. E  guardò, e oltre la benda seppe e ritrovò i suoi occhi. Li avevo dimenticati. Guardarsi dentro a volta è annegare. E perdersi. E ci si trova solo con le ciglia nel vento, un vento sincero e puro. Finalmente.
La solitudine è la forma di una via obbligata, la sagoma di un percorso doveroso, a volte.

A volte proprio come questa volta.

Scopami, ancora. Come se non avessi gli occhi. Scopami forte, come se fossi come le altre. Sono solo carne intorno ad un pozzo. E la luna non scorge più la sua sagoma tremolante tra le sue acque. Scopami come loro, una tra tante, in una folla sconfinata. Senza anima e senza memoria. Scopami, come un fiume nella terra. E poi scorri lontano. Scopami, senza ieri e domani. E anche senza adesso. Ora non esiste. Non voglio trattenere nulla di te che tu non voglia. Non sono un dono, ma un frutto infetto. E ad ogni colpo, sfondami il cuore, cancellami la bocca, le mani. Frantuma le mie paure. Scopami, come una di loro. Scopami e senti solo il mio sangue. E le risposte mute della tua carne sulla mia, calda e aperta al tuo tocco. Forse era ieri. La realtà è una tavola bianca. Io sono la sposa del vento ed ad ogni soffio le mie crepe diventano polvere. E la polvere graffia, come il rifiuto, la verità e l'indifferenza. Ma nel dolore ci si sente vivi. Scopami. Sono solo una donna, con la luna nel suo ventre. Un delizioso incompiuto di solitudine e delirio. Volevo solo insegnarti a respirare, come faccio io. Giocando con il mio fiato. Come se viversi fosse una irresistibile complicazione, come se il senso di noi, fosse capace di superare ogni incomprensione. E ci fosse una verità superiore. Ma era un delirio, uno dei miei. E poi, già, era ieri.
All'improvviso i colori cambiano. E l'alba si rovescia nel tramonto. Il sole ha colori smangiati, proprio così all'improvviso. In quegli istanti io precipito. Ed i miei battiti si impiccano nella delusione. Dopo è tutto piatto, come una retta che si spinge, pigra e lenta, verso l'ignoto. Non so più chi sono. So solo che se non resto immobile ogni respiro taglierà le mie ombre come coriandoli.Ma devo farlo. Non posso fare altro che fissarmi immobile nel mio specchio invisibile.
Ed è così difficile essere quella me che non ha paura. Chi merita per davvero la nostra verità? E poi cosa è vero? Non è forse la verità l'artificio che ci rende più vicini alla sagoma dei nostri desideri?Nulla è più vero di un desiderio. Il resto è bisogno. Sporco e madido di vita. La bestia che ci divora e deforma tutto. E non è forse la verità altro se non la identità che si spalma come l'onda sulla riva e la segna,  la slabbra, la contamina  per frammenti di tempo? Una ladra di conchiglie e di granellini. Ero io quella bambina che aveva le labbra piene di sogni. E li strisciava nell'aria. Ed era bellissimo varcare la soglia del mondo ad occhi chiusi. Sentire era vivere, senza remore, con la benda del desiderio sulle palpebre. Bastava poco per stringerle il respiro, in un approssimarsi al cuore, alle sue vene roride e presuntuose, al suo contrarsi, come uno spasmo di anima. Ero davvero io? Forse ho masticato i sogni di altri? Quelli della mia ombra, vicina di cammino, forse. Non so dove alberghi il mio ego, in momenti come questi. Sento solo un dolore, vago e lontano. Come una scia? Hai mai visto i fenicotteri che si levano in volo? Uno e più e ti manca il respiro mentre macchiano il cielo di rosso, impudico, come la mia mente, se la lascio andare, morbida come un nastro nel vento. Florida, come i miei fianchi che ancheggiano nella vita; quella che mi è capitata. Anche io ho una ombra rossa, quasi un ventaglio e non copre, ma mostra la nudità vera di una donna che ha il cuore intrecciato al ventre. Come radici di un albero dimenticato. Forse arso dal tempo che fu. Da un rogo feroce. Dimenticare è un poco morire, ma forse è infinitamente rinascere. E ora solo so, so che solo la verità rende davvero liberi, forse più tristi, più pregni di malinconia. Ma così vicini al sangue, da sentirsi fiumi.
E le mie labbra  sono pallide di sogni, livide di aloni.
Nessuno spazio.
Nessun dono.
Solo verità.