lunedì 28 settembre 2015

Alibi molto poco divino

E io che raccolgo l'estate dai tuoi morsi. Quelli che capitano. Amari, come spicchi di arance spaccate spezzate e fuori dal loro tempo. Disegno la mia bocca con il sangue e poi ho voglia di segnare il percorso. Strisce precise senza indecisione. Senza sfiorarsi. Ricordi? I segni su di me, con direzione indefinita. I miei sogni ed i miei incubi spesso coincidono. E io ascolto il mare, senza usarlo più. E senza farmi usare. Il mio piacere è il margine più prossimo al mio delirio. Ho occhi diversi, e tasche piene di rumore. Quello della mia mente. Spesso il senso di me si stempera nel mio non amore. E credo che solo la curiosità sia il sale che scopre e illumina ogni ferita. Ed è quello il vestito vero della mia anima, quello che nessuna parola può coprire per davvero. Per il resto, il mio cuore è vecchio mille e più anni e annuso il dolore, come mio nonno annusava il vento. Odio il bianco e le sue scie, e credo spesso che nasconda il più grande inganno, quella della innocenza, soprattutto di quella perduta. Non ricordi? Le frecce erano dirette al punto in cui tutto si può. Io mi nascondo dentro la notte, quando mi allontano. E cancello le mie tracce soffiando tutta la mia voglia che tutto possa essere diverso.
La corda ed i suoi giri.
L'odore ruvido della disperazione.
Stride.
Forse è il desiderio.
Uno qualunque.
Con gli occhi a forma di uncino, verso l'infinito.
Come una cosa con il cuore al centro.
Mi fa paura, una paura ferma e crudele, parlare di me.
L'istante dopo

Fragole e nuvole

E non lo ricordavo più neanche quanto fosse bello e lieve e poi forte il mare; il mio mare. Una specie di culla, un cerchio magico, una pancia, dove lasciare fluttuare la più flebile intimità con noi stessi. Nella sua bellezza morbida e tenera, ma fiera e selvaggia. Ieri non pensavo, esistevo, mi lasciavo circondare da quello splendore. Come se per alcuni istanti il cerchio si ricongiungesse intorno e tutta la solitudine, di cui siamo capaci, e non fosse più latore di un tormento, proprio di quel dolore, sfacciato e poco dignitoso. Sembra quasi quando hai freddo senza quel lembo di coperta, ma resti immobile, per non ritrovarti ancora più scoperta. Così, ramo dopo ramo sui polsi, e l'odore del ciliegio, una ritrovata voglia di amarsi, li cinge. "Piccola ti voglio bene" - una eco del tempo e della coscienza. Mio padre mi ripeteva spesso delle cose. Ne diceva tante. Alcune bellissime, altre terribili. La nostalgia avvolge quei ricordi che ormai sono pezzeti di me. Radicati nel mio corpo, forse più che nella mia anima; scorrono nel sangue. Ma il tempo mi ha lasciato riscoprirmi diversa. Nè migliore nè peggiore. Come se le sue parole, che grondavano amore, fossero un gancio verso un attimo che sarebbe venuto in cui avrei dovuto urtare contro tutta la sensibilità, goffa e fastidiosa, di cui sono capace. Con la mia pelle al contrario, incapace di ricevere una carezza, per la paura smodata di soffrire. Senza schizzi di sangue. Immobile, carica di memoria, quasi con orgoglio sento la bellezza selvaggia e fiera della mia terra. Una terra amara e spesso improvvida, dove la forza scintilla, profonda, tra zolle e sangue e sudore, e custodisce, gelosa, il suo frutto. Sono fatta di sale, salsedine sulle labbra, e di tutto questo mare nella testa e tra i piedi, e di sabbia. Sabbia ovunque, nei pensieri, sulla pelle, tra i denti. Non si tratta di altro che del sigillo che la vita mi ha imposto sull'anima. Una vigola indaco, tra un sogno ed il successivo. Non mi sento sporca nell'ostentare il mio corpo, ma la mia anima. Come una nuvola carica di pioggia urtata dal sole. E conficcata al cielo, incredula.

Mi ascolto molto

Poi molto poco.
E poi decido di chiedermi le orecchie al mondo.
Nessuna vocina a serrarmi la coscienza.
A farne coriandoli.
"Perseverare è diabolico baby.
Lo so, ma non resisto."
Non saprei da dove sia sbucata questa voce.
Non è la solita.
Sembra una corda, un pensiero, un nastro tagliente.
Il fiume che si rincorre.
Una riga di cielo.
E del mio rimmel sbavato, dritto e severo sino all'angolo della mia bocca.
Sulle mie labbra un pensiero, e poi sul mento, e poi sulla nuca e poi tra le dita.
Non ho coscienza, non ho identità, nessuna dimensione.
Senza luoghi nè direzioni.
Sì, oggi gira così.
Come il bracciale intorno al mio polso.
Indolente e mordace.
Piega l'aria a piacimento,
 fino a frantumarla.
Per costruirla a suo piacimento.
Crepa contro crepa.
Come se il tempo fosse una cornice che si restringe.
Ci comprime.
Oggi, domani, poi.
E adesso?
Gira così, ed è terribile.
E a volte bellissimo.
E la vocina riaffiora.
Una scia su quel fiume.
Sono peggiore di quanto tu possa immaginare.
Ma sono dannatamente io.
E scusa se è poco.
C'è una condizione in cui ogni trasgressione si adagia ad un sentire che ha spaventosamente i margini della purezza, un pugno nello stomaco, un tenero oblò sui sensi. Ti piace sapere che qualcuno si sta sporgendo per osservarti. Non ti ritrai, e ti mostri in tutta la brutale nudità di cui sei capace. Ti vesti di oscenità, come se fosse una coperta, oscillando nel piacere, e non sai raccontarlo; come una vecchia fiaba che nessuno ricorda più. Una specie di gara con il sangue. Lupa famelica che ti morde le viscere e slingua il cucciolo di te, l'embrione di donna, che ha svoltato più giri, ha annodato una corda ai suoi polsi, ed è diventata quello che è. Ed è come se la forza del desiderio ne slentasse i cordoli, e ne lisciasse le asperità, livellasse ogni impossibilità, soprattutto quelle fatte di paura. La sagoma viola dei tuoi sogni, asfitta e menzognera, a volte. Una condizione che dura poco, pochissimo, e già è passata, ma che gioca con il respiro e con i sogni e li rende pericolosamente vicini, sottili, forse trasparenti come ali di farfalle. Il fondo nero prima o poi reclamerà la sua parte di pentimento, di rimorso o di rimpianto, e di quella carne, e di questa, farà brandelli, fino a rendere tutto crudo, come un sospiro spezzato. Ora non so in quale tempo io mi trovo, su quale piano della realtà, ma mi nascondo nel mio fiato, tra i brividi della mia pelle, nella ricerca in me di ciò che forse non sfiorerò mai. Ad occhi chiusi, con la benda del destino stretta sulle mie ciglia. E stranamente vedo mille colori. Da non saperli descrivere.
La mia ombra è la parte migliore di me.
Anche se avrei voglia di fendere la luce.
Le dita dentro a bucare il futuro, a squarciarlo, senza paura di avere paura.
Come una luna, mille volte luna.
Sono passata per caso da un posto. Mi è bastato capitarci davanti, al vecchio cinema, abbandonato, una specie di immensa casa dei gatti, vetri distrutti, finestre divelte, tutto dietro ad una catena, così debole da sembrare finta. Ed una marea di ricordi, tra un passo e l'altro, mi ha assalita, tutti al profumo di big babol alla fragola. E dietro il mare, sempre e solo il mare. Io sono fatta di mare, e così i miei ricordi. E mentre ci camminavo intorno, sono tornati veloci, riaffiorando dalla mia memoria, come da una vasca profonda, con mille fruscci, e con loro tutti i pomeriggi d'inverno, quasi sempre di domenica, ed i film, rivisti  e poi ancora, e sempre gli stessi, le risate, e le rotelle di liquirizia ed i rossori dei primi baci,  visti e ricevuti. E là i muretti, a ridosso dei quali ci respiravamo vicini, nella incoscienza meravigliosa, del tempo che non scorre mai, perchè ci sembrava infinito e vasto, immenso là ad accoglierti, a ricevere te e tutta la vita che avresti voluto infilarci dentro. E non ci pensi che quei muri che hanno conservato e custodito interi pezzi di vite, possono un giorno diventare un rudere, e che il tempo possa e sappia mangiare pietra dopo pietra, un vecchio cinema di un piccolo e vecchio paese, svuotato anch'esso, e con poche speranze, nella sua immensa bellezza.
Dimentico sempre di scegliere con attenzione le strade da percorrere.
E giuro, non rubo nulla, proprio nulla.
 
Sliding doors. Forse questione di attimi. Le cose si incastrano diversamente. Un futuro da disegnare. Siamo davvero muniti di tanta scarsa consapevolezza? Io ho paura a chiamare le cose con il loro nome. Chi lo ha deciso poi il nome di una cosa? Come se il rigurgito di una convenzione dovesse ricoprire il mondo di una patina. E la gente non sa più guardarsi negli occhi. E la gentilezza fosse sintomo di debolezza. E chi decide poi cosa sia davvero la forza? Le cose esistono, nonostante noi. E io sono in questa stanza, nonostante i miei pensieri. La forza dei sogni è una bella fregatura. Ti spinge a varcare orizzonti sconosciuti. Hai mai visto il vuoto che resta dopo un fuoco d'artificio?
Adesso però ho bisogno dell'odore del pane caldo.
E di un abbraccio sincero.
Delle mani di mia madre.
 Nel perdere un pezzo di me, io non smetto di avvicinarmi alla mia essenza.
Incauta, barbara, brutale, ogni sensazione, è uno strato che mi avvicina pericolosamente
alla mia mente.
E resto immobile.
Perchè nel gioco delle aspettative e delle conferme la stadera si ribalta.
Poi all'improvviso, la mia nipotina mi ha indicato con le sue dita bellissime il cielo, mentre salutava le stelline.
Avrei voluto ritrovare in un posto segreto tutte le mie parole. E anche le tue. Ma non è successo.
Ogni volta che hai fatto l'amore con me lo hai fatto con tutti i miei sogni ed i miei incubi.
Praticamente un'orgia.