lunedì 28 settembre 2015

C'è una condizione in cui ogni trasgressione si adagia ad un sentire che ha spaventosamente i margini della purezza, un pugno nello stomaco, un tenero oblò sui sensi. Ti piace sapere che qualcuno si sta sporgendo per osservarti. Non ti ritrai, e ti mostri in tutta la brutale nudità di cui sei capace. Ti vesti di oscenità, come se fosse una coperta, oscillando nel piacere, e non sai raccontarlo; come una vecchia fiaba che nessuno ricorda più. Una specie di gara con il sangue. Lupa famelica che ti morde le viscere e slingua il cucciolo di te, l'embrione di donna, che ha svoltato più giri, ha annodato una corda ai suoi polsi, ed è diventata quello che è. Ed è come se la forza del desiderio ne slentasse i cordoli, e ne lisciasse le asperità, livellasse ogni impossibilità, soprattutto quelle fatte di paura. La sagoma viola dei tuoi sogni, asfitta e menzognera, a volte. Una condizione che dura poco, pochissimo, e già è passata, ma che gioca con il respiro e con i sogni e li rende pericolosamente vicini, sottili, forse trasparenti come ali di farfalle. Il fondo nero prima o poi reclamerà la sua parte di pentimento, di rimorso o di rimpianto, e di quella carne, e di questa, farà brandelli, fino a rendere tutto crudo, come un sospiro spezzato. Ora non so in quale tempo io mi trovo, su quale piano della realtà, ma mi nascondo nel mio fiato, tra i brividi della mia pelle, nella ricerca in me di ciò che forse non sfiorerò mai. Ad occhi chiusi, con la benda del destino stretta sulle mie ciglia. E stranamente vedo mille colori. Da non saperli descrivere.
La mia ombra è la parte migliore di me.
Anche se avrei voglia di fendere la luce.
Le dita dentro a bucare il futuro, a squarciarlo, senza paura di avere paura.
Come una luna, mille volte luna.

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