Lasciavo andare le parole, come farfalle, in cerca della luce. Le loro ali erano i miei sogni. Ma io cercavo il buio, perché ero, e resto, perché io sono figlia del buio, e le parole non bastavano mai. E neanche ora. Mai, che brutta parola mai. Non ha sangue né fiato. Ti amputa il respiro. Ne mancava sempre una, una parola vagante. E spesso restava incastrata nel petto, tra le ossa, oltre la pelle, e ne intuivo la indefinita consistenza, senza afferrarla, appunto mai. Come una scheggia, come un frammento, come una mollica, una goccia, o come una sacca, con la consapevolezza dell’incompiuto. O solo di una solitudine che graffiava senza segnare per davvero. Una mappa stinta e logora. Perdurava una inquietudine che sembrava una bestia affamata. E mi mangiava il cuore. Solo che il cuore, maledetto, sembrava infinito. Una distesa nuova, un nuovo margine di cielo, la bocca di un pozzo, il lembo di una nuvola. No, non finiva. Mai.
“Chissà che sapore ha il mio cuore” – mi chiedevo. In attesa del prossimo morso del destino. E mi fingevo distante e distratta. Volevo un morso perfetto, immemore, esatto. Solo quello.
“Mangia solo la mia carne, fattela bastare, a che ti serve quel puntino livido pieni di spasmi? E se proprio devi afferralo, mordilo e poi lancialo lontano, oltre, in un dove dimenticato e sconosciuto.”
“Chissà che sapore ha il mio cuore” – mi chiedevo. In attesa del prossimo morso del destino. E mi fingevo distante e distratta. Volevo un morso perfetto, immemore, esatto. Solo quello.
“Mangia solo la mia carne, fattela bastare, a che ti serve quel puntino livido pieni di spasmi? E se proprio devi afferralo, mordilo e poi lancialo lontano, oltre, in un dove dimenticato e sconosciuto.”
Così che al suo posto io possa piantarci un seme, quello dell’oblio.
E risvegliarmi con una nuova bocca, nuove mani, nuovi occhi.
E risvegliarmi con una nuova bocca, nuove mani, nuovi occhi.
Una nuova donna al centro di me.
Spalancata al mondo.
Come una finestra.
Non dimentico ma persevero.
E questo cuore sembra non finire mai.
Quante molliche?
E io ho fame ancora.
“Nessuno, neanche un poeta,
ha mai misurato la capacità di un cuore ” (Zelda Sayre Fitzgerald).
ha mai misurato la capacità di un cuore ” (Zelda Sayre Fitzgerald).
Ecco, io ho pensato che in quella profondità, se ti ti imbatti, se la cerchi, se ci precipiti, a caccia del vuoto, afferri il senso profondo dell’essere vivi. E va oltre le vibrazioni, ogni i brividi, oltre il piacere più sfacciato. In quella profondità c’è un senso che a volte dà un significato diverso ad attimi della esistenza. Ed è una assenza diversa, un salto in un vuoto che raccoglie ed abbraccia. E non si può spiegare.
Adesso sono pronta al prossimo taglio.
Ma questa volta lo voglio netto.
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