E piovono rose, solo perché non so
smettere di contemplare il cielo, dopo averlo capovolto. Un cielo
ribaltato, e noi con lui, con il cuore sempre al centro, maledettamente
equidistante, in equilibrio precario, da qualsiasi periferia sappiamo
concepire la distanza. La poesia del sangue che scorre e non si ferma ha
una crudeltà ed una sua illogica bellezza, selvaggia e violenta, che
pare celebrare dentro di noi infinite piccole albe. E sì, piovo rose,
perché è così che la vita prosegue, immaginandocela nel modo più dolce e
lieve possibile, ancorata a quel filo che sa di speranza, imbrattato
dall’amarezza che ci è stata schizzata maldestramente dall’incalzare dei
giorni, dal loro inseguirsi, dalla paura di vivere, e spezzata dal
gancio verso il futuro, che a volte si annoda intorno ai polsi e quasi
li stritola. Un promemoria. Passi incerti e speranza, oltre ogni
coltre, ogni nebbia, bucata dalla voglia di domani, a chiazze, che ci
colora il mondo.
Anche quando chiudiamo gli occhi, e là restiamo nascosti.
Sotto le nostra palpebre.
Gomitoli dentro il nostro respiro.
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