"Il tempo trasforma tutto in ricordi"
Non c'era aria tra quei baci. Baci di cera. Pelle su pelle. E tracce ed impronte. Labbra. E pezzi di labbra. Affamate. Perfidi utensili di una fame umida. Rubavano aria e la masticavano. Ruminanti ed ebbri. Nelle promesse più tenere. Quasi ridicole. Morse da una speranza che si chiama futuro.
E scie di stelle selvagge nel cuore.Proprio così. Se solo imparassimo a guardare le cose. A guardarle per davvero. Immergendoci nelle stesse. Un numero infinito di cose che ci scorrono.
Apparentemente inerti. Sotto gli occhi. Ma pullulano di sensazioni. Vite e spezzoni. Di vite. Ignoriamo. Troppo avvinghiati a inconsistenti ghirigori dell'anima. E ci spingiamo in un sonno dei sensi. Che ci costringe a retrocedere ad ogni respiro. Sempre più dentro. Dentro di noi. Ancora.
Dettagli. Particolari.Colori.Sfumature.Forme. Cambiamenti.Pieghe.Angoli.Spigoli.
Tutti candidamente là.
Ignari mentre noi ignoriamo.
Contaminati dalla nostra voglia di noi.
Di lasciare un segno.
Ci impediamo di coglierlo.
E neghiamo.
Troppo impegnati a clonare spore di noi stessi.
Ignari mentre noi ignoriamo.
Contaminati dalla nostra voglia di noi.
Di lasciare un segno.
Ci impediamo di coglierlo.
E neghiamo.
Troppo impegnati a clonare spore di noi stessi.
"Fai un pezzo di strada con me".
"Posso tenerti l'ombrello?".
"Solo se è una scusa per starmi più vicino.
Ne ho bisogno. E forse voglia".
"Posso tenerti l'ombrello?".
"Solo se è una scusa per starmi più vicino.
Ne ho bisogno. E forse voglia".
Se solo ci riappropiassimo di queste estensioni delle nostre facoltà.
E possibilità.
Di queste dita di nuovi soli.
E le mescolassimo ai colori. Ai sapori. Agli odori.
Al mondo che è là.
Con una attenzione che dobbiamo catapultare
ed estrapolare al di fuori
di ogni nostra salda e sedimentata dimensione.
L'indifferenza è un velo che toglie sfumatore e smangia i toni.
La voglio strappare.
E mi volto.
Non ho voglia di lasciar vedere.
Scrutare.
Osservare.
Mi volto.
E percorro un sentiero.
L'odore della lavanda squarcia il silenzio
e mi tiene compagnia.
"Quando lo hai conosciuto era bello?"
Arrosisce e mi dice:
"Era bello. E gentile. Lo è sempre stato. Mi scriveva lunghe lettere d'amore. Ogni mattina mi portava il caffè a letto. E non mi faceva mai mancare le mie rose. Gialle."
Io mi perdo nelle sue parole.
E lei anche.
Si perde nelle sue parole.
E ritrova i suoi ricordi.
E io ritrovo la voglia persa di continuare a camminare tra ciuffi di lavanda.
Vorrei porgere il mio capo sulle sue gambe
e lasciarmi accarezzare.
Senza dovermi più difendere.
Il pudore mi soccorre.
"Mi manca".
Sembra un sibilo.
Forse è il vento.
Stava ridendo.
Ma adesso ha smesso.
Proprio così.
Ha smesso.
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