Nella gola
"Ricordati che devi morire"
Questa la conosco.
Mi sono sempre inchinata all'altare del sacrificio.
Devota.
Come una vestale.
Scivola sulle ciglia.
E rimbalza.
No!
Ricordati che devi vivere.
Più difficile.
Provo a prostare i miei occhi.
Afferro i lembi della mia esistenza.
Non pensavo pesassero tanto.
Li sciorino nel vento.
"Senti come soffia".
No.
Ora non più.
Li incrocio.
E scuoto.
Senza sovrapporli.
Non devono combaciare.
Li incastro in un nodo.
Come un abbraccio.
Che è più che altro una morsa.
Ho voglia di cospargerli di amore.
Come borotalco tra le fasce di un neonato.
Sono il nastro che mi cinge la vita.
E i fianchi.
Si spinge alle caviglie.
E mi ruba il respiro.
Lento, lo sciolgo.
E lo ripercorro.
E riannodo.
Attenta a non farmi male.
Solo poco.
Scaraventare la rabbia significa liberarsene.
Ma non arriva mai tanto lontano.
E se ci perdiamo è solo perchè vogliamo ritrovarci.
Nutrendoci del senso della assenza.
Mistificazione dell'appartenenza.
Trattengo le parole.
Ora.
Le sento pulsare.
Tra le vene.
Nel mio sterno.
Lo urtano.
Le sento.
Si conficcano.
Le sento.
Comprimermi la giugulare.
Avvolgermi la gola.
E spingere.
Sono fatte del sangue in cui sono state immerse.
Ora non più.
Sono parole asciutte.
Ormai.
E le trattengo più a lungo possibile.
Per percepirne ogni spasmo.
Ed avvinghiarmi ad ogni loro contrazione.
Come se fosse una nenia.
E poi le respingo.
E le mescolo con il silenzio.
E con il mio respiro.
Ghirlande di parole senza sangue.
E striscio sorrisi nell'aria.
Come piume.
Beandomi dell'aria che sposto.
Dell'aria che mi viene a mancare.
E che ritrovo.
Sorrisi fatti di acqua.
E voglia di sole.
E di dita nella carne.
Di sale che tira la pelle.
Prima di precipitare nell'anima.
Innondandola di salsedine.
E brucia e tira.
E di implodere dentro il mio utero.
Come un fuoco d'artificio.
"Ricordati che devi vivere".
Come dimenticarlo?
Apro gli occhi.
Oggi sono sirena.
Di paludi sterminate.
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