lunedì 6 dicembre 2010


Alcune musiche hanno dentro mille lame e mille medicamenti. E mille mani capaci di accarezzare e poi di trovare il punto esatto, il piccolo pozzo in cui entrare dentro e calarsi diventa possibile, e così infilarsi nelle vene. I quei cunicoli che se segui la corrente giusta portano al cuore. Soffiarci dentro e lasciarsi trasportare. Quelle musiche sminuzzano e frammentano ogni spaziotempo, anche quello che ci aderisce addosso. Il vestito delle nostre ore. E riescono a costruire torri e ponti e a lasciarci ondeggiare nella mente fiumi, contenuti e contenibili, entro adeguate sponde, con le loro barchette a solcarli, e il riflesso di una luna tremula, ma integra, a marchiarli. E neanche riesci a sollevare gli occhi, tanto sai che c'è, con la sua sfacciata certezza tonda. Con il suo giro completo, da cui non fuoriesce nulla. E non puoi guardarla perchè i sogni nascono per essere incerti contenitori espandibili. Ed ogni concretezza non potrà che renderli un pò meno sogni ma più grondanti di sangue. E dove c'è il sangue prima o poi si soffre. Ma quelle musiche neanche di danno il tempo di capire. E non capendo tutto è più leggero.
In quegli specchi io e te ci abbracciavamo.
Come se ci fosse la musica.
E sembrava che ci abbracciassimo infinite volte.
E che fossimo infiniti.
Infiniti te e infinite me.
Se ci pensi sembra un orrore.
Il doversi scomporsi per darsi all'altro.
Come se l'amore fosse la capacità e la forza
di raccogliere ogni frammento.
Proprio e dell'altro.
Senza perderne neanche uno.
Per riporlo nel posto giusto.
E' quasi assurdo
perchè a volte basta
una carezza
per ricomporci.

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