mercoledì 10 giugno 2009

Mi liberai di tutto quel rosso. E il velo volò nel vento. Sembrava un airone con il suo mantello di voce suadente. Squarciai il silenzio. Un volo rosso come il tramonto che ogni giorno ci ricopre di inconsapevolezza. Densa come il cioccolato. Il rosso scorreva e scorse. E si lacerò. Non era altro che bava di ciliege. E fame. E io lo credevo sangue. Fu perplessità. E forse delusione. A contrarsi in tentativi. Inutili come la neve d'estate. Avrei voluto affondare in un tuffo. Dentro strati rossi. Avrebbero donato graffi. Fino a sporcarmi. E rivoltarmi di fremiti e rorida emozione. Io non trovavo le ferite. Le avevo smarrite. In una mappa di oblio. La geografia dell'orgoglio. Sentivo rabbia. E quella è solo fumo. Senza sostanza. E non ha sangue di ciliegia ad imporporarle il battito. Ripulii. E mi liberai.
Restò solo una macchia.
Al centro del cuore.
Ne segnai i contorni.
Con uno spillo.
Teneramente contratta.
Ancora è là.
In alcuni giorni si ritrae.
Altre si allarga.
E si espande.
E io pulisco.
E mi protendo ai margini dell'eccesso.
Sono stufa di cercare segni che diano voce al silenzio.
Non c'è nulla che non possa essere espresso.
Mi dono al nulla.
Spore di indifferenza.
Risucchiano tutto il rosso che c'è in me.
Ma non è sangue.
Impicco tulipani.
Come se fosse pietà.
I fiori sono la carne della terra.

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