sabato 6 giugno 2009

Non so raccontare. E se anche lo sapessi fare non saprei comporre la storia. Sentirne la musica feconda. Fatta di battiti. Lasciarmi fasciare di abbracci le spalle. Fino a sentirmi compresa e compressa in un cerchio. Di parole strette strette. Mi perderei nei dettagli marginali. Incastrando i protagonisti in un angolo sperduto. Lontano. E poi lasciarli morire di inedia. In cerca di una fine. Una qualunque. Non so legare parole e fatti. E vita. Io trattengo. Amplifico. E distruggo. Cerco di spiegare le cose dal di dentro. Di spingerci dentro sostanza venefica e aria. Fino a sentire che stanno per esplodere. Per poi lasciarle vagare. E contrarsi. Come se fossero palloncini fatti di anima. E io fossi il sangue che disperatamente riga le loro pareti. Le irriga di segni che nessuno può vedere. Ma solo intuire. E vestirsi di percezioni. Una rete a maglia per il cuore. Attenta a non lasciar scappare quello che c'è dentro. A imbrigliarlo. E a non lasciare entrare chi sta fuori.
Dentro e fuori.
Due lati della stessa dimensione.
Lo specchio pieno e quello vuoto.
Assolutamente fuori tempo.
O troppo dentro il tempo.
E il vento trasporta i suoi suoni.
Li sdraia nella polvere.
Il suono di mille viole impazzite.
E il tutto ed il niente si rincorrono.
Fanno all'amore, disperati ed affamati.
Il tronco di un albero è la casa delle possibilità.
E mi rannicchio nel suo utero.
Come se la sua linfa fosse il mio sangue.
E forse è così.
E di morbide astrazioni di cibo.
E astrattamente mi perdo.
Non ci avevo mai pensato.
Ma io non lo so cosa ci sia dietro ai miei occhi.
Dormimi dentro se non puoi dormirmi addosso.

1 commento:

  1. non credo sia sempre necessaria una storia per poter "raccontare".in fondo raccontare non significa altro che narrare un'altra volta dando un verso,una direzione da seguire.saluti sma.

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