mercoledì 14 ottobre 2009


Riaffiora la nuvola e si stempera in polvere di fuoco. In frange e fremiti. E le respiri. Solo quelle. E il resto si blocca. Lo sfondo è l'assoluto nulla e la voglia di lasciare un segno. Stemperato in inutilità. Il sangue infetto di un fiume ignoto che ti ha contaminata. E' un serpente di delirio. Inutile come una corda senza nodo. Penso ad un canto muto. E alla bellezza che lascia scivolare dentro. Fino ad urtarti contro le pupille. Per bucare uno spazio sull'esterno. Siamo il guscio del nostro canto muto. Siamo campane dai rintocchi implosi. E per quello a volte tremiamo. E i brividi ci adornano la pelle.
Fino all'anima.
Un viaggio senza ritorno.
Rossa è la nuvola.

.....
Sassolino su sassolino. Una pila che non arriverà mai al cielo. Senza saperlo. Una pila mozzata. Si piega in tentativi. Ondeggia e ruba morbida precarietà all'aria. Una carezza leggera. Oscilla e si cosparge di percezioni. Poi dimenticate. Nell'urto del cuore duro da sassolino. Nel rimbalzare e leccarsi le schegge. Nel raccoglierle e lanciarle in aria. E nel segno dolce e silente della sua traccia. Orma. Viviseziono passi. Strani di tracce. Per non dargli direzione. Parole e sassi. Segni. Colano a picco. Immersi dentro paludi sghignazzanti. A caccia di baci. Tra i fili di erba. Contro la luce. Nel profondo. Nella coperta della coscienza. Rimbombano le parole. E i sassi vibrano. Come se volessero oltrepassare la pelle.
Basterebbe solo assecondare il corso.
E ritrovarsi tra le mani.
Incastrati alle dita.
Dove ci siamo dimenticati.
Oltre le vene.
Annodati.
Pezzi smussati di domani.
Dell'ignoto che rimbalza negli occhi.
A caccia di rifugio.
E chiudo gli occhi.
Per consentirgli di arrivare lontano.
E raggiungere l'ombra che dentro di me
schizza come un
mare gonfio di onde.
Ho un nuovo nome.
E mordo pomodori.
Come se fossero cuori.
E io il loro sangue.
Ho smesso di comprendere il passato.
E succhio la buccia per annusare la polpa.
Forse questo dà un senso.
Se un senso c'è.
E' domani.
.....

Sassolino su sassolino. Una pila che non arriverà mai al cielo. Ondeggia e ruba morbida precarietà all'aria. Oscillando e cospargendosi di percezioni. Poi dimenticate. Nell'urto del suo cuore duro di sassolino. E nel segno dolce e silente della sua traccia. Orma. Viviseziono passi. Per non dargli direzione. Parole e sassi. A picco. Immersi dentro paludi sghignazzanti. A caccia di baci. Tra i fili di erba. Contro la luce. Nel profondo. Nella coperta della coscienza. volte rimbombano le parole. E i sassi vibrano. Come se volessero oltrepassare la pelle.
Basterebbe solo assecondare il corso.
E ritrovarsi tra le mani.
Oltre le vene.
Pezzi smussati di domani.
Dell'ignoto che rimbalza negli occhi.
A caccia di rifugio.
E chiudo gli occhi.
Per consentirgli di arrivare lontano.
E raggiungere l'ombra che dentro di me schizza come un
mare gonfio di onde.
Ho un nuovo nome.
E mordo pomodori.
Come se fossero cuori.
E io il loro sangue.
Ho smesso di comprendere il passato.
E succhio la buccia per annusare la polpa.
E' domani.

....

Vivo di stasi e stati. E scosse. La luce mi ha puntato un raggio sul mento. Appena sotto il labbro inferiore. Sulla piccola piega che lo tormenta. Fino al petto. E al cuore. Per sondare. Un faro stanco. E cercare l'errore. Nel filtro della coscienza. E le sue maglie bisunte. Le ginocchia hanno facillato. I tacchi hanno segnato una linea netta. Un piede davanti all'altro. Sembrava sicumera. Era speranza. Nella musica morbida come una torta alla panna. E i gomiti si sono spinti verso il passato. A graffiarlo. E ad allontanarlo. Lasciando solo che le mani riuscissero a rubare qualche scorcio. E in angoli mi adagio per respirare. In una pentola cucino la pozione magica. E spingo le terga contro muri di veline e polvere. E cipria. Ci immergo il collo contro. Perchè oggi è domani. Quello che attendevo. E ho paura a dargli un nome. E a spiegare la strada per raggiungermi. Oggi è un domani con una lama che fende il tempo e lo cadenza come un metronomo. E mi segna la sagoma. Lama contro carne. Pelle contro battiti. Fino a riempirmi di brividi e di domande. Le risposte sono nella tasca del tempo.Insieme a due stelle rubate al cielo. Adesso è cieco. Erano i suoi occhi.
.....
Spengo il mio io. Lo sbriciolo. Ha tentacoli di pane. E lo accarezzo per rassicuralrlo. E per dominarlo. Poi lo pianto in un prato. E sulle sue labbra sussurro baci. Maldestra ed affamata li striscio sul suo cuore. Tondo e piroettante. Sembra non fermarsi mai. Ribalta la sua paura. E si rigira. E di quella resta un'ombra che secerne eco. Forse ha una voce. Come se fosse un seme. Destinato a sciorinare la sua chioma selavggia di albero timido sotto terra. E a intrecciare all'aria le sue radici invisibili. Quasi infide. Culla di sensazioni e di occasioni. Capovolta la mia mente. Si crede gamba. Rotea la caviglia che poi è mia e solo mia. E accavalla i pensieri. Dentro il fumo di una sigaretta. Quella sbagliata. E i miei occhi riflettono la terra che giace. Dentro me. Nel centro. Al centro. Zolle di terre innaffiate da nuvole dispettose. Ma preziosissime ladre di cielo. Inaspettate e discrete. Ho conservato solo una lacrima. Una sola. Come una gemma. Le altre le ho donate al poi. Per tempestarlo. E la custodisco come se fosse un frammento di stella frantumata. La reliquia di un miracolo mai consumato. Mentre è solo un furto di rugiada al nuovo giorno. Quanto disordine tra i pensieri. Spingono folate di silenzio. Inutilmente. Solo scompiglio. E lettere su fogli assolutamente consumati. E sottili come ostie e come significati. Quasi compresi. Il mio io sbadiglia. Il suo letargo langue. E nei miei occhi c'è ancora terra. E fame.
Non chiamatela voglia.

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