lunedì 22 marzo 2010

Una primavera mi sta ridendo in faccia la sua asciutta armonia. Ha note e sillabe. E fianchi come valli. Morbido è questo disordine che mi strofina l'anima contro i muri. E mi oscura la danza delle farfalle lilla. Le vedo e le intravedo. E io confondo i muri e le loro crepe con gli specchi in cui cercavo le mie trecce. E mi perdo nelle orme e nelle tracce e nelle impronte che lascio. E liscio. Sangue contro muro e carne. Un batik umano. La luna si è impiccata. E le striscio come cantilene di luce. Senza la pietà. Come rigurgiti di una intimità frantumata. E un occhio mi piomba dentro la pancia e mi osserva muto come un pesce. E muovo le sue branchie tremanti per farlo respirare. E lo nutro. Perchè mi sta donando una conferma dell'orrore. Per paura che mi abbandoni. Perchè è quello l'unico istante in cui so tremare. In cui sputo il cuore. E da qualche parte si agita. Ma non lo so stanare. Usi sempre le stesse parole. E le stelle si sono annoiate. Sono una scatola trasparente. Senza mistero. Il pesce mi zompetta nelle vene. Ma forse è solo un misero moscerino. E io una boccia. Vuota. Nè mare nè sirena. Nè rena luminosa. E ogni primavera che ti sorride dilata la distanza. E io sono là che mi tendo e protendo che cancellare quello spazio. Poi lei mi osserva. E io capisco che è solo per aggiungere una croce. Perchè che tu non sei da me.
Tu non lo sai che quando torna l'inverno il mio labbro inferiore sanguina.

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