giovedì 5 aprile 2012

Non mi tremano gli occhi. Non più. Ho occhi diversi. Si sono incastrati ad un punto e hanno smesso di vagare. Me li sono ritrovati all'improvviso. Piombati qua, davanti alla mente e piazzatisi a farle da cancello. E le ciglia grate. E adesso sono aperti, spalancati. Come quando non hai più voglia di stare male. Una mattina mi sono svegliata con questi barbari invasori vestiti di brandelli di curiosa e sagace circospezione. A volte ti sembra che gli occhi, forse da soli, si siano lanciati in traiettorie senza fine, come ami di pensiero, e che si siano persi in giri senza direzione. Come cerchi che tentano di sovrapporsi. Ma che diventano bordi sbavati di uno stessa figura. Come comete senza stelle. Strappo dopo stratto. A ricucire il cielo. Ti sembra di guardare tutto quello che capita. Senza un ordine preciso ed è come ribaltare le storie. E piazzarti nel bel mezzo di una fine, senza aver mai letto l'inizio. E senza che nessuno ti abbia mai presentato il protagonista, per commuoverti per un lieto fine, uno qualunque, che ha catapultato tra stelle e calci ignoti sconosciuti. E piangi e ridi per condividere o per rinunciare. Perchè quelle lacrime calde sono un segno. E tu vuoi lasciarne. Senti che devi. Non puoi fare altrimenti. Come se il loro solco fosse il testimone della tua esistenza e tu lo passi a chi sta arrivando. Bevimi e bevi le mie lacrime. Ricordi? Ti ho pianto addosso mentre eri dentro di me. Eravano più liquidi della pioggia. Senza nessun confine tra il piacere ed il dolore. Tra la gioia e la malinconia. Forse è questa la vera pazzia. E questa precaria stabilità, come precaria è ogni foglia, prima che arrivi il vento, e si lasci cadere nel vuoto aperto, ti aiuta ad accarezzare le cose, come se nascessero proprio mentre le stai scoprendo, o solo ritrovando. E le rivedi, tanto meglio, mentre stai andando. Perchè nel distacco tutto si colora di nuovo senso. Ed una verità, quella più difficile, si è adagiata dentro e ha preso a sventolare, come una bandiera, dopo l'inno. E tu sai, come se fossi scrigno, che dentro, anche quello che sembra faccia male, fa bene, ed è giusto perchè è vero, più che sincero, ed è destinato a trovare il suo posto. Con tutta la cautela di cui ha bisogno la pelle, per riconoscere. E' più facile elencare quello che ci manca rispetto a ciò che si ha. E ciò che si detesta piuttosto che ciò che sia ama. Come se fosse un vezzo. E me lo tengo stretto dentro perchè riscalda, anche se è destinato a spegnersi. E a lasciare cenere calda. Smetterà di esistere, questo lo so, ma adesso è qua. E io abbraccio con tutta me stessa quel palpito. Io sono il guscio e lui il frutto ed io il suo frutto e lui la mia tana. In una osmosi tenera e tiepida. E così rara. Per questo è difficile lasciarla andare via. Come quando sogni che qualcuno sappia ingoiarti e farti da culla. Solo per baciargli il cuore. E fartelo battere al posto del tuo.
Era ieri.

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