Avevo preso appunti, li avevo seminati
nella terra, in una buca coperta. E avevo livellato il bordo, con le
mani umide di erba. E poi avevo corso, e ancora, nella pioggia. Al
limite del fiato e della dignità. Mi piaceva pensare che così sarei
diventata goccia, goccia con il cuore in petto. Incapace di smettere di
battere, e di sottrarsi a quel circolo vizioso e cruento. Quello
dell'inevitabile, del cambiamento, della tormenta. Della tempesta. A
volte, nel cuore della notte, mi svegliavo. E risentivo la voce della
terra. Di quel seme. E ne percepivo il gemito. Lo schiudersi avido alla
vita. E il segreto nella mente. La mia vera casa. Nel suo pensiero mi
sentivo nel posto giusto. Un pò meno sbagliata. E le mie unghie sul
muro, a segnare la traccia. Senza graffiare. Io sapevo solo accarezzare,
allora. Ed ero capace di ignorare, ogni crudeltà, ogni debolezza.
Esattamente in quel posto, avevo la sensazione di essere viva.
Intimamente esatta, giusta. Meno donna e più uva matura. E la mente
precipitava sulla carne, dandole il sollievo dell'oblio. Non le restava
altro. Come se lo scorrere di quella goccia, o di una qualsiasi, fosse
un segnale.
La parte peggiore di me segna il percorso.
Pochi ostacoli alla meta.
Forse una conchiglia.
Perchè tutto è meravigliosamente relativo.
Prova a chiudere un occhio,
e il mondo cambia.
Quanti castelli di sabbia, senza re e regine.
In attesa della marea.
E forse di una parola.
Di una sola.
Non di più.
Mi sento presuntuosa e diversa.
E l'umanità ha un'eco deliziosa.
Anche oggi ho provato il brivido disperato del tuo rifiuto.
"Non ti amo. Ti voglio bene. Ma non ti amo".
E io conto le mie dita e ci sono tutte.
Pensavo di poter morire per il non amore,
e invece sono viva.
Porca miseria.
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