martedì 23 ottobre 2012


Era rimasta colpita dalla linea delle sue mani. Un inarcarsi, inaspettato e bellissimo. Non aveva guardato il resto, ma quella curva, che dal polso si rendeva piega ed istmo e che prepotente si piegava fino alle dita, aveva raccolto i suoi occhi come acini maturi e li aveva tenuti in sospeso. Una sorta di contemplazione lenta e pudica, astratta quanto bastava. Mani adorne di vene, come fregi, ed energia asciutta. E gli parlò, solo concentrandosi su quella linea indaco che si diramava come un fiume. Sulla pelle. E mentre parlava, nella assoluta incoscienza della sua bocca, come se fosse altro da sè, scandiva e modulava la voce, e se la sentiva solo separare dalla gola. Mentre avrebbe solo voluto afferrare quel palmo e toccarlo e seguirne le linee e poggiarci le labbra e schiacciarle su quel battito, come se in quel punto ci fosse stata una sorgente, forse un cuore lontano. Quasi come se avesse avuto voglia di bere. La voce di lui la distrasse e la costrinse a guardargli gli occhi e le ciglia fitte, fino ad intrappolare le sue pupille dentro la sua iride, come dentro una gabbia, una rete, un setaccio, dai quali si vuole solo colare, uscire, sfuggire. E la misura è solo lo sforzo per resistere e ricercare una forma plausibile. La misura che lo stato delle cose ci impone. Senza smettere di arrivare dall'altra sponda, oltre tutto il limo, oltre la corrente, dove quella misura non conta. Fosse pure con un balzo o con un battito di ciglia. O con un respiro. Tutto questo durò per alcuni istanti, durante i quali le sembrò di riesplodere, all'improvviso, dall'oblio, da una assenza o da un piccolo viaggio a ritroso. O solo da una vertigine. Ed ignorando, nella maniera più assoluta, quale fosse e fosse divenuto, nelle more, l'oggetto di quella plausibile conversazione, di quel rincorrersi di sillabe, si ritrovò estranea e distratta in un discorso vago. Infilzata sull'asfalto, come un sassolino lunga la strada. E lottando con l'idea di quella mano, e del suo bordo, e del suo confine con la luce, e del suo senso, suo e di tutto il resto, e della misura in cui fosse parte di quella creatura, e quanto di lui ci fosse, in un impeto si chiese piuttosto quanto di lei ci fosse nel suo sguardo curioso e assorto, lo stesso che l'aveva resa distratta e catturata e calciata come una pallina, il più lontano possibile.
Fissò il cielo.
Come si conviene.
Per non sbagliare. 
Perchè una donna a volte deve sembrare meglio di quello che effettivamente è.
E quella pausa dalla realtà in quel momento la divertiva, e non poco.
E con il suo modulo davanti, impigliato in una penna, senza direzione, propose una pausa, magari un sorso d'acqua fresca, o un venticello. 
E mentre camminavano, vicini e gentili, si impedì di sfiorargli il polso.
O forse no.
Bastava così poco...

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