martedì 23 ottobre 2012


Perché per dire alcune cose devi avere la sensazione che nessuno ti ascolti. E la tua voce sia un filo, tra te e la tua anima. E tra la tua anima ed il tuo sangue. Un triangolo isoscele. Il gomitolo ingombrante che ci devasta e ci pulsa in petto. C'è sempre un nodo inaspettato. Davanti ad uno specchio immaginario, come nell’occhio di un pozzo qualunque, ti sporgi e raccogli la tua scia. Bava di luna. Non chiamatela lacrima. Intorno ad un rocchetto. Forse un’isola. Quella che non c’è. Ti strucchi e resti nuda, con la tua pelle, e le tue vene. E la luce triste e tremula dei tuoi occhi. L'ombra dei tuoi sogni. Resti a contemplarne la fragilità, e tutta quella di cui sei fatta; tutta la voglia che hai avuto di nasconderla, come se il tuo riserbo fosse la tenda sottile e svolazzante della tua anima. E se inizi a contare, perdi sempre l’ultima cifra, e ricominci. 

Uno…

E ci riprovo.
Una pila di tentativi mi sorride. Traballa e si ricompone. E io la guardo come una gatta, che sente le unghie ritratte e spia la luna. L’ho fatto. E lo confesso. Lo sussurro, adesso. E mi flagello. Fino a sentire le fitte, righe, figlie di petali e di spine. O solo rigagnoli di campagna. Fino a mescolarle alle mie vene. Io amo le parole. Sono foglie. Mi piace stanarle. Come nella terra. Mi piace il loro suono, ordinato e composto. Gli incastri di parole. Cariche di vita. Fiori di lettere che sbocciano dalla mente e che le dita stanno secernendo. Come se fossi una donna albero. O solo una parola un pò più complicata. E i miei pensieri radici di alberi nel bosco della intimità, con la sua aurea, più profonda e religiosa. E di delirio in delirio mi sono plasmata. E adesso ho solo bisogno di una pensiero concreto. Di un tozzo di pane e di volizione. Per lasciare sprofondare quei tentativi nelle viscere della terra. E sentirmi libera, come solo uno strappo può fare.
O solo un dolore nuovo nel quale nascondermi.
Almeno finchè la notte non sarà passata.

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