martedì 23 ottobre 2012


Vuota la città e incredibilmente bella la luna. Una luna storta, dondolante e senza pretese, a macchiare, a timbrare, ad imbrattare un cielo liscio, strisciato di un blu intenso, quasi come quello di una pozione magica. Delle medicine nelle fiabe. Non ho mai amato particolarmente le pietre preziose. I gioielli che preferisco sono le foglie. Mi piacerebbe avere una stella al collo. Mi viene da pensare che niente sia più bello delle stelle. Rassicurano e sconcertano. Come se fossero il cappello di tutti, il coperchio del mondo, il nostro tetto. E poi l'inizio dell'altro, di infiniti mondi, degli infiniti mondi che ci avvolgono. Nei paesi, come il mio, un paese di mare, fatto da gente di mare, con l'odore della salsedine nell'anima, accade così, accade questo, dopo l'estate. Ci riappropriamo della regolarità della nostra vita e dei nostri luoghi. Ed ad una certa ora piomba un silenzio tutto nostro. Senti solo la voce della notte nei vicoli. E con il cielo sulla testa, mi sono sentita avvolta dal rumore fioco dei miei passi e dall'aria appena appena calda. Era tutto misteriosamente piacevole e sincero. Una solitudine imprecisa che non ha bisogno di parole. Ed i miei pensieri nella tasca, della giacca sbagliata, non quella che indossavo. Ho avuto voglia di sfilarmela, e sentirmi la notte sulle spalle, sulla pelle, a lisciarmi le ossa. E' esattamente questo che succede nelle sere di settembre, in paesi come il mio. La città dorme e tu riesci a vagare con la mente vuota; come in quello stato che precede il sonno e che non vuole sapere più nulla, del resto. Di tutto quello che vorresti non ti toccasse, e fosse dietro l'angolo. Così i passi, uno dietro l'altro, passi sicuri sulla mia terra, sulle strade che un pò mi appartengono e che sento mie, nonostante tutto, mi hanno riportato alla mia casa. Avrei camminato ancora, forse l'avrei egoisticamente spostata un pò più in là. La finestra del piano di sopra semichiusa e la luce oltre la tenda svolazzante. L'odore del ferro caldo sulla ringhiera. La strana e piacevole sensazione di non avere più nulla da dire. Di aver completato un discorso e di avere tanta voce a disposizione. Un cane in lontananza. Un altro dietro il cancello dei vicini a scodinzolare, in attesa della sua grattatina in testa. E' tutto così semplice e così complicato. Sono una canna vuota. E non sento altro suono che quello del vento. E una gran voglia di essere ascoltata, senza parlare. La voglia di essere abbracciata e protetta, come da questa, da quella, notte, con le sue braccia familiari, lunghissime e buie. E non sentire la delusione, la tristezza, lo sconforto, come è capitato. E poi a ridosso il timore che torneranno, come capita spesso. Anzi sempre. La sensazione di non esistere per chi conta per te è quanto di più triste possa capitare ad una donna. E con il tempo ho capito che la sincerità va dosata. Perchè sbiadisce. Ti rende troppo vicina a quello che davvero sei. E gli altri hanno bisogno di altro. Di frapporre altro tra te e loro, e che non sia verità. Quello che avrei voluto sempre dire, sussurrare, forse solo pensare, è che la coerenza, l'unica coerenza, è l'ascolto nitido di noi stessi. 
E mi ritrovo a dirlo.
E non volevo ma ho ripreso a pensare.
E intanto il cielo è ritornato sulla mia testa.
E' così ridicola e disordinata la dolcezza,
ma non so smettere di desiderarla.
Starei a guardare il mondo e la vita degli altri per ore.
Per imparare.

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