Ci sono cose che non sembrano nostre, come se non lo fossero mai state, nel momento in cui le immergi nella lucidità, asciutta e ruvida, nell'istante dopo il distacco. Quando le cose hanno preso il loro posto, o comunque sembrano aver perso quello che avevano in te, o nelle tue vicinanze. Nella tua periferia più approssimata. E i lividi restano aloni, o solo simboli che prestano la loro traccia alla carne. Un percorso. Una caccia al tesoro per una dimensione imperfetta ma purissima. Non c'è neanche il dolore a fargli da culla. Per caso lei aveva compreso che le piaceva cucinare. Quasi una sfida in famiglia. Tagliare, trasformare, mescolare, in una chimica che sembrava elementare, e non lo era forse. Sentire l'odore della vita sulle sue mani. E negli occhi dei suoi amici. Era una specie di proiezione sacra della specie, quella. Così dovevano averle insegnato. O le piaceva pensare così. Nutrire chi si ama. Era il modo più immediato per prendersi cura dei propri cari. Anche se a volte riempiva le distanze come le pance. In fondo, la bellezza si può slanciare in lunghezza per diventare lontananza o forse futuro, o solo spingersi verso il cielo e compensare così la gioia in profondità.
E a volte mi fa paura.
Credo che la cura sia attenzione.
Per i dettagli, anche i più minuscoli.
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