Succedeva così. Mi piaceva guardare il mare, penso siano pochi quelli a cui non piaccia, e che non riescano a sentirne il richiamo. A me accadeva, nelle notti d'inverno, con la testa sul cuscino o d'estate con la testa tra buio e stelle. E mi riempivo di un misto di paura e di fascino, come è sempre accaduto per i grandi drammi della mia vita. Quando la notte diventa solo un foglio su cui inventarsi una dimensione speciale. Forse neanche sognare, ma solo sentirsi proiettati, spinti. Spesso di notte studiavo, mi riusciva meglio che durante il resto della giornata, e non smettevo di guardare il mare, mentre ripetevo e mi spiegavo le cose. Come se nel buio la mente si levigasse e fosse più capace di raccogliere quello che ci infilavo dentro; non che fosse così semplice. Ma la parte che amavo era quel silenzio così familiare, intervallato dai suoni della intimità della mia casa, della mia famiglia, un colpo di tosse, un lenzuolo che si spostava, i passi dei miei vicini che rincasavano, il cancello di fronte che veniva aperto e richiuso, sempre alla stessa ora e le lancette che si inseguivano imperturbabili. Durante l'estate leggevo e leggevo, e non riuscivo a smettere. Seguire vite sconosciute, come ad affferrarne i polsi e lasciarmi trascinare dal loro corso. Poi la vita in alcuni momenti ci rende stanchi e pigri e forse un poco tristi o solo immensamente carichi di malinconia e ci sembra di di vivere per differenza, perchè ogni somma è una aspirazione troppo grande; come se la gioia fosse un debito, un pegno per il futuro. E quella stanchezza si sposta dal corpo all'anima e poi viceversa. Fino a nasconderci nel sonno.
Vorrei tornare capace di sognare
e di sentirmi così libera e forte,
come nelle notti d'estate.
Con le stelle negli occhi.
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