venerdì 24 gennaio 2014

Pensava che nel parlare di lei, della sua intimità, delle sue stanze, ci fosse un prezzo troppo alto da pagare. Le era sempre importato più della sostanza che della forma e mentre sentiva di aver superato la linea del candore non contava molto, e non più, il divario tra la carne ed il cuore. Solo l'amore poteva ridare la dignità al suo peccato, asciugarne la scia umida e lasciala andare avanti. E incastrava chiavi in serrature sbagliate, perchè cercava la parola giusta. E sentiva tutto lo stridore e l'indolenza di quegli incastri sbagliati, mentre le bruciavano le vene. E tutto questo si traduceva in una svogliatezza. Aveva confuso apposta le chiavi. Per non aprire mai, per davvero, nessuna porta. E restare a spiarne ciascuna. Potevano possederla ma mai averla per davvero. Restava sempre un bordo impenetrabile. Ma a chi importa arrivare ai confini di noi? E noi lo vogliamo per davvero?
Nella rarità di una porta che si spalanca deve dosarsi il buio e la luce. 
E non dare per scontata mai nessuna ombra.
Sento un errore non mio che mi riempie.
La corda mi graffia i polsi e mi solca la carne, sempre più a fondo.
Non sono in questa pelle, ma dentro la mia anima.
E mi scompongo nei dettagli.
Uno di questi è il mio respiro.
Forse il primo.
E non si avvicendano con ordine.
Ho sempre bisogno di una dimensione mistica per ogni indecenza.
E me ne accorgo mentro mi rivesto.
Perchè non raccolgo più, non più, le parole tra le lenzuola.
Sono il passato.

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