venerdì 24 gennaio 2014

Frammenti di tempo ed i ricordi vengono soffiati via. L'alito del tempo, come polvere di deserti dimenticati, spogli di miraggi, asciutti come rami secchi. E quella goccia che ci salva la sentiamo diluita, quasi al limite della coscienza. Se chiudo gli occhi percepisco il mio respiro, come un filo d'acqua. Quello che ci regge è un filo di ferro che io non voglio chiamare speranza, perchè la speranza ha un'astrattezza che non sopporto. Sui miei polsi ho disegnato gelsomini, per impregnarli di sangue. Se li anussassi sapresti quanto io sia persa dentro i sogni. Sogni macchiati, sporcati, da grumi di realtà. A volte mi racconto la vita che non è stata ed in quei momenti scopro a quanto amore ci sia in quella in cui sono inciampata e magari lo abbiamo ignorato e sottaciuto. Non è la dimensione del sogno che ci rende meno vivi perchè forse nel sognare vi è una intesità più forte, vi è una strana concentrazione di vita, fitta e densa, come un bosco in cui orrore e meraviglie si mescolano ed urlano. E poi penso all'inutilità dell'odio. A quanto sia facile allontanarsi dagli altri per riempire ogni spazio di distanza. Al bisogno di sentirsi speciali, all'idea eroica di noi che abbiamo bisogno di sciorinare nel vento, sperando che le mollichine non si perdano, o comunque non troppo. Io non so comunicare, perchè la mia idea di sogno è la comprensione, la capacità di essere intesa, sentita e sorpresa. Con poche parole, sempre molto asciutte. Quello di cui avrei bisogno, come una dolcezza indecente, cruda e sincera, capace di segnare, di tagliare, di affondare. Fino al confine inverso della mia pelle. Nel solco in cui si cela, come un fiume sotterraneo, il segreto che ci plasma.
 
Il mio è nella mia testa e si rifiuta di ribaltarsi nel cuore.
 

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