venerdì 27 maggio 2016

C'è una strana simmetria nella crudeltà. Sembra quasi fare il verso a rintocchi di campane, pigre ma stanche. Prima di mezzogiorno e che sia troppo e troppo tardi. La misura del tempo chi la dà? La nostra giugulare che pulsa, il rincorrersi dei nostri passi o una lancetta sottile e stronza, quasi sorda, che non si sbaglia mai e non si ferma neanche a pregarla. Ci vorrebbe un martello. Come quella volta che mio nonno che non sapeva spegnere la radio la fracassò al suolo. Per un po' di silenzio meritato. Diceva che ne era valsa la pena e usciva di nascosto ad ascoltare la musica dei jukebox del lido laperladelmare. Mi sorrideva da sotto l'ombrellone con la granita alla menta e i suoi pensieri lontani. Nessuno pensa mai ai propri cari come uomini e donne: ti viene facile pensare che siano sempre stati là nella casetta dei nostri ricordi, senza alcuna vita loro. Come se fossero nati esattamente così nel posto in cui li abbiamo incontrati, nell'imprinting del nostro amore, incastrati al nostro cuore. E' assurdamente senza regole l'amore, lo senti e non riesci neanche a spiegarlo, e più è vero e più non ci sta nelle parole, le dilata come un caldo malato, come una febbre. La crudeltà invece è fedele, diversa dalla bontà, irregolare e sbadata, quasi ebbra e sbrodola. C'è un armonico orrore nella crudeltà. Nei suoi morsi esatti e precisi. Quello strapparci pensieri da sotto le unghie e confondere l'urlo con il dolore. La dignità e l'orgoglio. I sentimenti con la rabbia. Di non avere più quei pensieri o solo di averli pensati. Sarà pazzia, anzi lo è. Quell'urlo muto e denso che si sostituisce al sangue e che scorre senza che tu riesca a fermarlo. Con tutta la forza di cui siamo capaci. Io non incanto più. Sono nuda. Un tempo sentii la vita prepotente e fervida. E vivida lo fui. Foglia verde e sincera. Adesso non più. Sono più nuda della terra, di una terra dove è stato raccolto tutto e c'è solo polvere. Sono un ramo senza fiori. E ho impiccato le mie povere foglioline, prima che divenissero secche. Non gli ho dato il tempo di invecchiare, di farsi lacere. Ho spezzato la lancetta, poco per volta. Un albero che muore di freddo ma non può dirlo, si lamenta solo per i suoi fiori persi. Ma non chiamatela fiducia era una serie infinita di virgulti che non divennero mai petali schiusi. Sarebbero stati una bella collana di vita, vissuta e sognata e masticata e trattenuta, sul mio seno, nei pressi del cuore.
"Piove.
La pioggia si è impossessata del cielo.
E riga l'aria. 
La segna. 
Striscia.
Raccoglie e ruba come una ladra".
La pioggia non mi ha mai disturbata. Sentirmela addosso. Io che in genere la sento dentro. Trovo inutile l'ombrello. Nasciamo per prendere tutta la pioggia che ci capiterà. Con il desiderio di essere asciugati. E ancora bagnati.
"Adesso ho freddo io" ... anche se ho paura di infilare le mani nella pioggia.
Piove scuro. Oggi piove denso e scuro. E la campagna schizza ciuffi impazziti di margherite selvagge nell'aria. E i papaveri con le loro corolle irriverenti e sprezzanti. E canne sul bordo della strada. Mischiate a fango. Quasi compiaciute. Il verde si ribella. Quanto amo il verde della mia terra. Il cielo è scuro e di contro si staglia quel verde smodato, indisciplinato ed incolto.
Credo che la pioggia sia un atto di amore tra cielo e terra.
Un amplesso primitivo ed intenso.
Il cielo che si scopa la terra.
E lei resta come la più autentica delle culle.
Piovimi addosso.
E ancora. . . . .
Ho paura.
E vorrei che la pioggia avvolgesse i miei polsi.
Ora sono completamente vestita di pioggia.
E nella pioggia vago.
E nella pioggia mi arresto.
"Ho sempre più freddo".

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