venerdì 27 maggio 2016

Quei fili invisibili. Una tela senza ragno. Attende di essere spezzata. Un vestito di aria. "Ho freddo. Non rubarmi la neve dagli occhi. Le ho chiesto di andare a fondo e di coprire tutto. Di cancellare. Se ti chiedo di fermarti non ascoltarmi. Ho solo parole eccessive, quasi ridicole. Sono parole buffe ed invadenti. E voglio imparare a parlare con parole invisibili. Piccoli cristalli destinati a sciogliersi e divenire goccioline". Perché tutto quello che conta diventa sempre meno visibile. Si stinge. Si assottiglia. Si veste di oblio. La vita lo veste e lo sveste di rimembranza e di lenta distanza. E poi, come se fosse stanco, si adagia nella penombra. Deve fare posto a tutto ciò che arriva. E' per quello che scompare. Così sembra. Ma così non è. Siamo pieni di segni che ci hanno levigato l'indifferenza addosso. Si mimetizzano ed affondano nella memoria della pelle. Una memoria crudele, fatta di cicatrici silenziose, lembi su piccoli o grandi inferni, su pozzi, su frammenti di stelle. Qualcuno ha trovato il coraggio e ha cucito le due sponde. Segni che affondano e sfaldano strati, portando via con sé tutto il possibile, l'eccesso, il deserto, e ancora il troppo e il poco ed ogni ritegno. Sino a rendersi irreperibili. "Qualcuno c'era prima qua". Sembra dire il cartello, ma non lo dice. E' distratto e silenzioso. Ma se ci infili il dito, sentirai la presenza di qualcosa, che prima di diventare traccia era impronta e prima ancora altro. Era un qualcosa a forma di vita, pulsante e grondante di vita e che proprio quella vita, tutta quella vita capitatagli, ha fuso con la tua. Niente è più avido di carne e di materia e di nome, dei sentimenti. Soprattutto quando sono fragili e senza forza. Li barattiamo in emozioni e sensi, per ingannare la carne. Lei vuole tutto e tutto vuole trattenere. Sfugge, solo ciò che conta e si adagia in una profondità recondita ed immemore. In un viaggio senza ritorno. Qualcuno la chiama memoria del cuore. Altri anima. Solo perchè alla fine nessuno davvero lo sa. E poi a chi importa?
Come fragole morenti, in quella cesta.
Nella cesta della vita.
Ma c'è quella nuvola densa e morbida che si addensa. E c'è e deve esserci intorno al cuore. Un po' per farlo tempesta e pioggia e grandine e tuono, in attesa del sereno. La morte di un delirio in attesa di quello successivo, perché la serenità è una pausa. Quasi una tana. Ed un po' per proteggerlo, come una tenda o come una seconda pelle. Mi piace pensare di poter avere, che possa capitare, di avere le nuvole sulla pelle, sulle labbra, sulle ciglia, nelle orecchie. E' come essere un pochino fatti di nuvole. Di una sostanza che ci rende quasi impercettibilmente diversi, quasi una tenerezza misteriosa e nello stesso tempo vera, forse una confidenza quasi spiccia con il cielo.
Perché poi ho scoperto che quando le fragole muoiono non sanno sanguinare.
Hai mai infilato le mani nelle nuvole?
Io lo faccio ogni volta che mi slento.
E mi ritrovo in una strana sospensione.
In un'oscillazione che non ha tempo e ne ha troppo.
La fine e l'inizio come bordi di una stessa stoffa.
E l'ago che li penetra senza smettere di lasciare dei vuoti.
Da cui fuoriesce ancora un filo di speranza.
E' così che mi è capitato di ritrovarmi le nuvole nelle vene.
Una strana attitudine a sognare concreto ed a vivere astratto.
Ti ho lasciato un acronimo in un prato, e vi ho piegato petali, corolle e spine.
Vorrei che tu mi ricordassi così.
E questo è un segreto di nuvola.
E in quella nuvola c'è tutta la intimità.
Il legame più prezioso tra due creature.
Qualunque forma abbia.

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