venerdì 15 maggio 2009

Annoto battiti su una pagina stropicciata. Li annodo ai bordi. Come se ricamassi ridicole asole. O storie. E mi sdraio nel centro. Per non urtare il resto. E gli altri. Mi rifugio dentro pagine sconosciute. Sanno di passato. Un diario consunto e fitto. Pieno di luce buia. Non conto i fogli che mi separano dalla copertina. La mappa è qui. Tra labbra e labbra. E vi ripongo occhi. Lentamente li affido all'oblio. Oggi voglio affondare in un mondo senza occhi. Cadervi a picco. E perdermi nell'odore buono del pane. Nel rumore morbido dell'acqua. Dove nessuno ha bisogno del bisogno. E se ama, ama immensamente. Impicco la pretesa ad un lampione cieco. E là sventola la mia stupidità. E tocco il mondo. Con le mie dita e le mie ciglia. Affamate. O forse solo finte. Le risposte sono arrivate. La pioggia ha graffiato il vetro. Ma ha pulito l'aria. E' meravigloso il suo odore sincero. E per la prima volta io vedo. Senza occhi. L'alone dolce delle parole scorre lontano. Si è liquefatto. Ho rivestito di zucchero e canditi lucidi i pensieri. Ho strappato promesse inconfessate. E le ho cosparse sulle labbra di altri. Annusandole come fiori appena sbocciati. Era indifferenza. L'apparenza è il più indegno digiuno. La cattiveria è la più strana delle regole. Ma non è sciocca come la crudeltà. E nulla è più crudele che staccarsi gli occhi. Barattarli con il sogno. Imbrattare di amarezza le pareti. Solo perchè non riesci a disegnarci la primavera che senti. Quasi imporlo al mondo. Costringerlo a respirare a modo tuo. E poi a volte i battiti sfuggono da quel foglio. E io là. Senza più battiti. Attendo che il tempo volti pagina.
Pensavo di donare lealtà.
Erano solo foglie.
Ridicole foglie.
A pochi posso dire che la parte che preferisco del fiore sono le radici piene di terra.
"Dammi la mano amico mio. Ti porterò nella stanza della pioggia".

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