martedì 5 maggio 2009

Il mare pare abbia rubato tutte le stelle al cielo. La luna, una luna di avorio, candida e bugiarda, strappa la memoria. Strato per strato. E li annoda. E si ricopre di purissimo oblio. Mi è sfuggito dagli occhi un mare di stelle. Implose. Frammenti e deliri e soffici cuscini. Le mie ossa si rifugiano nella carne. A caccia di calore. L'unica tana possibile. E io la tua.
La belva ha fame e contrae le viscere. Si contorce. E sembra quasi amore.
Amore.
La parola fatta mondo.
"Dammi il tuo nome. E ti darò il mio".
Saranno le chiavi. O una sola. Fatta del mio nome e del tuo. E suggeremo oscurità.
C'è troppa carne nel mio cuore questa notte. E parole. Come scrigni. E come mondi di mondi. Dove l'unità di misura non è il corpo. Tutto si misura con altro.
Mi macchio di sangue e di azzurro. E di polvere. E lento è il mio amplesso con la crudeltà. Sono la puttana del buio. E' l'unico padrone che riconosco. E non gli resisto. Per lui potrei anche non essere. E gli spalanco ogni mia remora.
Quante storie dentro una storia?
Quanti uomini dentro uno solo?
E tra le sue estremità?
Da quale mondo proveniva quella voce che mi riempiva i frammenti nella mia misera testa? E mi gonfiava le vene di vita. Come vele. E le percuoteva fino a strapparle. Ero il misero brandello di una vela. Io. O un'altra. Nulla di più. Una vela temeraria. Gonfiata dal vuoto. E le mani come coppa. Come se respirare fosse una scelta.
Ero una donna di vetro. Una bottiglia. Con le sue curve della carne e dell'anima imprigionate nel bagliore lucido di quel vetro. Con un messaggio. Uno stupido segreto. In attesa di essere frantumata.
Solo così avrei salvato il mio segreto.
Ma così non fu.

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