lunedì 10 agosto 2009

Ci proverò a spiegare quell'intarsio di pece e di miele che in un attimo mi travolse. Bastò una chiave. E il mondo si tinse nero. E fece di me altra. Piccola. Femmina senza ventre. Colavo dalle fessure. E non trattenni nulla. Fuggii. E così mi persi. Come una foglia in un bosco. Io ritrovai la delusione e il perdono. E li confusi. E perdonai invece di sentirmi delusa. E mi sentii delusa invece di perdonare. Come se avessi confuso le mani. E le sporcai. E me. Mentre le femmina colava ancora. Emorragia di donna. Nella pozza di un presente da rinnegare. In cui specchiarsi. Senza trovare la forma dei propri fianchi. Come se fossero panelle. Erano carne. Non erano voglia. La foglia adesso aveva raggiunto il fiume. Spenta sul suo letto. Desiderava annegare. Attenta a scansare i sassi. Distesa. Osservava solo il cielo. In attesa della foce.
Una foglia di carne si è mai vista?
Non ho spiegato. Solo riosservato. Io non ho bisogno di capire. Solo di una parola. Ne ero convinta. Ora neanche più. Il tempo l'ha resa inutile. Ha tatuato il bisogno. Tra le mie labbra.
Negata.
Ma non è così che cambia il mondo. E gli altri non sono sagome nel nostro teatrino. Di scelte vivono. E noi pure. Io quelle scelte non le ho fatte. Rovistavo tra le mie vene. In cerca della parola. Era nel sangue. Ma non nel mio. E la immaginavo tra le labbra avide. Le mie dita la disegnavano su quelle labbra. Intingendole nella saliva. E lasciandole leccare.
Il mondo gira nell'attesa.
E una risata lo spinge avanti e dietro.
Io resto.
E mi ricambio.
Sono l'unica che può cucire gli strappi.
Tra me e me.
Coperti dalla pece.
E dal miele.
Leccati.
Come se fosse pelle.
E come se fosse quello che non era.
Forse un disegno.
Forse una fiaba.
Forse una voce.
E mai sarà.
Se poi il mondo non gira, giro io.

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