mercoledì 25 settembre 2013

E gli guardavo gli occhi, come due lame, sottili e lucenti, come due lune accasciate, senza una gran voglia di parlare; speravo mi capisse, cogliesse le mie intenzioni, come fiori ambiziosi, dalla corolle attente, pronte a sbocciare. E poi inclinai la testa, come facevo quando avevo bisogno di coccole, e sentii le lacrime che mi bagnavano il viso fino al mento e giù di lì. Non senza spingere le iridi contro il cuore, oscurando ogni segno di cedimento e di debolezza. Perchè la mia fragilità era tutta nei miei occhi. Il resto era un orpello inutile, destinato ad evaporare, come se fosse rugiada che andava incontro ad una nuova alba. E nel negarsi la comprensione, vi era tutto l'orgoglio ferito, maciullato, sbriciolato. Ed una nuova voglia di preservarsi, di trattenere il vento e lasciarsi sconquassare l'anima e la mente, senza soluzione di continuità. Tutto il resto non aveva bisogno di parole, perchè avvertivo una profonda noia per le parole. In fondo mi serviva solo la verità che dal fondo al bicchiere si diluiva nella mia gola, mentre sorseggiavo quel piccolo pozzo di desideri.
Non essere compresa era un lusso che mi rendeva fiera e triste.
Nello stesso momento.
E non sapevo smettere.
Eppure un sorriso, uno speciale, era proprio dietro le imposte.
Appena sulle mie ciglia.
 

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