Oggi
avrei solo voglia di scrivere cose tristi. Perchè sono triste, e non
dovrei. Ma lo sono, quasi irrimediabilmente. Ed è una situazione ancora
una volta complessa ed inestricabile. Il contrasto tra quello che sei e
quello che gli altri si aspettano da te. E tutto mi pulsa nelle
tempie. E questa tristezza respinge. E sono sola, come mai prima. Il
mondo sembra troppo veloce o troppo lento e io sento la pelle che
striscia, che stride, che quasi diventa elettrica, contro tutto questo.
Non so spiegare, non so descrivere, non so fermare, eppure vorrei,
vorrei frapporre e spingere le dita dentro tutto questo. Come quando
infilai un piede sotto la sedia a dondolo, e mia nonna e mio fratello,
che lei cullava al petto, quasi cadevano. Eppure io lo studiai,
analizzai il movimento, prima di infilare il piede, sotto. Mi sento di
assorbire il dolore degli altri e non voglio più. Gli altri ti
riversano il loro dolore, i loro problemi, le loro inquietudini. E tu
le assorbi, le lisci, le levighi. Fino a non poterne tu. Perchè in
tutto questo, hai quasi perso il tuo sangue. E non ritrovi più te
stessa. Non so. Non mi sono mai sentita più inadeguata a vivere. Ogni
mio sogno, ogni mio desiderio, ogni mia aspettativa è stata
accartocciata, appallottolata, a volte sventrata. E così ogni mia
paura. L'ho confessata e subito è diventata realtà. Perchè io credo che
la magia si abbia solo quando qualcuno ti percepisce per come sei e
non ti vuole diversa. E non so fermare tutto questo ed uscire dalla mia
testa. Forse è questa la solitudine che ho sentito spesso descrivere.
La impossibilità che gli altri giungano davvero fino a te e che tu
giunga a loro. Sono portatrice insana di tristezza ed in un attimo
tutte le mie certezze sono voltate via, come farfalle. Ho decisamente
bisogno di dimenticarmi. Di un poco di sano oblio.
E poi nascondersi, solo per essere cercata.
Finalmente.
Rendersi
puntino, piccola stella di polvere. In attesa del soffio al ridosso
del vento, di un vento che urla e racconta. E perdersi, accavallarsi,
allitterarsi, rotolare, nel senso strisciato di parole che si addossano a
parole, e pensieri a pensieri, e tormento e gioia si mescolano in una
coppa, e tu hai una voglia pazzesca di leccarne il bordo e specchiarti
in quella zuppa che ti darà un nuovo colore. Non riesco molto a
parlare. Io ascolto e mescolo una confusione calda, e crudele. Non lega
nè leviga, e io affondo e l'aria è il mio cappello. A volte mi vesto
di stelle, ma solo per spogliermene. E per strappare insieme a loro una
rabbia sottile, come un velo indaco; perchè il mio valore si deforma
nel tuo ghigno e nel tuo alito sul vetro e nei tuoi occhi che mi
guardano fino a sotto, come se fossi la grotta del peccato. Il sapore
dell'impotenza e del parlarmi addoso è quasi logoro, osceno ed ondeggia,
come fa una fanciulla sui suoi tacchi, e si conta la vita nei passi.
Ancora uno.
Ho dimenticato come si resiste.
Ancora un altro.
Io non so più resistere.
Ed urlo.
Ho chiesto aiuto.
Ho steso la mano.
Un nuovo passo.
In attesa della carezza.
Non è arrivata.
Come se io fossi petalo di carne.
Da straziare.
E gocce di sangue tra le spine.
Forse promesse.
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