mercoledì 25 settembre 2013

Oggi avrei solo voglia di scrivere cose tristi. Perchè sono triste, e non dovrei. Ma lo sono, quasi irrimediabilmente. Ed è una situazione ancora una volta complessa ed inestricabile. Il contrasto tra quello che sei e quello che gli altri si aspettano da te. E tutto mi pulsa nelle tempie. E questa tristezza respinge. E sono sola, come mai prima. Il mondo sembra troppo veloce o troppo lento e io sento la pelle che striscia, che stride, che quasi diventa elettrica, contro tutto questo. Non so spiegare, non so descrivere, non so fermare, eppure vorrei, vorrei frapporre e spingere le dita dentro tutto questo. Come quando infilai un piede sotto la sedia a dondolo, e mia nonna e mio fratello, che lei cullava al petto, quasi cadevano. Eppure io lo studiai, analizzai il movimento, prima di infilare il piede, sotto. Mi sento di assorbire il dolore degli altri e non voglio più. Gli altri ti riversano il loro dolore, i loro problemi, le loro inquietudini. E tu le assorbi, le lisci, le levighi. Fino a non poterne tu. Perchè in tutto questo, hai quasi perso il tuo sangue. E non ritrovi più te stessa. Non so. Non mi sono mai sentita più inadeguata a vivere. Ogni mio sogno, ogni mio desiderio, ogni mia aspettativa è stata accartocciata, appallottolata, a volte sventrata. E così ogni mia paura. L'ho confessata e subito è diventata realtà. Perchè io credo che la magia si abbia solo quando qualcuno ti percepisce per come sei e non ti vuole diversa. E non so fermare tutto questo ed uscire dalla mia testa. Forse è questa la solitudine che ho sentito spesso descrivere. La impossibilità che gli altri giungano davvero fino a te e che tu giunga a loro. Sono portatrice insana di tristezza ed in un attimo tutte le mie certezze sono voltate via, come farfalle. Ho decisamente bisogno di dimenticarmi. Di un poco di sano oblio.
E poi nascondersi, solo per essere cercata.
Finalmente.
Rendersi puntino, piccola stella di polvere. In attesa del soffio al ridosso del vento, di un vento che urla e racconta. E perdersi, accavallarsi, allitterarsi, rotolare, nel senso strisciato di parole che si addossano a parole, e pensieri a pensieri, e tormento e gioia si mescolano in una coppa, e tu hai una voglia pazzesca di leccarne il bordo e specchiarti in quella zuppa che ti darà un nuovo colore. Non riesco molto a parlare. Io ascolto e mescolo una confusione calda, e crudele. Non lega nè leviga, e io affondo e l'aria è il mio cappello. A volte mi vesto di stelle, ma solo per spogliermene. E per strappare insieme a loro una rabbia sottile, come un velo indaco; perchè il mio valore si deforma nel tuo ghigno e nel tuo alito sul vetro e nei tuoi occhi che mi guardano fino a sotto, come se fossi la grotta del peccato. Il sapore dell'impotenza e del parlarmi addoso è quasi logoro, osceno ed ondeggia, come fa una fanciulla sui suoi tacchi, e si conta la vita nei passi.
Ancora uno.
Ho dimenticato come si resiste.
Ancora un altro.
Io non so più resistere.
Ed urlo.
Ho chiesto aiuto.
Ho steso la mano.
Un nuovo passo.
In attesa della carezza.
Non è arrivata.
Come se io fossi petalo di carne.
Da straziare.
E gocce di sangue tra le spine.
Forse promesse.
 

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