Mi limito alle cose semplici ed
essanziali, anche se a volte sento colarmi addosso, come colla, o come
miele, il mio arrovellarmi, il mio addensarmi in prossimità
dell'estremità. Una superfetazione dell'ego, con le sue spire
tentacolari, o solo nastri lisci e rossi, con il profilo infido. Troppo
sangue alla testa, e chiudo gli occhi. Nessuna elegia nel tormento, solo
un foglio bianco, nè troppo liscio nè troppo sgualcito. E perdo il
bordo della pagina. E ricomincio, sentendo il sottile e caldo piacere
della carta che respira tra le dita. E ancora non ansima, mentre si cuce
l'attesa addosso. Nessun commento, nessuna reazione, nessuna
spiegazione. Faccio quello che sento e me ne frego. Nessuna freccia,
nessun sasso, neanche la mano. Sospesa sul mondo, una lastra
trasparente, assaporando l'inquietudine, e tirandola come un elastico.
Sotto solo uno strato per vedere e per non farsi toccare troppo. Come se
la distanza fosse la pelle giusta, una pelle che sente tutto in ritardo
e lo media con il mondo. E lo restituisce sempre, anche se non tutto in
fondo.
Perchè rubiamo la vita.
Se per una volta riuscissi ad infilarci il dito dentro.
Oltre ogni distanza.
Solo per sfiorarlo, con tutta la lentezza necessaria.
Sembra un delirio ma mi rovisto il palmo della mano in cerca della tua idea.
Ma poi mi accorgo di essere solo una pessima abitudine, persino per me stessa.
Niente di niente, senza bene e senza male.
Distratta dalla vita, anche se inciampo, proseguo.
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