lunedì 18 maggio 2009

Genuflessa, liscio polvere. E la soffio. Lascia segni. Polvere di audaci viole. Strappate a steli silenti. Le tue mani sul mio collo. E io inerme. Puoi soffocarmi. O farmi addormentare. E strapparmi ogni segreto. Forse l’hai fatto. Ed ero disattenta. L’altare è un orizzonte inverso. Ancora prostrata. La preghiera è un mazzo di fiori recisi. Indaco come l’ombra di un sogno. Si staglia sulla mia coscienza. La polvere scivola ancora e cancella i segni delle tue mani. O della loro idea. Mordo il mio mignolo. Fino a sentire dolore. Riempio di baci i solchi dei miei denti. Come se fosse un rito. Ma è solo carenza. Attendo. E la promessa è la poltiglia del tormento. Un rifugio asciutto dalla menzogna. O dalla verità. Chi sceglie? Sceglie chi svolta l’angolo. Sceglie chi riesce a non scegliere. E’ come deviare un percorso ad ostacoli. E l’importante non è vincere. Solo esistere. Nel modo migliore possibile. Il senso del mondo è nella sua bellezza. L’unica carezza che ci concede. La mia voce gocciola sul palmo. E la annuso. Sembra saliva. Ma è veleno. E io non voglio far altro che berne. Da sola. Gravida, barcollo ogni notte. E partorisco voli di farfalle. Solo per strappargli le ali. E raccoglierne i colori. Il più assurdo atto di amore. Incompreso. Il soffitto è la grata del domani e il giorno vi cola dentro. Le ore si mescolano ai miei capelli ed ai miei polsi. Intrecciati, come mughetti, a un sonno lento. L’unico mio presente è l’odore del cuscino. E il mio respiro riverso su di esso. Sono la straniera che dorme nel mio letto. E ad ogni alba fugge. Ho solo poche tracce. Ma so di esistere.

E’ strano come il vento del cuore sappia spazzare via ogni altro pensiero.
Mi sveglio serena.
Le viole mi sorridono.
Dimenticavo, il mio nome è ancora Sara.

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