giovedì 4 febbraio 2010

E trattenere. Resistere. Sentire i muscoli tesi. Come se i pensieri assediassero il corpo. E divenissero mani. E occhi. E piedi. E gomiti. Pancia. Fino a diramarsi come mercenari. Dove più gli aggrada. E le sensazioni. Modellare. Distruggere. Riresistere. Le sensazioni avevano anticipato ogni pensiero. Avevano lasciato precipitare la verità. Come una cascata. E ho asciugato tutta quell'acqua. Adesso il mio corpo ricorda e mi intreccia le risposte. Come radici. E un tappeto di muschio. Sui polsi. Ostento. E sono tavola imbandita. Di una tristezza solida e inutile. Si può affettare. Uno stelo senza corolla. Immagina i suoi petali. E senza forze li tendi al sole. Come lenzuola sgualcite. E guardo le parole. Piccole nuvolette tra testa e labbra. Casette del nostro mondo a cui viene scoperchiato il tetto. Siamo noi che nutriamo un pensiero. E gli diamo il colore che vogliamo. In fondo non ci sono pensieri buoni o cattivi. Felici o tristi. Nasce prima l'emozione e poi ci si tuffa dentro. Una bolla che diviene ampolla. E decide se espoldere. O godersi i riflessi.
E che nelle vene il sangue scorre, nonostante noi.
Il miglior modo per allontanarsi dagli altri è di restargli vicino.
Si dimentica solo se si resta immobili.
Voglio un pensiero futile.
Da masticare.
Come gomma americana.
E dargli tutte le forme che voglio.
Anche quella di una isola.

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