martedì 19 ottobre 2010

E poi il mare bacia ogni mia paura. E mi stringe le mani. Mi graffia con le conchiglie. E io le scanso. Nessun naufragio. Forse se poi la zattera è fatta dei sogni, resiste. Perchè è più leggera di ogni inquieto mareggiare. Ondeggia e trema. Ma riesce a sconfinare l'abbandono. Credo che sia il momento peggiore. L'istante in cui la nostra vita si biforca e viene investita dal gelo del vuoto. Troppa aria. Raffiche di solitudine. A volte mi soffermo a cercare di sentire le cose. A cogliere l'onda, oltre l'urto. In una riva disseminata di domani. E il mare è là in maestosità modesta. Semplice come la vita. Neanche spaventa. Non sempre. Basta smettere di pensare e lasciarsi andare. Lasciarsi scivolare nella scia del calore dell'aver vissuto. Di qualcuno prima. Come se ci fosse un solco. Del calore già provato. Il mare bacia la terra. A modo suo. A mondo suo. Forse neanche glielo hanno insegnato. La bacia senza permesso. Arriva e prende poco. O forse un poco che è già tanto. E questo non gli impedirà di devastarla. Fino alla bufera. E sarà comunque amore. Fino alla nuova pace. Nell'alternanza tra la quiete e il caos. Strati irregolari che si adagiano al mondo. E forse il segreto è saper trattenere il fiato fino allo strato successivo. All'onda che si infrangerà e dopo liscerà tutto. E il mare è qua. Nella mente. Con il suo odore di lontananza. Nelle orecchie la sua voce lenta. Di specchio tremulo delle stelle. Di cielo inverso. Di campo azzurro di acqua e luce. Bacia e morde. Quel tanto che sa far male. Per poter contemplare subito dopo lo stupefacente impatto con la tenerezza. Prima spiana e poi si adagia. Ma non cancella mai completamente i solchi.
Ho cercato di spiegarti.
Io non amo da farfalla.
Amo da lupo.
Amo scalza.
Con i miei morsi nudi e lenti.
Mastico conchiglie.
Non so volare.
E mi riempio il cuore di terra.
In attesa dell'onda.
Per ritornare fango.

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