martedì 19 ottobre 2010

Il tempio della idea. L'urna rorida. Quasi una culla. O il grembo dell'amore dannato. La pioggia e l'albero. E l'albero nella pioggia non resiste. Si apre all'acqua. Come un ombrello al contrario. Come una mano di foglie. E intanto il mondo sotto è asciutto. E il non senso nel suo campo. Sterminato. Senza ombra nè pioggia. Non essere compresa. Macchiata dal silenzio. La voglia di scivolarsi in fondo. Fino in fondo. Detesto la artificiosa semplicità. La peggiore finzione. La pioggia finta che non tocca. Non bagna nè disseta la terra. La idea è nel tempio. Perchè sentirsi è attraversarsi senza dita. Come fili di luce. Senza mentire alla pelle. E alla sua voce. Il campo del non senso si agita. Ha sete. Vorrebbe che l'albero si spostasse. Per poter bere. La mia voglia di silenzio ha il tuo nome. E chiede al vento di sorpassarla. Per fargli da scia. Ma quello che sentiamo chiede al mondo un piccolo palcoscenico per lasciarsi capire. Perchè se fosse tutto incastrato nelle ossa che senso avrebbe? Solo perchè ha il destino d'ali. E il cuore tra le ginocchia?

Per questo ti sfioro le dita.
E me le spingo addosso.
E contro.
Perchè la mia pelle possa sussurrarti quello che la mia voce non sa.
Nè sa più dire.
E il vento è ancora indietro.
E non mi ha ancora sorpassata.
Ho una scia di vento.
Come la coda di una sirena invisibile.
E il limite non è il muro.
Nè l'errore.
Solo l'impudico urto del limite.
Ed il reiterarsi dei giorni.
Come se fossero parole.
Avvicinati e mischia la tua pelle con la mia.
Come se fosse ombra.
Ho tutto questo cielo da dividere.
C'è ancora il graffio del volo di un uccello.
E l'odore del suo canto.

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