martedì 19 ottobre 2010

Forse accadrebbe. Potrebbe. E la condizione è l'aria spostata dal vento. In attesa della fine che le dia una forma. Perchè nel vento siamo creta. E riusciamo persino a dimenticarci il sangue. Ed è così che ci sembra di essere unicità. Perchè l'appartenenza è la fame che ci sbrana. E il pendolo baratta fatti con i pensieri. Ecco perchè ci riempie di ipnotica assenza. Come se fosse un vento sintentico. Ma tutto torna e niente si disperde. Il mondo è avido e reclama sempre. E poi presenta il conto. E nell'avvicendarsi perdiamo sempre un pezzo. E forse è questo che ci rende più leggeri. O solo diversi. In quella perversione della realtà che si chiama cambiamento. E ci fa sentire migliori solo perchè abbiamo regalato pezzi. Gli stessi che poi continueremo a cercare.
Ci sono ascensori che si spalancano sull'ignoto.
E tasti che ti lasciano scivolare su mondi sconosciuti.
Sliding doors.
Il tempo è una alchimia che ti modella la vita. E il nostro respiro si traduce in numeri. Se cambio le vocali non c'è solo un gioco di lettere. Nella convenzione che chiamiamo parole. Le parole sono un artificio. La mediazione tra la mente e la carne. Conta quello che c'è dentro. Nel punto in cui il pensiero deve impattarsi. In cui sgorga. E in cui confluisce. Perchè io penso liquido. Come se avessi rugiada in prestito. Ecco vorrei dirtelo. Da tanto tempo.
Se mi bendi quello che vedo non cambia.

Io ti racconterei il mio mondo e tu vedresti con gli occhi che ti ho rubato.
Finalmente.
Forse potresti, ed io sono la condizione, afferrare il mondo con i sensi.
Sono una gatta con le unghie spente ma sincere.
Bagnate da una memoria inversa.
Ma di fronte alla mia ciotola non mento.

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